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domenica 2 gennaio 2011

LO SCHIAFFO


Un vero e proprio schiaffo. Un sonoro ceffone al nostro paese, la mancata concessione dell'estradizione del terrorista Cesare Battisti da parte del Brasile. Una decisione assunta dal presidente Lula proprio nell'ultimo giorno del suo mandato e, per questo, ancora più dolorosa, quasi beffarda. Le aspettative della diplomazia italiana erano, a tale riguardo, di tutt'altro genere, e la delusione è stata quindi enorme. Quali possono essere le motivazioni che hanno spinto l'ex operaio metalmeccanico e sindacalista, presidente del Brasile dal 2002, a sfidare, per così dire, un paese come l'Italia? Innanzitutto, sgombriamo il campo da qualsiasi equivoco circa la figura di Cesare Battisti. L'ex capo dei Proletari Armati per il Comunismo (Pac), che pure ha richiesto allo stato sudamericano rifugio politico, non è di certo un perseguitato; lo stato italiano lo ha perseguito per i suoi crimini (quattro omicidi) e, secondo giustizia, condannato all'ergastolo. E neppure possono essere addotte - come pure è stato fatto - motivazioni legate a eventuali rischi per la persona a giustificare la mancata estradizione del terrorista italiano. Oppure ridurre il tutto a un semplice calcolo politico da parte di Lula, vale a dire il tentativo di consolidare e tranquillizzare il suo tradizionale elettorato di sinistra. Tutte congetture improponibili. I veri motivi dello sgarbo (rafforzato dalla mancata diretta comunicazione della decisione, avvenuta invece attraverso i normali canali diplomatici) sono da ricercare nella debolezza e scarsa autorevolezza della diplomazia italiana, un trend negativo e preoccupante che è aumentato in modo costante negli ultimi anni. Le ambigue e continue strizzate d'occhio a paesi quali la Russia e la Libia, stati di dubbie o nulle tradizioni democratiche, hanno contribuito in maniera decisiva a determinare l'attuale stato delle nostre relazioni internazionali. La politica degli ammiccamenti e delle pacche sulle spalle si è rivelata, nella sua desolazione, perdente. Appaiono quindi tardive, nonché ammantate di patetismo, le azioni poste in atto dal nostro impresentabile ministro degli Esteri. L'appello alla neo-presidente Dilma Rousseff (creatura politica dello stesso Lula) a rivedere la risoluzione del suo predecessore, il richiamo per consultazioni del nostro ambasciatore a Brasilia e addirittura la minaccia del blocco di forniture militari (già sancite da trattati bilaterali) sono tutti atti tardivi, probabilmente inefficaci, che non faranno altro che accentuare ancora di più l'innegabile volubilità della nostra azione diplomatica nel mondo. Più concrete si presentano, al contrario, le speranze legate a una nuova pronuncia del Tribunale Supremo del Brasile, che potrebbe smentire la scelta del presidente Lula. Questa vicenda, tuttavia, deve costituire un serio monito per il nostro paese. E' giunto il tempo di innalzare il livello sul quale agisce l'azione diplomatica. Per fare ciò è indispensabile e urgente acquisire una nuova consapevolezza sul ruolo dell'Italia all'interno dello scacchiere mondiale. Un impegno arduo che difficilmente potrà essere affrontato e portato a termine con successo dall'attuale debole governo, sul quale pesano gravi responsabilità; colpe che hanno in gran parte contribuito a fissare questa condizione di percepibile e inconfutabile impotenza diplomatica. Il cambiamento non è più differibile.     

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