"E questa Rossana
chi sarebbe?" domanda mia madre.
"Si tratta di una
compagna di scuola. Anzi, di banco" rispondo.
Sempre così, quando si
tratta di ragazze mia madre diventa sospettosa, indagatrice. Sembra quasi sia
gelosa.
"E perché devi
andare a casa sua?"
"Te l'ho detto,
per aiutarla. Ha delle difficoltà in matematica".
"Abita troppo
lontano".
"Ma no, prenderò
il treno. Quaranta minuti o poco più" dico.
"Questa storia non
mi piace" dice ancora mia madre.
"Ciao
mamma".
Rossana l'ho conosciuta
due mesi fa quando, il primo giorno di scuola del secondo anno delle superiori,
è venuta a sedersi accanto a me, allo stesso banco. In classe è nuova, perché è
stata bocciata e ripete l'anno. Non è molto alta, ha dei bei capelli, e in
testa porta sempre una bandana.
Quando scendo dal treno
sono quasi le tre del pomeriggio. Mi avvio per la via principale di quel
piccolo paese di mezza montagna.
Non puoi sbagliare, mi
ha detto la mia compagna di classe, è l'unico albergo della via.
I genitori di Rossana
gestiscono un albergo, che in questo periodo è chiuso per via di alcuni lavori
di ristrutturazione.
Suono il campanello, e
subito Rossana si materializza.
"Ciao, grazie per
essere venuto" dice. Poi mi fa cenno di seguirla. Saliamo di un piano,
quindi ci addentriamo in un lungo e buio corridoio.
"I miei per il
momento non ci sono" dice Rossana. "In ogni caso ho pensato che per
stare più tranquilli a studiare possiamo utilizzare una camera".
A metà corridoio si
ferma e apre una porta.
"Vieni" dice.
La stanza è graziosa.
Ha una moquette verde e le pareti rivestite di legno. L'arredo è semplice ed
essenziale: letto, comodini, un armadio e una comoda scrivania.
"Ci possiamo
sistemare qui" dice Rossana, indicando proprio il tavolo.
La mia compagna indossa
una camicia a quadri di stoffa pesante e un paio di pantaloni a vita bassa, a
zampa di elefante, che strusciano a terra. Non ha la bandana. È la prima volta
che la vedo senza.
"Hai freddo?"
domanda Rossana.
"Insomma..."
Ci saranno non più di quindici gradi.
"Sai che cosa
potremmo fare?" dice. "Metterci sotto le coperte, così non sentiremo
freddo".
La proposta mi
sconcerta un po'. La guardo.
"Naturalmente ti
dovrai togliere le scarpe" dice lei, con un sorriso. Poi scalcia gli
zoccoli che indossa, scosta le coperte e si infila nel letto.
"Prendi il libro e
gli appunti e sbrigati" mi incita.
Faccio ciò che dice.
Quando sono nel letto, seduto, Rossana si avvicina e si posiziona spalla a
spalla con me.
"Così riesco a
leggere anch'io" dice. "È inutile usare due libri". Sento il suo
fiato sul lobo dell'orecchio.
Dopo mezz'ora di studio
Rossana inizia ad agitarsi. Muove le gambe.
"Ho caldo, ti
spiace se tolgo i pantaloni?" domanda. Ovviamente non aspetta risposta. Ha
già deciso di farlo.
Balza fuori dal letto,
sbottona e sfila l'indumento in un attimo. Lo lascia a terra. Vedo che indossa
dei collant color fumo. Ritorna sotto le coperte.
"Se hai caldo puoi
farlo anche tu" dice.
"No, sto bene
così. Anzi, forse è meglio che vada" farfuglio. Il gesto di Rossana mi ha
turbato.
"Di già?"
dice lei, mentre appoggia la sua gamba fasciata di quasi nulla alla mia, e poi
esercita una lieve pressione.
Quasi in preda al
panico scendo dal letto, infilo le scarpe, arraffo libro e quaderni.
"Ciao Rossana, ci
vediamo domani a scuola" dico con voce sempre più incerta, senza voltarmi.
Lo faccio per un attimo, prima di oltrepassare la soglia, e scorgo le labbra
carnose della mia compagna atteggiate in un sorriso divertito.
Non riesco a trovare
subito la via d'uscita. L'albergo è grande e buio, faccio fatica a orientarmi.
Quando finalmente
raggiungo l'ingresso principale, sento Rossana che mi chiama. Mi fermo, e
subito lei compare. Ha avuto il tempo di svestire i collant, le sue gambe ora
sono nude.
"In matematica sei
bravo, sul resto puoi migliorare" dice. Poi mima un bacio.


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