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lunedì 17 gennaio 2011

IL TAGLIANDO VINCENTE



Guardò il tagliando, incredulo. Aveva vinto. Lo guardò di nuovo, ma non c’erano dubbi, l’unico vincitore era lui. E si trattava di un’incredibile somma di denaro. Sorrise, pensando che quella era stata la prima giocata della sua vita. La gioia tuttavia durò poco, perché subito prevalsero i timori. E la diffidenza.
M. viveva da solo, quindi non c’era pericolo che qualcuno sapesse, nell’immediato, della fortuna che gli era capitata. In ogni caso, spense il televisore. Per un attimo aveva avuto l’impressione che il giornalista sullo schermo avesse smesso di parlare e avesse tentato di sbirciare il suo tagliando vincente. Allo stesso modo, chiuse tutte le finestre e strappò il filo del telefono. Per sua buona sorte non possedeva un cellulare; in quel caso avrebbe corso un enorme rischio, anche se non sapeva realmente dire il perché.
M. non considerò eccessive – o peggio, maniacali – tali precauzioni. La settimana prima aveva assistito a un servizio del telegiornale nel quale si spiegava come la criminalità organizzata desse una vera e propria caccia ai vincitori di lotterie o di altri concorsi con ingenti montepremi. Non voleva correre rischi.
Il problema successivo fu quello di nascondere il tagliando. Ci pensò per parecchio tempo, poi riuscì a escogitare una brillante soluzione. Subito dopo, ben camuffato – occhiali scuri, un grosso cappello, bavero alzato – uscì e si diresse verso una cabina telefonica, una delle poche che erano rimaste. Chiamò il suo collega Carlo, e gli annunciò che dal giorno seguente non si sarebbe più recato al lavoro, che pensasse lui a tutte le pratiche per il licenziamento. Non volle fornire alcuna spiegazione e l’altro, seppure sbalordito, acconsentì. A quel punto decise che sarebbe stato troppo rischioso ritornare a casa, anzi, decise che non ci sarebbe andato più. Prima di trovare una camera in un albergo, si fermò – per l’ultima volta – al solito bar per un aperitivo. Poi fece una sosta in bagno dove, vinto dallo stress, si addormentò sulla tazza e si svegliò dopo quasi due ore. Uscì e, dopo una rapida sosta in libreria, andò direttamente in hotel.
Chiuso in camera, M. iniziò a sfogliare l’atlante geografico che aveva appena acquistato. Aveva deciso di partire, si trattava soltanto di scegliere la destinazione adatta. Il fatto è che lui non aveva mai viaggiato, neppure il più piccolo spostamento e quindi, pensando a treni, aerei, navi e fusi orari fu assalito dal panico. Alla fine, escluse quella soluzione e decise che il sistema migliore consisteva nel mimetizzarsi. Avrebbe finto di essere un clochard e in tal modo sarebbe di sicuro passato inosservato.
Il mattino dopo lasciò l’albergo e cominciò a vivere nei pressi della stazione, dove c’erano anche altri senzatetto. Camminava in quei pressi quasi tutto giorno, spostandosi di continuo per non offrire precisi punti di riferimento. Soltanto la notte osava fermarsi, per dormire sotto un porticato, su qualche panchina oppure nell’atrio della stazione quando il clima divenne più rigido.
L’aspetto fisico di M. era mutato profondamente. I capelli, cespugliosi, erano sporchi, la barba lunga e arricciata. Sul suo viso c’era sempre una patina scura. Alcune volte gli era capitato di scorgere delle persone che conosceva – persino un ex-collega - ma nessuna di queste lo aveva riconosciuto, anche per via dei suoi abiti luridi e strappati in più punti.
M. condusse per mesi quella misera esistenza poi, prostrato dal freddo e dalla fame, crollò.
Fino a quel momento non si era ancora arrischiato a incassare il tagliando vincente. Aveva sempre avuto paura di essere osservato, pedinato e spiato da qualcuno. Alla fine, indebolito nel corpo e nella mente, si convinse che, in ogni caso, non sarebbe sfuggito alle grinfie delle organizzazioni criminali. Non aveva retto, non si era dimostrato all’altezza. Decise così di salvare almeno la propria vita.
Tuttavia, faticò a costituirsi. Per molti giorni frequentò i bassifondi della città, le zone più malfamate e piene dei peggiori delinquenti. Finalmente, quando ormai non ci sperava più, arrivò l’aggancio giusto.
Lo condussero in un grande capannone dismesso. Di notte. Quando gli tolsero il cappuccio, si trovò di fronte un uomo distinto, che indossava un elegante completo bianco.
“Sei stato abile” disse, e subito dopo allungò una mano, con il palmo rivolto verso l’alto.
M. comprese. Strappò dall’interno delle mutande la bustina di plastica che conteneva il tagliando vincente e la consegnò, rassegnato. Non provava neppure paura. Non più.
“Molto abile” proseguì l’uomo in bianco. “Appena abbiamo saputo della vincita, ci siamo subito attivati. Abbiamo messo sotto controllo il tuo telefono, ma tu non l’hai mai usato. Ho mandato Geppo – e indicò uno dei due energumeni che l’avevano accompagnato in quel posto – sotto casa tua, ma tu eri già uscito, per non farvi mai più ritorno. Giorgione – e indicò l’altro – invece è stato più fortunato: ti ha visto entrare al tuo solito bar. Ma sei sfuggito pure a lui. Ha aspettato a lungo, ma tu non sei uscito dalla porta principale, vero? Avevi dei complici? Hai utilizzato un’uscita secondaria? In ogni modo, l’hai scampata. Che cosa ci rimaneva da fare, a quel punto? Abbiamo setacciato, per giorni e giorni, stazioni, porti, aeroporti e agenzie di viaggio ma non siamo riusciti a scovarti. Allora abbiamo provato con gli alberghi ma, a parte la traccia di un tuo breve passaggio, non siamo approdati a nulla. Inutili anche i lunghi appostamenti sotto al tuo luogo di lavoro. Ti sei licenziato, vero?”
L’uomo, il criminale, sospirò. Poi riprese.
“In pratica, caro M., l’avevi fatta franca.”
M. strabuzzò gli occhi.
“Volete dire che non mi avreste mai trovato?”
“Esatto. Se tu avessi saputo questo, adesso saresti un uomo molto ricco, pieno di problemi e di angoscia. La tua vita trasformata in un vero inferno. Quello che hai passato negli ultimi tempi non è nulla in confronto a ciò che ti attendeva. Per fortuna ti sei pentito. Giura che non giocherai mai più, che non correrai mai più un rischio simile.”
“Avete ragione, è davvero terribile essere ricchi. Preferisco tornare a essere povero. Grazie.”

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