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lunedì 25 aprile 2022

LIBERAZIONE

 


Si incontrarono nel fienile. Avrebbero potuto farlo nel vicino casolare, che era disabitato da quando, alcuni mesi prima, i nazisti avevano ucciso i proprietari. Tuttavia nessuno dei due aveva trovato il coraggio di farlo. E neppure di proporlo. I campi attorno al podere apparivano incolti e trascurati, avvolti da un’atmosfera di tristezza e di abbandono. Alla morte dei due contadini era seguita la fine di tutto il resto.
Il ragazzo svestì la giubba scura, la piegò con cura e la ripose su una vecchia carriola. Dopo qualche istante anche la ragazza tolse il giaccone e lo gettò sul fieno. Entrambi senza dire nulla. I loro occhi si cercavano, sguardi amorevoli e disperati. Ognuno osservava i movimenti dell’altro. Gesti abituali, conosciuti, compiuti tante altre volte. Quel giorno, però, tutto sembrava diverso. Nell'aria polverosa dell’antica costruzione si percepiva un’inconsueta tensione.
Alla fine fu il ragazzo a rompere per primo quel silenzio, divenuto ormai pesante.
“Per ciò che stiamo facendo potrei essere fucilato” disse, in maniera nervosa. Subito dopo ridacchiò.
“Perché sei venuto, allora?” rispose lei, con tono di sfida.
Lui abbassò lo sguardo, colpito.
“Lo sai bene il perché” rispose.
“Voglio sentirtelo dire.”
Il giovane deglutì.
“Ti voglio bene” mormorò.
La ragazza annuì. Poi, all'improvviso, scalciò un secchio arrugginito e lo mandò a sbattere contro il muro.
“Tu pensi solo a te stesso. Ti rendi conto che anch'io potrei subire la stessa sorte? Cosa credi farebbero i miei compagni se sapessero che mi incontro con te? Mi sparerebbero alla schiena, senza pietà. E avrebbero tutti i motivi per farlo.” Nella voce della ragazza c’era rabbia, ma anche sconforto e rassegnazione.
“La guerra prima o poi finirà” disse lui senza troppa convinzione. Poi fece un passo avanti.
“A quale guerra ti riferisci?” ribatté la giovane. “La mia o la tua?”
“È la stessa. Entrambi lottiamo per un ideale.”
“Il mio è la libertà? E il tuo?”
“È anche il mio” rispose lui.
La ragazza scoppiò a ridere. Una risata amara.
“Non può esistere libertà in assenza di ordine e di disciplina...” cercò di spiegare il giovane.
“Quanto sei ingenuo!” lo interruppe lei. “Stai combattendo dalla parte sbagliata e non te ne rendi neppure conto.” Scosse il capo e agitò i lunghi capelli. Li aveva appena slegati.
Il ragazzo sospirò.
“Entrambi abbiamo fatto una scelta. Non possiamo dire quale sia quella giusta e quella sbagliata. A me pare dissennata la tua. Stai in montagna, insieme a dei ribelli, a dei balordi…”
“Basta!” disse con veemenza la giovane partigiana. Poi la sua voce si addolcì.
“Davvero mi vuoi bene?” domandò.
“Sì.”
“Non ti sembra tutto così assurdo? La nostra situazione, intendo dire.”
Lui si limitò a scrollare le spalle. Quel gesto esprimeva il suo fatalismo.
“Abbracciami” aggiunse la ragazza. Lui ubbidì. Era abituato a farlo, ma non tutti gli ordini che riceveva erano così piacevoli…
In un angolo del fienile c’erano le armi dei due giovani. Due fucili mitragliatori uguali, appoggiati uno sull'altro. Uniti e intrecciati come sarebbero stati di lì a qualche attimo i due ragazzi.
L’estasi e il piacere furono intensi ma di breve durata. Il ritorno alla realtà, alla tragica realtà di quei giorni fu brusco. In più, tra i due amanti c’era qualcosa di non detto, che faticava a emergere.
Fu lei, come sempre, la più coraggiosa.
“Non dobbiamo incontrarci più” disse tutto di un fiato.
Lui la scrutò a lungo, come se volesse imprimere per sempre nella sua memoria i tratti del suo viso, quelle sembianze tanto amate.
“Hai paura?” rispose infine, con un filo di voce. Un tono sommesso, dal quale già traspariva una sensazione di perdita.
“No. Ho riflettuto a lungo, sai. Ho deciso che non voglio più essere toccata da te. Ti voglio bene, ma nello stesso tempo so che le tue mani sono lorde di sangue e questo pensiero mi fa inorridire, provoca in me…”
“Anche le tue lo sono!” disse lui, quasi con rabbia.
“Non si tratta dello stesso sangue” rispose la ragazza. Poi si voltò, raccolse il fucile e uscì dal fienile senza più dire una parola, senza un’ultima occhiata all'amato. Che si era trasformato in pietra.

I primi partigiani fanno il loro ingresso in città all'alba. Marciano in corteo, fieri e determinati. La gente entusiasta accompagna e applaude i liberatori. Si intonano dei canti. Qualcuno spara in aria. Una gioia genuina, contagiosa. È l’inizio della fine di un incubo durato troppo a lungo.
Il ragazzo assiste a tutto ciò con un groppo in gola. Collera, rabbia, frustrazione, senso di sconfitta. Un insieme indistinto di sentimenti gli agita l’animo fin nel profondo. Nessuno di essi riesce a prevalere. È nascosto in una soffitta che si affaccia sulla piazza. La lunga canna del suo fucile sbuca da una feritoia. Inquadra nel mirino ora uno ora l’altro degli odiati avversari. Non sa decidersi, finché non vede lei. Scorge il suo sorriso radioso, la sua felicità. Prende la mira, ma non spara.
Poi si domanda se davvero lui non abbia lottato per una causa sbagliata. Quel pensiero lo tormenta da tempo, gli toglie il respiro.
Sfila il fucile dal pertugio e lo getta a terra. Poi inizia a spogliarsi, lentamente, proprio come faceva prima di fare l’amore con lei, nel vecchio fienile. Osserva la giubba nera tra la polvere della soffitta. Ha deciso che farà l’amore un’ultima volta. Stavolta la sua compagna sarà la morte.
Il ragazzo impugna la pistola e la appoggia alla tempia.