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mercoledì 24 gennaio 2024

QUELLA, LA BELLA


"Eccolo, il balcone è quello in alto" dice il marito indicando con il dito.

"E tu come lo sai?" domanda la moglie.
"Oh, lo sanno tutti".
"Io non lo sapevo".
"Intendevo dire che lo sanno tutti gli uomini".
La coppia, di mezz'età, è ferma sul marciapiede. La casa di fronte a loro è una modesta abitazione di quattro piani, un po' malandata. I due sono appena usciti dalla vicina chiesa, dove hanno assistito alla messa della domenica.
"Ma questa non è la casa dei Giorgis?" chiede la moglie.
"Sì" risponde il marito. "All'ultimo piano abitava la figlia, ma adesso è andata via e tutti gli appartamenti sono affittati".
"I muri sono tutti scrostati".
"Avrebbe bisogno di un po' di manutenzione, ma a quelli interessa soltanto prendere i soldi".
"Non capisco perché abbiano affittato a quella".
"Si vede che paga" dice l'uomo ridacchiando.
"Non c'è niente da ridere" ribatte la moglie. "Lo sai anche tu da dove arrivano i soldi".
"Sono cose che si dicono in paese. Come facciamo a sapere se è vero?"
"Altroché se è vero! Me l'ha detto Clelia".
"Eh, buona quella!"
"Guarda che suo nipote va a scuola con il figlio di quella, e poi Clelia è sempre bene informata".
"Lo credo, passa tutto il tempo a spettegolare".
"Povero bambino!"
"Eh?"
"Il figlio, dico. Pensa, senza padre e con una madre come quella!"
"Oh, ce l'avrà un padre".
"Sicuro che ce l'avrà, ma neppure la madre saprà chi è!"
"Ma smettila!"
"Non la smetto no. Appena crescerà chissà quanto si vergognerà, povera creatura".
"Non sono affari nostri".
"Sai, gli volevano fare cambiare classe".
"A chi?"
"Al nipote di Clelia!"
"Perché?"
"Eh, per via del figlio di quella".
"E che cosa c'entra il bambino?"
"Niente. Però, con una madre così, non si sa mai..."
"Dai, andiamo via".
"Aspetta ancora un momento. Tu l'hai mai vista?"
"Chi?"
"Quella, la bella".
L'uomo si stringe nelle spalle.
"Una volta soltanto" dice.
"Quando?"
"Oh, qualche mese fa, quando faceva ancora freddo. Pensa, aveva un cappotto lungo fino ai piedi".
"Fino ai piedi?"
"Sì, non si vedevano neppure le scarpe".
"È vero che porta sempre i tacchi?"
"Ah, non lo so. Ti ho detto che quell'unica volta le scarpe non si vedevano. Anche se, pensandoci bene, doveva avere dei tacchi molto alti".
"E come fai a saperlo?"
L'uomo si imbarazza.
"Era alta" risponde, dopo una lunga esitazione.
"Dicono che non va mai a fare spesa in paese, che non si vuole far vedere".
L'uomo non risponde.
"E che quando va a fare spesa ha sempre le unghie dipinte di rosso. E lunghe" prosegue la moglie.
"Mica se le può togliere" ribatte il marito.
La donna si accosta all'uomo.
"Riceve in casa" dice, quasi bisbigliando.
"A casa sua è padrona, può ricevere chi vuole".
"Sì, ma in quell'appartamento entrano solo uomini".
"E speriamo che ne escano soddisfatti".
"Non fare il maiale anche te".
"A proposito" dice l'uomo. "Che ne pensa il tuo amico?"
"Eh?"
"Di tutte queste faccende, che ne dice don Giulio?"
"Oh, lascia perdere, quel prete mi fa venire un nervoso!"
"Perché?"
"Perché dice che non va bene spettegolare. Che anche se quella fosse una peccatrice è comunque una figlia del Signore e che merita tutta la misericordia di questo mondo. Bella roba! Scommetto che ci va pure lui!"
"Ma smettila!"
"E la sai l'ultima? Sembra che qualche sera fa, di notte, abbiano visto salire su il marito di Clelia".
"Giovanni? Ma figurati, con la sua gamba rigida, che cosa vuoi che faccia?"
"Quello è un filibustiere. E poi, vuoi uomini, siete tutti uguali. Con la moglie non fate niente e poi appena arriva una di quelle c'è la coda. Porci!"
"Su, adesso andiamo a casa".
"A proposito, te dove sei andato l'altra sera?"
"Eh?"
"Quando sei uscito dopo cena. Non ti ricordi più?"
"Te l'ho detto! Alla riunione della bocciofila. Non mi credi? Chiedi a Gigi o a Valter".
"Non chiedo un bel niente, tanto lo so come fate, vi coprite a vicenda".
"Forza, andiamo" dice l'uomo, che sembra impaziente.
Proprio in quel momento la porta d'ingresso della casa scatta, e poi si apre. Ne esce una donna ancora giovane. Si guarda un attimo intorno, poi marcia decisa verso la strada. È di corporatura minuta, con i capelli lunghi e neri. Indossa una camicetta attillata con una profonda scollatura che evidenzia l'attaccatura del seno prosperoso, una corta gonna di pelle, calze a rete con maglie molto larghe e scarpe dal tacco vertiginoso. Ha le unghie delle mani dipinte di rosso vermiglio.
Marito e moglie si scostano per lasciarla passare, lo sguardo basso. Lei incede sicura e, quando li incrocia, fa l'occhiolino all'uomo.

lunedì 22 gennaio 2024

DA GINO

 


“Se trovo chi ha inventato il lavoro lo ammazzo di botte!”
Povero vecchio Giacomo. Tutti i giorni, durante la pausa dal lavoro, faceva il suo rumoroso ingresso da Gino scandendo bene quelle parole che da sempre accompagnavano la sua presenza.
“Se lo ammazzi ci fai un gran favore” era l’immancabile risposta di qualche altro avventore.
Giacomo lavorava in una piccola fabbrica che produceva coloranti all’anilina. Sostanze tossiche, puro veleno. Le sue mani grosse e nodose erano macchiate di rosso perché lui diceva che era impossibile svolgere la sua mansione indossando i guanti protettivi. E così facevano tutti gli altri. Per non parlare di ciò che quei poveri lavoratori respiravano tutto il giorno. Eppure Giacomo era sempre scherzoso, elargiva battute a getto continuo, aveva una buona parola per tutti. Si rendeva ben conto della nocività dell’ambiente in cui svolgeva la sua attività lavorativa ma, allo stesso tempo, era consapevole di non avere alternative.
“Devo pur mangiare” diceva. “E poi il lavoro mi prenderà il corpo, ma non l’anima” aggiungeva con un tono più amaro. Il colore del suo viso era giallo smorto, profonde rughe incidevano quella pelle fiacca.
Anche se ero ancora un ragazzo avevo preso l’abitudine di fare tutti i giorni un salto da Gino, tornando a casa da scuola. Ordinavo un’aranciata, oppure un ghiacciolo nella stagione calda, e poi trascorrevo un po’ di tempo stando ad ascoltare quegli uomini che, invece di andare a casa a pranzare, preferivano passare in piola per scambiare due parole con i loro compagni di sventura.
“Ti va un bicchiere di latte?” domandava ogni volta Gino a Giacomo, prendendolo in giro. Il medico della fabbrica in cui lavorava Giacomo consigliava agli operai di bere molto latte. In tal modo non avrebbero avuto problemi, diceva. La magica bevanda bianca avrebbe contrastato tutta la nocività delle sostanze tossiche maneggiate e inalate. Tutte balle, naturalmente.
Tra l’altro nella sua piola Gino non lo teneva neppure, il latte. Chi l’avrebbe mai ordinato? Termini assurdi come caffè macchiato e cappuccino erano quasi sconosciuti e in ogni caso in quel posto sarebbero stati banditi.
Allora, attenendosi scrupolosamente al copione, Giacomo staccava una gran bestemmia e, con voce stentorea, comandava un grigioverde, vale a dire grappa e menta.
“Questo brucia tutto, il buono e il brutto” diceva ingollando la prima sorsata di mistura. Tutti ridevano.
A un certo punto, ritenendomi ormai sufficientemente cresciuto, lasciai perdere bibite e dolciumi e iniziai anch’io a consumare qualcosa di più dignitoso, un buon bicchiere di vino bianco frizzante, per esempio. Da quel momento tutti i clienti di Gino presero a osservarmi con maggiore interesse, a coinvolgermi nei loro discorsi. Non potevo ancora essere considerato uno di loro, poiché per mia fortuna non lavoravo, tuttavia avevo ormai conquistato la loro benevolenza.
Di quel periodo mi ricordo soprattutto i camionisti: Dolfo, Sandro e tutti gli altri. Erano gli unici che mangiassero qualcosa. Pane e salame, pane e mortadella, enormi panini con acciughe in salsa verde. E almeno mezzo litro di vino a testa. Rammento i loro discorsi coloriti, i loro interminabili racconti dove le protagoniste indiscusse erano sempre le donne. Così come di enormi manifesti raffiguranti donne nude erano tappezzate le cabine dei loro camion. Ascoltavo spacconate, enormi fanfaronate, comunque necessarie per alleviare almeno un po’ la fatica del loro duro lavoro. Ricordo soprattutto le loro impressionanti pance, quegli addomi e ventri lievitati a dismisura, forse a causa dell’attività sedentaria, prominenze che loro ostentavano con fierezza.
E poi c’erano i contadini. Arrivavano parcheggiando il trattore a pochi metri dalla porta d’ingresso della piola. Con un gran baccano e sbuffi di fumo nero e puzzolente. I loro stivali di gomma erano sempre incrostati di terra e di letame secco. In qualsiasi stagione dell’anno indossavano il solito cappello di paglia oppure, i più giovani, un berretto dal colore sgargiante con in evidenza la scritta pubblicitaria di qualche marca di mangime. I contadini erano molto parsimoniosi. Ordinavano al più un bicchiere di vino rosso, che facevano durare a lungo. Non perché non fossero grandi bevitori. Altroché se lo erano, ma preferivano bere a casa, oppure quando erano impegnati nel lavoro nei campi. E poi, oltre che un po’ spilorci, erano diffidenti riguardo qualsiasi vino che non fosse stato prodotto da loro stessi. In verità trovavo i loro discorsi un po’ noiosi. Quando parlavano di Bianca, Nerina e Alpina sapevo che non citavano nomi di donne affascinanti o prosperose, ma semplicemente discorrevano delle loro amate mucche. Inoltre i campagnoli erano sempre così lamentosi! Pioveva poco, pioveva troppo, il raccolto non era andato bene, era morto un vitello, sai che danno, il prezzo della nafta era aumentato, quello del grano era calato, e così via. Un pianto unico.
La piola di Gino era pure frequentata da altri lavoratori che non si può dire si ammazzassero di fatica. C’era il messo comunale, per esempio. Strizzato nella sua elegante divisa blu scuro con i bottoni dorati, si sedeva tutto solo a un tavolo nell’angolo e passava ore a sfogliare i quotidiani sportivi, bevendo e non parlando con nessuno. Forse non aveva niente da dire, oppure si rendeva conto di non avere nulla da condividere con quegli omoni dai vestiti e dalla pelle inzaccherata che concionavano di grandi imprese muscolari o che stavano imprigionati tutto il giorno in una fabbrica. A volte passava in piola anche il maestro elementare. Era sempre tutto lustro, vestito elegante, i baffetti ben spuntati, mai un capello fuori posto. Lui arrivava dal sud, non comprendeva nulla di tutto quel berciare a squarciagola in dialetto stretto. Nessuno lo coinvolgeva, quasi fosse invisibile. Il maestro si limitava così a sorseggiare in tutta fretta il suo caffè e poi scappava a casa. Semplicemente, non era considerato dagli altri un vero lavoratore.
Il becchino, Giovanni, era invece il più allegro di tutti. Anche lui disdegnava a parole il buon vinello di Gino. Tra un bicchiere e l’altro esaltava il suo, di vino, un terribile intruglio imbevibile corretto con il sale. In ogni caso, da dove derivasse tutta la sua contentezza era un mistero per tutti dal momento che il suo era un lavoro tutt’altro che divertente.
Bei tempi, quelli! Ormai da allora sono trascorsi molti anni. La piola di Gino non c’è più. Al suo posto c’è il Bar Devil, (che cazzo vuol dire Devil?), un locale tutto luccicante con tavolini e sedie di acciaio. A volte ci passo a sorseggiare una grappa ma subito scappo perché non mi sento molto a mio agio. È frequentato soprattutto da giovani, ragazzi e ragazze, tutti tatuati e con gli anelli al naso ma soprattutto tutti disoccupati. E quei poveretti si lamentano pure della loro condizione, perché vorrebbero lavorare.
“Mi sbatto di qua e di là ma non riesco a trovare niente. Il lavoro non c’è!” dicono rassegnati, alzando le spalle, mentre tutti gli altri annuiscono solidali. Che ingenui, non sanno apprezzare la loro enorme fortuna! I soldi per bere qualcosa comunque li hanno, quindi perché andare a complicarsi e a rovinarsi l’esistenza? Beata gioventù.
Io invece lavoro da più di trent’anni e non ne posso più. La mia schiena è a pezzi e la mia testa non sta meglio. Il lavoro è un diritto. Il lavoro nobilita l’uomo. Il lavoro rende liberi. In realtà il lavoro abbrutisce, il lavoro rende schiavi.
Ancora una volta ripenso alle parole del povero Giacomo: “Se trovo chi ha inventato il lavoro lo ammazzo di botte!”
Giacomo, che è morto tra atroci sofferenze ancora prima di arrivare alla pensione, avvelenato da quelle sostanze che avevano per anni penetrato il suo corpo e che alla fine gli avevano rubato non solo il corpo ma pure l’anima.
Chi ha inventato il lavoro purtroppo non è ancora stato individuato. L’ho cercato anch’io, a lungo, ma non l’ho trovato. Forse quello sciagurato è addirittura morto. In ogni caso il suo malvagio seme si è perpetuato, sarebbero troppi ormai quelli da punire e io non ho la forza e neppure il tempo per poterlo fare. Mi dovrò limitare a mettere in atto un gesto simbolico. Il medico, quello della fabbrica di Giacomo, è ancora vivo. Ha più di novant’anni. È riuscito a conservarsi, il vecchio bastardo! Ogni tanto lo vedo che arranca per il paese con il suo bastone, con lo sguardo appannato ma sempre sprezzante. So dove abita, lo sanno tutti, la sua è la casa più bella del paese. Le mie mani sono rovinate, devastate dalla fatica, ma sono ancora in grado di ammazzare di botte quella vecchia carcassa fragile e rinsecchita.
Finisco di bere e poi vado da lui, ... a lavorare.

sabato 20 gennaio 2024

ANTIFASCISTA?


 

Ricorrono periodiche e costanti, sempre uguali, le polemiche sul fatto che il/la/lo Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i suoi accoliti di governo e non (tra i quali troviamo faccendieri, truffatori, pistoleri, ladri di opere d'arte, ignoranti censori, garantisti da operetta, bigotti e macchinisti ferrovieri) facciano enorme fatica a definirsi antifascisti. Anzi, a dirla tutta, essi proprio non manifestano la minima intenzione di definirsi tali, né lo hanno mai fatto in passato. Antifascismo che poi non è altro che il cemento sul quale è stato fondato lo stato repubblicano, che rappresenta un insieme di valori che dovrebbero, il condizionale è d'obbligo, essere condivisi da tutti i cittadini.

Naturalmente è difficile, se non impossibile, per chi ha abbracciato in un passato più o meno lontano ideali fascisti, neofascisti o post-fascisti, considerarsi all'improvviso un paladino dell'antifascismo. Si tratta di rinnegare se stessi, la propria natura, operazione che anche il più opportunista tra gli individui proprio non riesce a mettere in pratica. E per fortuna, dico. Se da un giorno all'altro Meloni si proclamasse convinta antifascista nascerebbe qualche sospetto sulla sua sincerità e sulla sua effettiva convinzione. Meglio se continua a mantenere le sue posizioni ambigue, oppure a tacere. Almeno non si genera confusione sulla sua reale collocazione politica. In caso contrario si potrebbe pensare a una grande presa in giro, una delle tante.