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venerdì 14 gennaio 2011

FUGA DA ALCATRAZ


Jack aveva progettato a lungo la fuga, e adesso tutto era pronto. Ancora poche ore e poi avrebbe finalmente assaporato la libertà. Il giorno prima aveva ultimato di scavare il tunnel. Era stata una fatica tremenda, un impegno che si era protratto per mesi.
Quella sera stessa, dopo la distribuzione del pasto, si sarebbe inoltrato per l’ultima volta lungo quel budello umido, e avrebbe abbattuto l’ultimo diaframma di terra che lo separava… da che cosa? Ormai non lo sapeva più. Da troppo tempo – da sempre, gli sembrava – era prigioniero e i suoi ricordi erano come frantumati e dissolti.
Scese la notte, senza luna, proprio come aveva sperato. Attorno a lui, poco alla volta, i rumori si attenuarono, fino a scomparire del tutto. Nelle altre celle i suoi sventurati compagni di cattività dormivano. Purtroppo non poteva aiutarli, tuttavia sapeva che nessuno di loro l’avrebbe tradito. Nessuno avrebbe parlato.
Giunse il momento adatto. Spostò il suo giaciglio e si incuneò nello stretto condotto. Strisciò per parecchio tempo, lentamente, respirando con difficoltà. Arrivato al termine, scavò in maniera frenetica per alcuni minuti e finalmente sbucò all’aria aperta, oltre la recinzione. Era stravolto, ma non poteva fermarsi a riposare, doveva allontanarsi in fretta. Ebbe appena il tempo di fiutare l’aria: percepì un odore differente da quello che aveva sempre sentito fino a quel momento. Poi si mise a correre. Vagò a lungo, tra le strade deserte. Non provava né fame né sete. Quando ritenne di essersi allontanato a sufficienza dalla prigione, cominciò a guardarsi attorno e si dedicò alla ricerca di un luogo adatto per poter riposare un po’.
Si avvicinò a una casa e vide che tutte le luci erano spente. Accanto all’abitazione sorgeva un piccolo capanno. Notò che la porta era socchiusa. Reso sconsiderato dalla crescente spossatezza, entrò. In un angolo scorse alcune vecchie coperte e vi si distese sopra. Si addormentò all’istante.
Al mattino, quando si svegliò, trovò una piacevole sorpresa. Poco lontano dal suo letto di fortuna vide, adagiati su un tovagliolo pulito, del pane e alcuna fette di prosciutto. E dell’acqua. I sogni della notte si erano trasformati in realtà. Oppure non erano stati sogni?
In ogni caso, mangiò con grande appetito, poi stabilì che era tempo di abbandonare quel posto, che pure si era rivelato piuttosto confortevole. Doveva proseguire la sua disperata fuga.
Invece, con suo grande stupore, non si mosse. Anzi, quasi senza rendersene conto, si addormentò di nuovo.
Dopo un po’ fu svegliato di soprassalto da alcune voci. Qualcuno era entrato nel capanno, chiudendosi poi la porta alle spalle. Era in trappola! La sua evasione era durata ben poco. Rassegnato, rimase immobile e aprì soltanto gli occhi.
“Eccolo, vedi? Mamma, possiamo tenerlo?”
Un lungo sospiro, un sorriso.
“D’accordo, in fondo era ciò che volevi…”
Non sappiamo come ma Jack comprese quelle pacate parole. E allora fece una cosa che non aveva mai fatto in tutta la sua vita. Balzò in piedi e cominciò a scodinzolare. Poi abbaiò di gioia.

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