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sabato 30 maggio 2015

TUTTO BENE, O QUASI


Il mio giornale è una merda. Lo penso ma non lo posso dire perché io al giornale ci lavoro. E in redazione sono pure l’ultimo arrivato. Nascosto dietro lo schermo del computer scorro l’edizione on-line del quotidiano.
Fuori dalla crisi? Le solite bugie del governo. Questo è il titolo principale. Ti pareva. Subito dopo uno si aspetterebbe, che so, un articolo sulle guerre in Libia, Siria, Yemen, Ucraina, eccetera. Oppure qualcosa sulla distensione tra Stati Uniti e Cuba, sui disperati che muoiono affogati attraversando il canale di Sicilia. E invece no.
Alice Scalzi: lato b da urlo! Chi cazzo è Alice Scalzi? L’articolo (cinque righe in tutto e non firmato) è accompagnato da una nutrita serie di immagini, tutte alquanto esplicite. Le scorro pigramente mentre apprendo che la suddetta annovera quale suo unico merito quello di avere partecipato di recente a un reality show.
“Fortini! Ti vuole il direttore!”
Sussulto, alzo appena lo sguardo e intravedo un paio di robuste cosce. Sono quelle della signorina Tozzi, la segretaria del direttore.
La stronza sbircia lo schermo.
“Tutti uguali voi uomini. Dei veri porci, sempre a guardare i siti porno.”
“Guarda che…” tento di replicare, paonazzo in viso.
“Sbrigati! Alza le chiappe che a quello non piace aspettare.”
Senza guardarla in faccia (non ne ho il coraggio e poi è pure brutta) mi alzo, infilo la giacca e vado dal direttore. Busso e, senza aspettare risposta, entro.
Pallusti emette un grugnito e poi mi fa cenno di accomodarmi. Il direttore del giornale è un tipo pelato, segaligno, con grosse labbra sempre umide. E la erre moscia. Da giovane è stato nei parà: una specie di fascista che ha fatto carriera nella carta stampata grazie a leccate, spinte e calci in culo.
“Hai visto il giornale di oggi?” dice, senza neppure salutare.
“Ho dato un’occhiata all’edizione on-line. Niente da dire, un gran bel culo”.
Il rospo strabuzza gli occhi.
“Eh? Che stai dicendo?”
Credo di avere toppato, allora borbotto qualcosa di incomprensibile.
“L’economia, Fortini. L’economia.”
“Certo, direttore. L’economia.”
“Bene. Come al solito sono stati diffusi dati falsi. Tutto sta andando di nuovo bene, dicono. E invece sono tutte menzogne! Pura propaganda. Avrai letto l’articolo di Banfoni, che sputtana alla grande quegli spudorati mentitori. Ottimo lavoro, ma non mi basta. Bisogna stare sul pezzo, e domani ho intenzione di rincarare la dose. Bisogna insistere, soltanto ripetendo la gente si ficca in testa i concetti. Dire, ribadire, reiterare, come dice il Grande Capo. E stavolta l’articolo lo scriverai tu.”
“Io?”
“Sei laureato in economia, no? Vuoi fare il giornalista, vero?”
“Sì a tutte e due le domande” rispondo, sempre più perplesso. È la prima volta che mi si chiede di scrivere qualcosa. Finora ho unicamente corretto bozze.
“Bene, e allora qual è il problema?” mi domanda Pallusti, che si sta incazzando.
“E Banfoni? Che cosa dirà Banfoni? È lui il giornalista economico.”
“Banfoni è già impegnato. Adesso alza il culo, voglio l’articolo per oggi pomeriggio.”
“Ve bene, direttore. Come vuoi tu.”
“Adesso fila che ho da fare.” Sempre gentile, il coglione.
Ritorno nel salone. C’è un capannello attorno a Banfoni, proprio lui, che sta intrattenendo i colleghi.
“La crisi? Di nuovo sulla crisi?” gli ho detto. “Ne ho le palle piene della tua crisi! Questa volta l’articolo lo fai scrivere a qualcun altro! E lui ci è rimasto di merda. Era tutto verde, peggio di Hulk. E poi me ne sono andato sbattendo la porta. Basta con queste menate!”
Banfoni è scatenato. E tutti lo stanno ad ascoltare e gli danno pacche sulle spalle. La Tozzi ha lo sguardo languido. Adora quel demente mentre lui non la considera neppure di striscio. Ben le sta.
Ho capito. Pallusti si è rivolto a me affinché faccia da tappabuchi. Un semplice ripiego. Non importa, gli dimostrerò che sono un vero giornalista. Torno alla mia scrivania ma non mi siedo, afferro un blocco per appunti ed esco, senza che nessuno se ne accorga. Non ho alcuna intenzione di scrivere il pezzo seduto in poltrona, scopiazzando qua e là, facendo copia e incolla. No, io andrò sul campo, come si faceva una volta.
Se vuoi capire davvero che cosa pensa la gente vai al mercato, mi diceva il mio vecchio mèntore Collinelli. Ed è proprio ciò che farò.
Appena scendo dal tram mi trovo immerso in una grande confusione. Non sono più abituato a frequentare luoghi così affollati. Ho un po’ di timore a inoltrarmi in mezzo alle bancarelle, anche perché dietro ai banchi vedo solo arabi e cinesi. E tutti urlano a squarciagola. Scorgo una signora anziana che cammina verso di me, appesantita da due enormi sporte. La fermo e mi presento. Lei accetta di parlare, se non altro per riposarsi un attimo.
“Vedo che ha fatto una grossa spesa” dico.
“Ma va là! È tutta roba mezza marcia che ho raccolto sotto ai banchi. Quella che buttano via.”
“Ah! Allora non è vero che c’è la ripresa.”
La donna riflette un attimo, poi inizia a frugare dentro una borsa e dopo un po’ estrae due zucchine.
“Guardi come sono belle. Queste le ho comprate” dice, orgogliosa.
“Sul serio?”
“Certo, fino a qualche mese fa non me lo sarei potuto permettere. Ma adesso le cose stanno andando meglio, sono riuscita a risparmiare qualcosa e mi posso finalmente permettere un po’ di verdura sana.”
La donna, sbuffando, riprende il suo faticoso cammino. Prendo nota di ciò che ho appena sentito.
Un ragazzo mi urta e si ferma per scusarsi. Ne approfitto.
“Sono un giornalista, ti posso fare una domanda?”
“Quale giornale?” chiede.
Lo dico, a bassa voce.
Sul volto del ragazzo si disegna una smorfia di disprezzo.
“Va bene” risponde a malincuore. Se potesse mi sputerebbe in faccia.
“Qual era la tua condizione all’inizio della crisi economica, e qual è quella attuale?”
“Beh… all’inizio ero in cerca di lavoro, ma non si riusciva a trovare nulla.”
“Già, purtroppo. E adesso?”
“Sono disoccupato.”
“Ma allora non è cambiato nulla! È tutto uguale.”
“Non vero.”
“Per quale motivo?” lo incalzo, come devono fare i veri giornalisti.
“Perché ora ho qualcosa in più.”
“Cioè?”
“La speranza. Prima c’era solo disperazione.”
“Interessante” commento mentre scrivo sul notes.
“Ehi, posso dirti una cosa?”
“Certo, ragazzo.”
“Il tuo giornale è una merda.” E poi se ne va.
Ah, quanto è dura svolgere il lavoro sul campo! In ogni caso non mi scoraggio e proseguo la mia indagine. Sto apprendendo informazioni molto utili, anche se in contrasto con il punto di vista del mio direttore. È dovere del giornalista intellettualmente onesto dire comunque la verità.
Mi avvicino a un tipo che sta fumando appoggiato a un enorme SUV. Indossa occhiali a specchio e un abito molto elegante.
“Scusi, lei che lavoro fa?” lo abbordo. Giornalista d’assalto!
“Non ho capito” risponde.
“Le ho chiesto qual è la sua occupazione.”
“Che cosa sta dicendo? E che domande fa? Non vedo che sono ricco?”
“Ah, chiedo perdono.” Questo è scemo.
“Lei è per caso un pennivendolo?” mi chiede.
“Come ha fatto a capirlo?”
“Ce l’ha stampato in faccia! Ah! Ah! Buona vero? E poi quel ridicolo taccuino!”
Cerco di ricompormi.
“Dunque, lei mi stava dicendo che è ricco.”
“In realtà sono molto ricco, per la precisione.”
“Chiedo scusa. Sarei interessato a un suo parere riguardo la crisi economica. Negli ultimi tempi ha notato un miglioramento? Le cose stanno andando meglio?”
“Macché!”
“Per quale motivo?”
“È tutta colpa del bonus.”
“Ah, interessante. Lei crede che la corresponsione del bonus non abbia provocato la prevista ricaduta, vale a dire l’aumento dei consumi? Si tratta di un incentivo troppo esiguo? Mi dica.”
“A quanti l’hanno dato ‘sto bonus del cazzo?”
“Beh, ha interessato un’ampia platea di cittadini” rispondo.
“Appunto, troppo poco a troppi.”
“Quindi?”
“Lo dovevano dare a noi ricchi, il bonus.”
“Eh?”
“Certo, dovevano dare tanto a pochi. Come crede lo abbiano impiegato quei pezzenti che lo hanno ricevuto?”
“Lo avranno accantonato per utilizzarlo per pagare le bollette o le rate del mutuo.”
“Bravo! Lei per caso è laureato in economia?”
Tento di rispondere ma mi accorgo che quella del tizio è una domanda retorica, perché subito prosegue.
“Se a me avessero dato un bonus di, diciamo mille euro, mica l’avrei messo sotto il materasso! Me lo sarei bevuto subito. Champagne! È così che si incrementano i consumi.”
“Ma i profitti sarebbero andati ai produttori francesi.”
“E chi se ne frega! Ho l’impressione che lei non sia affatto laureato in economia. Comunque adesso devo andare. Ehi, le piace il mio SUV nuovo di zecca? Sessantamila euro sull’unghia!”
“Sì.”
“E allora se lo compri anche lei! Mi stia bene, pennivendolo.”
Si è fatto tardi e decido di rientrare in redazione. Ormai ho le idee chiare su ciò che scriverò. Alla faccia di Pallusti e delle sue psicosi complottiste. Quando arrivo il salone è quasi deserto. Ma i miei colleghi non lavorano mai? Chi è che fa il giornale, in realtà?
Per circa un’ora maltratto la tastiera. Poi rileggo e stampo. Ottimo lavoro, Fortini! E adesso subito da quell’imbecille del direttore.
La Tozzi naturalmente è presente. Non si scolla quasi mai dalla sedia, per questo ha il culo grosso.
“Mi dispiace, Pallusti non ti può ricevere. È impegnato con il Grande Capo” dice bisbigliando.
Proprio in quell’attimo la porta del direttore si spalanca ed esce proprio lui, il Grande Capo. Strano, qui non si fa mai vedere.
Mi si avvicina traballando sui tacchi (ha il complesso della statura) e mi appoggia le manacce sulle spalle.
“Bravo! C’è bisogno di giovani in gamba come lei!” dice alitandomi in faccia. Una fogna.
Non mi conosce, non mi ha mai visto prima. Penso che se fossi stato il ragazzo che ci consegna le pizze mi avrebbe detto la stessa cosa. Che bastardo. Ancora schifato mi infilo nell’ufficio di Pallusti. Il suo volto da Nosferatu ha un’espressione preoccupata.
“Siediti, Fortini” biascica. Ubbidisco e nel frattempo gli porgo il mio articolo. L’ho consegnato con diverse ore di anticipo. Lui non lo degna di uno sguardo.
“Hai visto?” dice. “C’era il Grande Capo in persona.”
“L’ho visto e l’ho sentito” dico.
“Le cose non vanno affatto bene.”
“Non capisco.”
“I processi! Sai quanto ha speso in avvocati quella povera vittima delle persecuzioni dei giudici politicizzati?”
“No.”
“Una enormità! E poi quella causa che ha perso contro quel gruppo editoriale nostro concorrente lo ha proprio messo in ginocchio. Tutto ciò, purtroppo, avrà delle ricadute sul suo impero economico. Anche sul ramo editoriale.”
“E io che cosa ci posso fare?” chiedo, incerto.
“Tu? Nulla, se non subirne le conseguenze.”
“Sarebbe?”
“Anche noi dobbiamo fare la nostra parte. In parole povere ci sarà un ridimensionamento dell’organico al giornale.”
“E in parole ancora più povere?”
Il teschio mi fissa e tenta di assumere un atteggiamento dolente. Non ci riesce.
“Sei licenziato, Fortini.”
Mi affloscio.
“Non te la prendere, tanto conoscevi bene la situazione. Sei l’ennesima vittima della crisi. È proprio come dico io, le cose non vanno bene, non vanno affatto bene. Il resto sono tutte panzane.”



domenica 17 maggio 2015

LA STANZA


L’uomo e la donna si trovano in una stanza. Prima di qualche giorno fa non si erano mai visti, mai incontrati, neppure per caso. L’ambiente è piccolo, con pochi mobili: un letto, un comodino, un armadio. Oltre al bagno c’è anche uno stretto ripostiglio, ed è proprio in questo spazio minuscolo che i due preferiscono trascorre la maggior parte del loro tempo. Stanno seduti, uno di fronte all’altro, e non parlano quasi mai. Non c’è molto da fare in quella stanza spoglia. L’uomo e la donna, che sono giovani, sani e vigorosi, potrebbero trascorrere parte del loro tempo facendo l’amore, ma ciò non avviene mai. Non amano il contatto, preferiscono soddisfarsi da soli, mentre l’altro assiste. I due, in realtà, non sono prigionieri, perché la porta non è chiusa a chiave. Potrebbero uscire in qualsiasi momento, ma non lo fanno. Fuori è accaduto qualcosa di spaventoso, ed è preferibile rimanere dentro ad aspettare. Una volta al giorno la porta si socchiude. Loro intravedono un braccio bianco e glabro che butta qualcosa all’interno della stanza. Quasi sempre cibo, anche se oggi è stata la volta di una spessa coperta. Quando ciò accade l’uomo dice: “Sono i soccorsi”. La donna annuisce, poi torna a fissare il vuoto.