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venerdì 18 maggio 2012

TUTTI LO SANNO



“Ormai lo sanno tutti!” dice lei, tutto di un fiato.
Quelle parole mi colpiscono come una stilettata in pieno petto. Freddo, gelo immediato. Per un interminabile attimo boccheggio, nell’inutile tentativo di introdurre aria nei polmoni. Tutto il mio corpo è assalito da un tremore che non riesco a controllare. Il cuore martella impazzito, sento l’eco di quei colpi sordi fino in gola. Morirò. La fine, ma anche la salvezza. Scaccio in fretta quell’idea malsana, vile. Poco alla volta riprendo il controllo della mia mente sconvolta, della mia carne sformata.
“Perché non dici nulla?” Ancora quella voce di donna che mi trapassa i timpani, che li perfora con le sue acute vibrazioni.
“Sto pensando” rispondo. La mia voce è ridotta a un flebile pigolio. Ho bisogno di tempo. Devo riflettere, ho assoluta necessità di riordinare le idee. Ma i suoi occhi mi fissano, implacabili. Tento di sostenere quello sguardo di fuoco, cerco di scorgere in quelle pupille chiare un lampo di incertezza, un’esitazione, l’umana paura. Non è così. Il terrore attanaglia soltanto le mie viscere, le rende liquide e impalpabili, le scioglie.
“Che c’è da pensare? Dimmi qualcosa, piuttosto…” Ecco, finalmente colgo in lei un tentennamento. Il mio atteggiamento remissivo la disorienta. I miei indugi, la mia reticenza producono in lei una insicurezza insolita. Si apre un varco, nel quale dovrò cercare di infilarmi. Devo approfittarne subito, ma non ci riesco. Mi sente debole e scosso, non possiedo alcuna lucidità.
“Come l’hai saputo?” chiedo. Una domanda interlocutoria, sussurrata senza nerbo, per prendere tempo.  Mi maledico.
Lei non risponde. Mi squadra a lungo. Poi sospira e finalmente distoglie lo sguardo. Si accende una sigaretta. Le sue mani tremano, e quella visione mi sgomenta. Respiro a lungo, più volte. Perché continuo a essere affamato d’aria?
Infine scrolla le spalle, e subito dopo si affloscia, tutto il suo corpo si sgonfia all’improvviso. Un sacco vuoto, con i riccioli biondi.
“Tutti lo sanno” dice. La sua voce ha mutato inflessione. Rassegnazione? Oppure semplice disgusto? Non lo so, faccio fatica a decifrare questa nuova intonazione. È come se di fronte a me ci fosse una sconosciuta, e non quella donna che ho a lungo desiderato. Non importa se non l’ho mai avuta. Non ancora. E non l’avrò più. Mi mancherà, sono sicuro che mi mancherà. Ma questo non lo posso dire, perché sarei perso. Non posso perdermi, proprio non me lo posso permettere. Perché? La domanda che rivolgo a me stesso è retorica, ne conosco bene la risposta. La mia mente dissestata per un istante, per un solo drammatico istante, richiama l’immagine sbiadita di mia moglie, dei miei figli. Di fronte a quell’opacità di sentimenti inorridisco, provo ripugnanza. Nutro pena. Non trascorrerò più ore interminabili a parlare con lei, a ridere e scherzare, a confidarmi. Non inalerò più il suo profumo, scorderò la sua allegria, il suo sorriso. Non mi perderò più nei suoi occhi luminosi. No, nulla di tutto questo. Il senso di perdita mi annienta, mi annichilisce.
“È meglio se non ci vediamo più” dice lei. Tristezza, ora percepisco tanta tristezza, ma anche risoluta dignità. Quella che io non possiedo. Lei ha pronunciato quelle parole, quelle che si aspettava da me. Coraggio, tanto coraggio, quello che io non ho.
Raddrizzo la schiena, mi schiarisco la voce ma non parlo. Non parlo e neppure piango. Invece annuisco, compunto.

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