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martedì 22 maggio 2012

TIFOSI



“Per quale squadra fai il tifo?”
Ecco, questa è la domanda alla quale tutti, prima o dopo, abbiamo dovuto rispondere. Fortunato chi se la può cavare dicendo che non segue il calcio oppure, con maggiore perfidia, domandando all’interlocutore che cosa ci sia di tanto appassionante in ventidue giocatori in mutande che inseguono un pallone. Ma chi invece considera il calcio come uno sport davvero avvincente che cosa deve fare? Tacere? Svelare la propria fede?  
Ero in prima elementare quando mi trovai di fronte, per la prima volta, a tale dilemma. Neppure per un istante esaminai la possibilità di stare zitto. Semplicemente, tale eventualità non era prevista. E mi adeguai di buon grado, rivelando il nome della squadra del cuore. Una compagine milanese, della quale non faccio il nome e che, in quel periodo, mieteva allori. Per molto tempo nessuno mi chiese più nulla, ormai ero stato etichettato e ciò era più che sufficiente. Inoltre, si sa che per il vero tifoso la prima squadra è per sempre. Non si può più, per nessuna ragione, cambiare idea. Per tutta la vita. Questo vale, come detto, per l’autentico tifoso. Ma chi vero tifoso in realtà non è - pur essendo comunque un grande appassionato - può trasgredire tale rigido precetto?
Cominciai a seguire il calcio con reale passione durante Mexico ’70. Allora il torneo non si chiamava Coppa del Mondo bensì Coppa Rimet, in omaggio a Jules Rimet, un dirigente calcistico francese e presidente della federazione internazionale,  l’ideatore dei campionati mondiali di calcio (la prima edizione si è svolta nel 1930). Da allora non ho più smesso di interessarmi a questo piacevole sport, che a volte può essere addirittura entusiasmante.
In tutti questi anni (e ormai sono già tanti) tuttavia non ho mai cessato di interrogarmi sulla solita questione: si può esseri veri appassionati pur senza essere tifosi sfegatati? O, peggio ancora, esagitati?
Per prima cosa ho cercato di capire se io fossi o meno un tifoso.  Essere tifosi di qualsiasi sport e in particolare di calcio vuol dire essere affetti da una sorta di forte accesso febbrile, cioè trovarsi in una condizione patologica. Essere malati, insomma. Il tifo per di più può degenerare in tumulti, risse e atti di teppismo. In offese di ogni genere, in insulti razzisti. Per accedere allo stadio, e poter quindi tifare, è oggi necessario addirittura essere schedati. Per i veri tifosi il concetto di sportività non ha alcun significato, non esistono avversari ma soltanto rivali, è l’imperativo non è giocare bene e divertire ma vincere, ad ogni costo, impiegando qualsiasi astuzia e sotterfugio.
Alla luce di tutto ciò posso affermare, con assoluta sicurezza, di non essere un tifoso. E la mia convinzione si rinsalda ancora di più ripensando al terribile gesto compiuto tempo fa, alla mia tremenda trasgressione. Un fatto veramente grave. D’accordo, quando l’ho commesso avevo poco più di dieci anni, posso invocare a mia discolpa numerose attenuanti comunque non sufficienti ad attenuare tale misfatto. Insomma, ho cambiato squadra. No, non sono proprio un tifoso, anche se questa constatazione in fondo mi rallegra. Perché potrò continuare a seguire il calcio – come ho sempre fatto, d’altronde – in veste di semplice appassionato. Continuerò a sostenere la mia compagine preferita in maniera morbida, e di sicuro non mi negherò il piacere di ammirare le altre grandi squadre, come mi è capitato di fare ad esempio con l’Olanda di Cruyff, con alcune versioni del Brasile, con il Barcellona di questi ultimi anni. E lo farò facendo bene attenzione a stare lontano da un certo mondo, becero e violento, che non mi appartiene.
Il calcio rimane, in ogni caso, uno sport del tutto singolare, uno sport che è anche un gioco. Dove la tecnica, la tattica e le strategie di gioco convivono con l’agonismo e con le doti atletiche. Una raffinata partita a scacchi che, in qualsiasi momento, può trasformarsi in duro scontro. Il tutto, beninteso, sempre nel rispetto delle regole sportive.
Il calcio può benissimo fare a meno dei tifosi, non potrà invece mai rinunciare ai veri estimatori. 

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