Molti osservatori ritengono che l’attuale
quadro politico italiano sia piuttosto complesso. A nostro giudizio, tale interpretazione
è errata. Lo scenario si presenta più semplice di quanto possa apparire. Per
arrivare a una visione più lineare, quasi banale, è però necessario sfrondare.
Togliere tutto quanto è superfluo e ingannevole, lasciare posare il polverone
sollevato dai soggetti politici nel loro inutile affannarsi, ed osservare ciò
che resta, vale a dire poco.
Il governo Monti è in carica da sei mesi.
Dopo un periodo di notevole attivismo, la sua azione sembra subire una brusca
frenata. Il motivo principale è dovuto al fatto che la maggior parte dei
proponimenti iniziali – tutti dettati dallo stato di emergenza e in gran misura
suggeriti dalle istituzioni comunitarie - sono stati portati a termine. La
valutazione sulla loro efficacia e sul loro grado di equità lascia spazio a
diversi atteggiamenti. Di approvazione, di dubbio o di critica feroce. In ogni
caso, al di là di tale pur decisivo aspetto, sappiamo che non rimane molto da
fare, se non ultimare e rifinire ciò che è già stato intrapreso. Certo, si
potrebbe intervenire sul fronte della crescita, per creare condizioni che la possano
favorire. In realtà, si tratta di materia artificiosa. Il governo non può fare
quasi nulla. La recessione colpisce quasi tutte le nazioni del vecchio
continente, e le previsioni di crescita nel breve periodo sono decisamente negative.
La crisi continua a mordere e lo farà per molto tempo ancora. Le risorse a
disposizione dei Paesi sono limitate e, soprattutto, non c’è lavoro. Per timore,
per cinico calcolo o per impossibilità oggettiva, nessuno investe. Non si può
creare lavoro dal nulla, senza mettere mano a corposi investimenti. Le banche,
stringendo sempre più i cordoni del credito, certamente non aiutano. Badano
soprattutto a salvaguardare loro stesse. Senza un aumento consistente degli
investimenti non ci potrà essere un’espansione dei consumi, e la produzione è
destinata a calare ancora. Di contro, drammatico e inevitabile sarà l’incremento
del numero di disoccupati. Puntare esclusivamente su un’ipotetica crescita per
rilanciare il Paese potrebbe tuttavia rivelarsi un errore. Perché potrebbe non
bastare, oppure essere impossibile da attuare. Ci sarebbe forse bisogno di pensare
a nuovi schemi di sviluppo, più compatibili e solidali. È inutile accanirsi nel
gonfiare l’economia, meglio trasformarla, riplasmarla. Perseguire modelli
legati a una maggiore sobrietà. Propositi facili a dirsi, molto difficili da realizzare.
La vita di tutti subirebbe dei mutamenti ardui da accettare, legati
inevitabilmente a dolorose anche se utili rinunce.
Salvo improbabili e non auspicabili
fibrillazioni politiche autunnali, l’esecutivo Monti esaurirà il suo mandato
nella primavera del 2013, quando saremo chiamati alle urne. La consultazione
elettorale dovrà esprimere una nuova maggioranza e un nuovo governo non più
tecnico ma politico.
Supponendo che ci verremo a trovare, a
quel punto, di fronte a una situazione economica del Paese ancora critica ma
stabilizzata nei suoi macro fattori, ci chiediamo in quale modo il nuovo
governo potrà fronteggiare gli effetti della crisi, non più quelli sul bilancio
dello Stato ma quelli sulle persone, cioè sulla pelle di ognuno di noi. A risorse generali
pressoché immutate, l’unica politica efficace potrà essere quella
redistributiva. Per procedere in tal senso, un esecutivo ha la necessità di
possedere una maggioranza ampia e omogenea, di impianto progressista e riformista.
Qualcosa di molto simile alla socialdemocrazia. Una maggioranza di tal genere,
storicamente, in Italia non c’è mai stata, ed è probabile che non esisterà mai.
D’altra parte una redistribuzione del reddito – allo scopo di perseguire una
maggiore uguaglianza tra i cittadini e di disinnescare pericolosi conflitti
sociali - non può di certo essere effettuata dalla destra. In più, elemento di
grande preoccupazione, gli attuali partiti sono inadeguati, appaiono
sfilacciati, fiacchi, privi di idee e di una visione credibile, del tutto delegittimati. Tormentati
da una mai risolta questione morale. Non è semplice ricostruire in poco tempo
un sistema di partiti virtuoso. È comunque doveroso e indispensabile tentare.
Una democrazia sana non può fare a meno di formazioni politiche che possano
aggregare e indirizzare il consenso. Chi pensa il contrario è un qualunquista, nonché
un irresponsabile.
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