Negli ultimi tempi piccoli imprenditori in difficoltà,
artigiani e disoccupati senza alcuna prospettiva si sono tolti la vita. In
tanti. Eventi luttuosi e tragici, che addolorano, che fanno riflettere.
Fatti simili sono sempre avvenuti, in passato. Certo, in
minore quantità, ma soltanto di poco. In questo particolare momento tuttavia c’è
stata, rispetto a tali accadimenti, una rumorosa amplificazione, condotta dai
giornali e dalla televisione, dalla politica. Sono stati definiti suicidi di
Stato ravvisando, in tal modo, una diretta responsabilità da parte delle
istituzioni. Che non solo non sono state in grado di tutelare i cittadini, ma
ne hanno provocano addirittura la morte.
Forse si tratta di esagerazioni, di vergognose
strumentalizzazioni; in ogni caso è necessaria una valutazione più ponderata,
per riportare tali drammatiche vicende alla loro reale accezione, per sgombrare
il campo da pericolosi fraintendimenti.
La crisi economica sta stringendo sempre più le società
occidentali in una morsa crudele. Le prospettive future sono nebulose, non si
riescono ad ipotizzare tempi certi rispetto a una possibile ripresa, manca la
speranza. I cittadini, ormai del tutto consapevoli della gravità della
situazione, giorno dopo giorno si impoveriscono sempre più. Qualcuno tra loro si
ritrova sempre più ai margini, spesso sulla soglia di uno stato di indigenza
che fa paura, che atterrisce e può spingere a gesti sconsiderati. Come il
suicidio.
Nessuna scelta è così personale come la decisione di
togliersi la vita. Implica l’assunzione di una responsabilità elevata al
massimo grado, assoluta. Un’opzione tra esistere e non esistere. Anche il
tormento e la sofferenza che sempre precedono tale scelta sono elementi del
tutto individuali, mai condivisi, neppure con i più stretti congiunti. Nulla
traspare prima del folle gesto, e tale aspetto annienta i familiari, che niente
hanno percepito, che non hanno avuto la minima possibilità di aiutare il loro
caro.
Perché, allora, insistere nel definire tali tragedie suicidi
di Stato o, ancor peggio, omicidi imputabili allo Stato?
Alcune asettiche considerazioni: l’attuale governo ha fatto
il possibile (sebbene a volte in maniera criticabile e discutibile) per
fronteggiare una situazione economica quasi disperata. Sono stati assunti provvedimenti
molto duri, a volte anche iniqui, ma non esistevano altre alternative Poi
occorre dire che le tasse, da sempre, sono state incassate dallo Stato. Attraverso
strutture di esazione che adesso si chiamano Equitalia e concessionari locali, che
un tempo avevano un’altra denominazione ma sempre la medesima funzione. Così
come ci sono sempre stati imprenditori in difficoltà e lavoratori disperati.
Perché adesso tutto ciò ha assunto una maggiore risonanza?
Perché si arriva a criminalizzare Equitalia, cioè lo Stato?
Certo, la crisi. Il progressivo impoverimento di quasi tutte
le classi sociali. Il cinismo delle banche che, invece di elargire credito, preferiscono
operare sul mercato finanziario. La stanchezza. Le maggiori rinunce. L’assenza
di prospettive. Le preoccupazioni per il futuro dei figli. Il fallimento. Tutte
motivazioni importanti ma, ci si domanda, tali da spingere una persona a
rinunciare alla vita?
In ogni caso, se proprio vogliamo addossare responsabilità,
perché non chiamare in causa il precedente, indegno governo? Che ha
sottovalutato la crisi economica, l’ha sminuita, e ha contribuito in tale
maniera a rendere i suoi effetti più devastanti. Purtroppo è onesto affermare
che, tra i tanti che hanno sostenuto sia quell’esecutivo che quelli - allo
stesso modo irresponsabili - che lo hanno preceduto, forse ci sono tanti
imprenditori che adesso si trovano in difficoltà, vittime oltre che della
congiuntura economica anche di un’illusione pagata a caro prezzo.
Colpa di tanti, dunque, sebbene non di tutti.
Le tragiche morti di questi tristi giorni da attribuire
quindi a una responsabilità non soltanto individuale, ma collettiva. Ma è bene
non cullarsi in tali ingannevoli tesi, colme di perversi effetti distorsivi.
È meglio limitarsi a un unico stato d’animo, al solo
sentimento che dovrebbe essere consentito di esprimere di fronte a tali dolenti
episodi, quello dell’umana pietà.
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