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martedì 28 febbraio 2012

TAV: ALTA TENSIONE



Cresce la protesta in Val di Susa, e aumenta a dismisura la tensione, dopo la tragica caduta da un traliccio, avvenuta ieri, di un attivista NO TAV, salito sul palo per manifestare, una volta di più, la sua opposizione e quella di un’intera valle al progetto dell’alta velocità. Una disputa che sembra non avere fine, e per la quale non si intravede una ragionevole soluzione, che si trascina ormai da diciotto lunghi anni.
Ancora una volta è necessario svolgere una riflessione, per tentare di comprendere le ragioni di una protesta condotta in maniera così caparbia e ostinata, addirittura a sprezzo della vita.
Il dichiarare che l’apertura del corridoio ferroviario Torino-Lione sia questione vitale, che la mancata realizzazione dell’opera possa comportare una condizione di isolamento per l’intera regione - se non per l’intero Paese - l’asserire che, a questo punto, gli impegni sono stati ormai assunti e devono essere d’obbligo onorati sono tutte asserzioni che, facilmente, potrebbero apparire, se non false, quantomeno ingannevoli e artificiose.
È vero, allo stato attuale sembra piuttosto difficile, se non impossibile, tornare indietro. I cantieri sono insediati, i lavori stanno superando la loro fase iniziale; dall’altro versante della montagna, su suolo francese, le operazioni procedono senza intoppi e in maniera spedita, si dice. Ne siamo veramente sicuri?
Oggi, finalmente, e con colpevole ritardo, è intervenuto il governo, per voce del ministro Corrado Passera, per ribadire che indietro non si può tornare. Non dobbiamo scordare, però, che si è giunti alla situazione attuale anche per l’ignavia, l’inadeguatezza e la superficialità dei precedenti esecutivi. Tutti, di destra e di sinistra, incapaci di prevedere con la necessaria e opportuna lungimiranza l’impatto che una grande opera di questo tipo avrebbe prodotto su una piccola valle. Un territorio già martoriato pesantemente dalla realizzazione di un’autostrada che, alla fine, si è rivelata utile per le grandi aziende di trasporti e per i pendolari delle vacanze e che non ha prodotto nessun autentico beneficio per i valligiani. Richiedere un ulteriore sacrificio a un territorio già provato è stata una scommessa che si è rivelata perdente.
D’accordo, la decisione sul compimento del grande progetto ferroviario è stata assunta seguendo le normali procedure democratiche, le quali a volte implicano il sacrificio di interessi particolari a favore della collettività. Ma fino a che punto è lecito spingere tale richiesta? É moralmente conveniente  ritenere insignificanti, o del tutto residuali, le necessità di migliaia di persone, di un intero territorio? Oppure sarebbe corretto valutare e considerare con più attenzione e, soprattutto, con maggiore partecipazione,  i bisogni e le naturali rimostranze di questi cittadini? Cittadini, tra l’altro, sottoposti a una sospensione – in ogni caso di sicuro a un’attenuazione – dei diritti e delle garanzie democratiche, poiché costretti a vivere, per molti anni, in un territorio in pratica militarizzato, obbligati a esibire dei veri e propri lasciapassare per operare alcuni spostamenti, per potersi recare nei campi da coltivare.
Infine, non è mai stato del tutto sciolto il dubbio che sta al cuore della vicenda: l’utilità dell’opera. Nessuno è in grado di scioglierlo in maniera definitiva, né chi è a favore né chi è contrario. Ognuna di queste tesi contiene ragionevoli punti a favore. Nell’una e nell’altra ipotesi, i pareri di autorevoli esperti sostengono con misura le ragioni del sì oppure del no. In questi casi, di fronte a questioni non facili da risolvere, sarebbe saggio rivolgere uno sguardo al passato.
Fino a poco tempo fa era ritenuta fondamentale anche la costruzione del Ponte sullo Stretto. Poi, benché con fatica, è prevalso il buon senso. Oppure, che dire di opere faraoniche come l’aeroporto di Malpensa, portate a termine tra grandi trionfalismi e che si sono rivelate, dopo pochi anni, del tutto fallimentari, un enorme spreco di risorse pubbliche in un Paese in difficoltà  che avrebbe bisogno di ospedali efficienti, di manutenzione dell’intera rete dei trasporti, di conservazione del territorio, minato dai continui dissesti idrogeologici dovuti all’incuria.
Occorre riflettere, dunque. Senza pregiudizi, senza ricorrere a facili schemi, che non portano a nulla. Ed è doveroso indirizzare un apprezzamento colmo di rispetto a chi combatte una battaglia forse vana – non importa se giusta o sbagliata, non siamo in condizione di dirlo -  in maniera pacifica, isolando i violenti e rivendicando fino in fondo il diritto al dissenso, elemento sostanziale di una democrazia sana e al quale non possiamo e non dobbiamo rinunciare.  

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