Ho sempre prediletto le piazze. Quelle minuscole, dove non
circolano le automobili. Si tratta di luoghi che trasmettono pace, posti nei
quali è possibile provare una sensazione di sospensione da tutto. Dalla
confusione, dalla frenesia, e dove i pensieri assumono una dimensione di maggiore
concretezza, perché scorrono più liberi e più limpidi. Il posto ideale per
riposare e per riflettere. Per stare soli in mezzo alla gente. Mi piace
fermarmi e stazionare per un po’ di tempo, soltanto così si riesce ad assaporare
in pieno lo spirito del luogo, a immergersi in esso. Può essere una piazza di
Firenze o un campo di Venezia, oppure di un qualsiasi paesino umbro, o ancora un
grazioso slargo di Siviglia o di Granada. Non c’è differenza, la percezione è
la stessa.
Proprio al centro c’è una fontana. Mi siedo sui gradini,
appoggiando la schiena alla cancellata che la racchiude. È il tardo pomeriggio
di un caldo giorno d’estate. Non può essere altrimenti, poiché le piazze
rappresentano l’estate, sono l’estate.
Le antiche pietre, lisce e impolverate, restituiscono al mio corpo il calore
accumulato fin dal mattino. Il tepore è piacevole, rilassante. Potrei dormire,
potrei volare.
Appoggio lo zaino al mio fianco ed estraggo il libro che sto
leggendo. È un romanzo di Carlos Fuentes, il grande scrittore messicano.
Proseguo il viaggio attraverso i segreti dell’anima femminile, penetro l’intimo
di Laura Dìaz.
Senza pensare, in maniera automatica, con riflesso quasi pavloviano,
infilo gli auricolari. Mentre proseguo nella lettura, ascolto per tre volte
consecutive In perfetta solitudine dei
Diaframma. Le parole della canzone si fondono con quelle di Fuentes, ma le une
e le altre non si confondono, al contrario scorgano cristalline e colpiscono
differenti strati di coscienza. Tutto mi è chiaro.
“Non è che tu non mi
piaccia, Alberto, ma non sei alla mia altezza. Puoi baciarmi, se vuoi. Ma è un
bacio d’addio” dice Laura Dìaz, sconfortata.
“Amore che non
perdoni/inventati ali per volare oltre questi tetti/e fuggi via da qui…”
ribatte una voce spezzata e affranta in
musica, con uno spiccato accento toscano.
“Con chi hai voluto far
bella figura, Juan Francisco? Con me hai fatto brutta figura per sempre” taglia
corto Laura, spietata.
“Questa è la faccia che
troverai/questo è il corpo che aspetta/queste le carte che gioco/in perfetta
solitudine… dice il ragazzo fiorentino.
Poi mi distraggo. Alzo gli occhi e la vedo. La ragazza è
seduta di fronte a me, sull’altro lato della piazza, sui gradini di un vecchio
palazzo. È sola e tra le mani regge un libro. Nascosto dietro al mio, di libro,
non riesco a fare a meno di guardarla. I suoi capelli sono color castano chiaro,
lunghi e sottili. La pelle del suo viso è trasparente, gli occhi sono grandi.
Riesco soltanto a immaginare la forma e la consistenza delle sue labbra. Indossa
una leggera maglietta blu, senza maniche. Le sue braccia magre sono abbronzate,
come le gambe che spuntano dai corti pantaloncini. La osservo meglio, e con
stupore mi accorgo che non è bella. Eppure non riesco a distogliere lo sguardo
dalla sua persona. Lei non si accorge di nulla. A un tratto alza la testa,
scuote la chioma, poi indossa gli occhiali da sole e si immerge di nuovo nella
lettura.
Potrei cercare di vincere la mia abituale ritrosia, la mia
consueta e pesante riservatezza. La mia grande timidezza. Siamo soli, entrambi.
Potrei andare a sedermi accanto a lei, chiederle che libro sta leggendo,
fingermi interessato. Potrei dirle il mio nome, e conoscere il suo. Potremmo
parlare.
No, non intendo ridurmi come l’infelice Alberto, né fare la
fine del povero Juan Francisco, tantomeno ritrovarmi a giocare le mie carte in
perfetta solitudine… Rinuncio.
Tuttavia mi concedo una piccola, incredibile trasgressione.
Indosso lo zaino e mi alzo. La magia della piazza non c’è più, l’incanto è
finito. Le passo accanto e le rivolgo un ultimo disperato sguardo. Noto che ha
un ginocchio sbucciato. Lei solleva gli occhi dal libro, accenna un sorriso.
Poi riprende a leggere. Per un breve istante ho fatto parte della sua
esistenza. Mi deve bastare.
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