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giovedì 9 febbraio 2012

LA PIAZZA



Ho sempre prediletto le piazze. Quelle minuscole, dove non circolano le automobili. Si tratta di luoghi che trasmettono pace, posti nei quali è possibile provare una sensazione di sospensione da tutto. Dalla confusione, dalla frenesia, e dove i pensieri assumono una dimensione di maggiore concretezza, perché scorrono più liberi e più limpidi. Il posto ideale per riposare e per riflettere. Per stare soli in mezzo alla gente. Mi piace fermarmi e stazionare per un po’ di tempo, soltanto così si riesce ad assaporare in pieno lo spirito del luogo, a immergersi in esso. Può essere una piazza di Firenze o un campo di Venezia, oppure di un qualsiasi paesino umbro, o ancora un grazioso slargo di Siviglia o di Granada. Non c’è differenza, la percezione è la stessa.
Proprio al centro c’è una fontana. Mi siedo sui gradini, appoggiando la schiena alla cancellata che la racchiude. È il tardo pomeriggio di un caldo giorno d’estate. Non può essere altrimenti, poiché le piazze rappresentano l’estate, sono l’estate. Le antiche pietre, lisce e impolverate, restituiscono al mio corpo il calore accumulato fin dal mattino. Il tepore è piacevole, rilassante. Potrei dormire, potrei volare.
Appoggio lo zaino al mio fianco ed estraggo il libro che sto leggendo. È un romanzo di Carlos Fuentes, il grande scrittore messicano. Proseguo il viaggio attraverso i segreti dell’anima femminile, penetro l’intimo di Laura Dìaz.
Senza pensare, in maniera automatica, con riflesso quasi pavloviano, infilo gli auricolari. Mentre proseguo nella lettura, ascolto per tre volte consecutive In perfetta solitudine dei Diaframma. Le parole della canzone si fondono con quelle di Fuentes, ma le une e le altre non si confondono, al contrario scorgano cristalline e colpiscono differenti strati di coscienza. Tutto mi è chiaro.
“Non è che tu non mi piaccia, Alberto, ma non sei alla mia altezza. Puoi baciarmi, se vuoi. Ma è un bacio d’addio” dice Laura Dìaz, sconfortata.
“Amore che non perdoni/inventati ali per volare oltre questi tetti/e fuggi via da qui…” ribatte una voce spezzata e affranta  in musica, con uno spiccato accento toscano.
“Con chi hai voluto far bella figura, Juan Francisco? Con me hai fatto brutta figura per sempre” taglia corto Laura, spietata.
“Questa è la faccia che troverai/questo è il corpo che aspetta/queste le carte che gioco/in perfetta solitudine… dice il ragazzo fiorentino.
Poi mi distraggo. Alzo gli occhi e la vedo. La ragazza è seduta di fronte a me, sull’altro lato della piazza, sui gradini di un vecchio palazzo. È sola e tra le mani regge un libro. Nascosto dietro al mio, di libro, non riesco a fare a meno di guardarla. I suoi capelli sono color castano chiaro, lunghi e sottili. La pelle del suo viso è trasparente, gli occhi sono grandi. Riesco soltanto a immaginare la forma e la consistenza delle sue labbra. Indossa una leggera maglietta blu, senza maniche. Le sue braccia magre sono abbronzate, come le gambe che spuntano dai corti pantaloncini. La osservo meglio, e con stupore mi accorgo che non è bella. Eppure non riesco a distogliere lo sguardo dalla sua persona. Lei non si accorge di nulla. A un tratto alza la testa, scuote la chioma, poi indossa gli occhiali da sole e si immerge di nuovo nella lettura.
Potrei cercare di vincere la mia abituale ritrosia, la mia consueta e pesante riservatezza. La mia grande timidezza. Siamo soli, entrambi. Potrei andare a sedermi accanto a lei, chiederle che libro sta leggendo, fingermi interessato. Potrei dirle il mio nome, e conoscere il suo. Potremmo parlare.
No, non intendo ridurmi come l’infelice Alberto, né fare la fine del povero Juan Francisco, tantomeno ritrovarmi a giocare le mie carte in perfetta solitudine… Rinuncio.
Tuttavia mi concedo una piccola, incredibile trasgressione. Indosso lo zaino e mi alzo. La magia della piazza non c’è più, l’incanto è finito. Le passo accanto e le rivolgo un ultimo disperato sguardo. Noto che ha un ginocchio sbucciato. Lei solleva gli occhi dal libro, accenna un sorriso. Poi riprende a leggere. Per un breve istante ho fatto parte della sua esistenza. Mi deve bastare. 

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