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giovedì 16 febbraio 2012

L'AMORE AI TEMPI DELLA CRISI



È buio. Anna è ferma all’incrocio, nel solito posto, quello di tutte le sue notti.
Le sue gambe, lunghe e sottili, sono nude. Rabbrividisce. Lo striminzito giubbotto di pelle, rosso vivo, non riesce a riparare il suo corpo dal freddo. La ragazza prova un po’ di invidia per la sua collega Silvia, appostata a un centinaio di metri, per la sua lunga e calda pelliccia, che copre il niente. È uno stato d’animo che dura un attimo. No, lei non indosserebbe mai una pelliccia, perché è una convinta animalista. E, nel pensare ciò, si accorge di nutrire per la condizione di Silvia non più gelosia ma una lieve rabbia. Scuote il capo, tra sé, quasi incredula di quanto possa essere volubile la natura umana.
Si avvicina un’auto di grossa cilindrata. Rallenta fin quasi a fermarsi. Molte ombre dietro ai vetri appannati. Agitazione. Un flebile ronzio e un finestrino si abbassa. No, di sicuro non si tratta di clienti.
“Puttana!” grida il ragazzo che è alla guida. Risate e schiamazzi. Anche lei sorride. Una violenta sgommata e l’auto si allontana nella notte.
Puttana. Ad Anna piace quella parola, dal suono spesso e rotondo. Da poco ha scoperto che significa fanciulla. Il resto non lo ricorda, le basta sapere quello. In fondo, che cos’è lei, se non una giovane fanciulla? Perché quel termine è ritenuto offensivo? Poveri ragazzi, considera, così vuoti e così stolti.
Adesso la ragazza ha veramente freddo. I suoi piedi, infilati in scarpe leggere dal tacco smisurato, sono congelati. Così come tutto il corpo, che inizia a tremare percorso da brividi difficili da controllare.
Anna sogna un abitacolo caldo e confortevole, una dolce musica di sottofondo. Il resto, che importa…
Il suo desiderio alla fine si avvera. Una scalcinata utilitaria si ferma accanto a lei. L’uomo si sporge, armeggia sulla manovella del vetro, che si abbassa a fatica, di sbieco. Sblocca la portiera. Anna sale, e come sempre va incontro all’ignoto. Il cliente, un anonimo individuo di mezz’età, riparte senza pronunciare una sola parola. La ragazza non si stupisce, è abituata a quel genere di atteggiamento. Timidezza, imbarazzo, senso di colpa o chissà cos’altro. Quel comportamento, benché strano, è comunque comprensibile. Lei ci è avvezza. Fa parte del suo mestiere.
“Fa freddo” rompe il silenzio Anna. “Non potresti accendere il riscaldamento, per favore?”
Alla musica, invece, ha ormai rinunciato. Ha visto che l’autoradio non c’è.
Un grugnito, poi l’uomo si volta. Osserva la ragazza con attenzione per la prima volta.
“Mi dispiace ma non funziona” dice, con voce roca, da accanito fumatore.
“Ah!”
“Non funziona più nulla” aggiunge il cliente.
“Come?”
“Anche i tergicristalli sono rotti. Per fortuna non piove.”
Nella ragazza subentra un po’ d’inquietudine. Quel tipo è di sicuro un po’ bizzarro, ma non sembra pericoloso. Lo spera. Guida con gli occhi incollati al parabrezza, le sue mani sono aggrappate al volante. Ad Anna ricorda un grosso pappagallo appollaiato sul trespolo. Quasi le scappa da ridere, poi si trattiene. Chissà, forse è una persona permalosa, meglio non rischiare.
Il tragitto dura poco. Una svolta improvvisa in una via buia, poi l’uomo spegne il motore.
“Qui?” domanda la ragazza. Lui annuisce. Poi infila la mano nella tasca dei pantaloni, estrae una banconota dal logoro portafoglio e la porge ad Anna.
Lei sbatte gli occhi, cerchiati, dal trucco pesante.
“Dieci?” dice, stupita. “Mi spiace, ma con dieci non si può fare…”
L’uomo la interrompe con un cenno. Lei tace. Adesso ha un po’ paura.
“Sono sufficienti per parlare con te dieci minuti?”
Meglio assecondare, riflette la ragazza.
“Sì, certo…”
“È tutto quello che ho” dice l’uomo. Il suo atteggiamento di colpo diventa mesto, contrito. Forse prova vergogna. Di se stesso, della situazione in cui si è cacciato, della sua misera condizione.
“Tra un mese non avrò più la cassa integrazione. Non mi potrò più permettere questi piccoli lussi” dice l’uomo, che tenta di condire quelle parole con uno stentato sorriso.
“Mi spiace”. Anna non sa cos’altro aggiungere. Adesso l’uomo le fa un po’ pena.
Lui appoggia il capo al volante.
“Se vuoi, potremmo lo stesso fare…” inizia a dire Anna. Subito si pente della sua avventatezza.
“No! Non voglio la pietà di una…”
“…puttana?” conclude Anna, serafica.
“Scusami, non volevo offenderti…”
“Non preoccuparti, non me la prendo per così poco.”
“Sto perdendo tutto, non voglio perdere anche la mia dignità, capisci?”
“Credo di sì. Perché sei venuto a cercarmi, allora?”
“Perché non so più con chi parlare. Tutti mi trattano come un appestato. Anche la mia famiglia. Nessuno lo dice, ma tutti mi considerano un fallito. Lo capisco da come mi guardano. Il mio unico intento era quello di sfogarmi.”
“Lo hai fatto? Adesso ti senti meglio?” domanda Anna.
L’uomo scrolla le spalle. I suoi occhi sono lucidi.
“Non lo so. Adesso ti riporto indietro.” Un uomo sconsolato. Un uomo finito.
“Grazie” dice Anna. In mano ha ancora la banconota. La piega in due e la introduce nella borsetta.
L’uomo segue il suo gesto. Lo approva.
Anna, in cambio, gli regala un sorriso.
“La tua dignità è salva” dice.
L’uomo accende il motore.

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