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domenica 19 febbraio 2012

ONCE UPON A TIME... SANREMO



Mi tocca. Anche quest’anno non riesco a sottrarmi dall’occorrenza di esprimere alcune osservazioni sull’appena defunto Festival di Sanremo.
Sarà perché in epoca giovanile mi sono occupato con passione di critica musicale (ma si trattava di tutt’altra musica…) oppure per puro masochismo, o semplicemente perché la rassegna canora è, in ogni caso, un evento di costume riguardo al quale nessuno rinuncia a pronunciare un’opinione.
E il giudizio, come di consueto, non può che essere negativo.
Certo, è gioco facile sparare sul niente, direte, tuttavia è un esercizio che risulta essere divertente.
Preciso che non ho trascorso molto tempo davanti al televisore. Non possiedo la pazienza necessaria. Tutto è troppo lungo, dilatato oltre misura, interminabile. Sono eccessive le interruzioni pubblicitarie, che detesto. Comunque ho ascoltato con attenzione i brani in gara (per fortuna esistono alternative al maledetto video) e ho letto i commenti degli addetti ai lavori. Insomma, so di che cosa parlo. Le mie non sono considerazioni da bar. O da ufficio.
Vorrei iniziare dalle esibizioni di Celentano, che tante polemiche - del tutto prevedibili – hanno suscitato. Alla fine ne è stato travolto il solo direttore artistico della manifestazione, che ha rinunciato all’incarico per il futuro. Con troppi anni di ritardo, ritengo.
Bisogna dire che alcune persone – in particolare nel mondo artistico – non possiedono la virtù di saper invecchiare bene. Bene, Celentano rientra tra questi. Livido, acido, rancoroso, il Predicatore del Nulla è passato, rapido, dal patetico al ridicolo. A tale proposito rimane poco altro da aggiungere. Mi permetto soltanto di offrire un minimo suggerimento: se lui proprio non ama Famiglia Cristiana e l’Avvenire (che ossessione!)  si limiti a non leggerli. Io l’ho fatto, da sempre, e mi trovo bene.
Poco da dire anche su Morandi. Impacciato, inadeguato, – fin dalla scorsa edizione – è sembrato di continuo a disagio, del tutto fuori posto. Imbarazzato e imbarazzante.
E Rocco Papaleo? Ecco, adesso ne ho parlato. Tale spazio mi pare più che sufficiente.
Inoltre: vallette mute, vallette ridanciane, vallette di ripiego. Tutta spazzatura. Così come gli ospiti, presunti comici e intrattenitori, o attorucoli in cerca di promozione imposti dalla produzione (Rai).
Nel contorno, salverei soltanto le pregevoli, originali e fantasiose coreografie di Daniel Ezlarow, certamente gradevoli. E porrei l’accento, soprattutto, sulle esibizioni di autentiche artiste quali Patti Smith e Noa, alle quali è riuscita l’impresa di nobilitare, ancorché per qualche minuto, lo sgangherato carrozzone e, allo stesso tempo, è toccato il merito di rivelarne le miserie.
E le canzoni? Vale a dire ciò che dovrebbe rappresentare l’elemento principale, essenziale, imprescindibile del Festival? Su tale fronte, desolazione assoluta. Un livello qualitativo ancora più basso rispetto a quello già non eccelso dell’anno passato.
Naturalmente hanno vinto le peggiori, come da tradizione quasi sempre rispettata. Non poteva essere altrimenti, dal momento  che la valutazione era affidata, in misura preponderante, al televoto. Al televoto? Allora vuol dire che quelli che hanno contribuito al successo finale della strillante Emma (brava ragazza, per il resto…) oltre che del ragazzino che non sa cantare sono gli stessi che per ben tre volte hanno condotto alla vittoria – in Festival molto più importanti – quel tipo ricco, basso e pelato, sempre circondato da giovani “ammiratrici”? Sì, temo proprio si tratti della stessa maggioranza, rimpolpata nell’occasione da qualche adolescente rimbambito dalla televisione o dalle troppe ore passate in rete sui social networks.
Permettetemi un’analogia artistica. Ieri hanno trionfato al Festival del Cinema di Berlino i fratelli Taviani con il loro film “Cesare deve morire”. Chi è stato a decretare questo importante e ambito riconoscimento? Una giuria ristretta e selezionata composta da persone competenti oppure il televoto? A voi la risposta.
Chiudo la digressione e torno alle canzoni del Festival. Alla nostra pochezza.
C’è qualcosa da salvare in ambito musicale? Come sempre, sì, pur con scarso entusiasmo.
Innanzitutto, i Marlene Kuntz, i veri alieni della gara canora. Anche se non al loro meglio hanno comunque dimostrato che si può fare musica con passione, onestà e spessore. Sostanza, e non solo plastica. Discreti Irene Fornaciari con il grazioso brano di Davide Van De Sfroos (anche lui non al suo meglio) ed Eugenio Finardi il cui pezzo, ben interpretato e in apparenza valido, si è un po' sfarinato ai ripetuti ascolti diventando tedioso. Originale e fuori dal coro, come al solito, Samuele Bersani. 
E tra le giovani proposte? Interessante Marco Guazzone, una sorta di miscuglio tra Muse e Coldplay in salsa nostrana e, soprattutto, la brava e delicata Erica Mou, con il suo brano intenso e vagamente stralunato.
Tutto qui. A questo punto vorrei fare, a me stesso, una solenne promessa. Quella di non ricascarci più, e di non occuparmi mai più di Sanremo. Sono sicuro che per quasi un intero anno riuscirò a mantenere tale proponimento. Poi, chissà…
Gli esseri umani, per loro natura, sono deboli e adorano farsi del male.

1 commento:

  1. Concordo abbastanza, per Celentano, vorrei dire una cosa, tutti sanno che è catto-cristiano, solo che pensa di dire cose originali, mentre in verità ha difeso la chiesa, salvo modifiche nel loro fare, che a suo dire sono inadeguate. Saluti convinti da Salvatore.

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