Un’Olimpiade si può perdere, e si può perdere in tanti modi
diversi.
La preparazione ai Giochi Olimpici comporta, per un atleta,
quattro anni di dedizione totale e di grandi sacrifici. Vuol dire vivere
quotidianamente con un solo, unico assillante pensiero, vale a dire l’obiettivo
finale, la gara della vita. Significa stare lontano dagli affetti più cari,
trascorrere lunghi periodi in quasi totale isolamento, circondati soltanto dai
compagni di avventura, dai tecnici e dai dirigenti della federazione sportiva
di appartenenza. Soprattutto vuol dire rinunciare, per lungo tempo, a svolgere
una vita normale, a fare progetti, implica fare a meno di tutte quelle piccole
e insignificanti attività che per l’essere umano sono comunque importanti, come
una bevuta con gli amici, una pizza o una serata particolare. Insomma, tutto
ciò che è ordinario diventa all’improvviso proibito. All’atleta tocca immolarsi
completamente in nome del traguardo finale: i Giochi.
E tutti questi disagi, queste enormi privazioni (uniti alla
immane fatica fisica dovuta agli allenamenti) sono ancora più pesanti per tutti
quegli sportivi che praticano discipline minori, quasi sconosciute, per le
quali non c’è mai visibilità a livello di televisione e giornali. Quegli sport
che, tra l’altro, dispongono di budget limitati, che nessuno conosce, dei quali
non si parla mai se non una volta ogni quattro anni.
Ebbene, nonostante tutto questo grande impegno, questa
dedizione quasi maniacale, può capitare di fallire, di non raggiungere l’agognata
meta, perché alla fine in ogni prova sarà soltanto uno a trionfare, soltanto
uno conquisterà la medaglia d’oro ed entrerà a far parte della storia delle
Olimpiadi. Ciò vuol dire che tutti gli altri avranno perso? No, assolutamente
no. Tutti i partecipanti, al di là delle delusioni e delle amarezze del momento,
risulteranno comunque vincitori poiché, con la loro partecipazione, avranno
contribuito, in maniera significativa, a rinnovare lo spirito olimpico e gli
ideali che da sempre lo accompagnano. Come possiamo parlare di sconfitta nel
caso della ragazzona sedicenne saudita del judo che ha combattuto con il velo,
anche se i suoi Giochi sono durati poco più di un minuto? Oppure nel caso della
velocista afgana (unica rappresentante ai Giochi del suo martoriato paese) che
è arrivata ultima, staccattissima, nella propria batteria? Queste donne coraggiose,
in realtà, hanno vinto anche se non hanno indossato la medaglia d’oro. Anzi, la
loro è stata una vittoria ancora più importante.
No, i veri sconfitti sono altri, una minoranza.
Ha perso chi è stato escluso dai Giochi perché accusato di
aver fatto ricorso a pratiche illecite. E chi non si è dimostrato corretto e
leale, come le ragazze del badminton, squalificate causa una combine. È risultato
sconfitto chi non ha saputo perdere in maniera dignitosa, come alcuni tra i
nostri nuotatori, e tutti quelli che hanno fatto prevalere interessi personali
e gretti, non in linea con i valori di una grande manifestazione (e festa)
sportiva come i Giochi Olimpici.
Pochi, comunque.
C’è invece chi ha perso pur non essendo un atleta, anche se
ha partecipato. E ha perso subito, senza appello. Mi riferisco alla Rai, la
nostra televisione di Stato.
Abbiamo assistito per mesi a una massiccia campagna di
propaganda, da parte della Rai stessa, in attesa dell’evento. Poi abbiamo
scoperto che la televisione pubblica aveva acquistato soltanto duecento ore di
gara in diretta delle Olimpiadi. Le tanto sbandierate reti digitali Raisport1 e
Raisport2 sono di conseguenza risultate perfettamente inutili. Per la cronaca,
in questi giorni stanno trasmettendo tristi filmati di partite del campionato
di calcio degli Anni Ottanta…
E anche le trasmissioni in diretta degli avvenimenti
olimpici sono state (e lo saranno nei prossimi giorni) molto modeste, affidate
non sempre a commentatori esperti, il più delle volte improvvisati (chi di voi
riesce a comprendere le acrobazie verbali di “Lucky” Lucchetta - che pure è
stato un grande campione - nella pallavolo, per esempio?), per fortuna con qualche
piacevole eccezione (Luca Sacchi nel nuoto).
Le gare sono di continuo spezzate, frantumate da ripetuti e
insistiti inserti pubblicitari, fino alla nausea. Non c’è il minimo rispetto
per i tempi morti tra una prova e l’altra, che pure hanno la loro importanza,
soprattutto nel nuoto e nell’atletica ma anche in altri sport. Spesso i
collegamenti avvengono (dopo l’immancabile pubblicità) quando una sfida ha già
avuto inizio. Nessuna considerazione, dunque, né per gli atleti e ancora meno
per gli spettatori, i quali tra l’altro pagano un canone e che, incolpevoli, le
Olimpiadi le stanno perdendo…
Insomma, si tratta di un autentico disastro. Niente
medaglia, per la Rai, neppure quella di latta.
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