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martedì 28 agosto 2012

RITORNO A LHASA - 3° e ultima parte



“Tra un’ora vi voglio tutti quanti qui” aggiunge il seducente attore. “Dovremo prendere delle decisioni importanti. Ormai tutto il mondo sarà venuto a conoscenza della nostra azione.”
“Ci sarà anche il Maestro?”
“No, lui preferisce trascorrere queste ore in meditazione. Era da tanto tempo che attendeva di tornare a casa.”
“Credo proprio che dovremo anticipare la riunione” bofonchia Leonard Cohen, che si é appena affacciato a una finestra. Mentre parla il cantautore canadese strimpella alcuni accordi di Suzanne.
“Che cosa hai visto?” domanda Baggio, nel suo stentato inglese. L’ex-calciatore dal viso infantile ha il sopracciglio sinistro perennemente corrucciato, quasi fosse sempre intento a prendere la mira.
“Cristo! Ci sono carri armati ovunque!” esclama Seagal. “La piazza ne è piena!”
“E guardate quanti militari!”
“Mi piacerebbe proprio prendere a mazzate quelle stupide teste gialle!” rinforza Tiger Woods, apparso all’improvviso, e che impugna una mazza di ferro numero tre.
“Tiger! Stai calmo. Anzi, cerchiamo di stare tutti tranquilli. Bene, dal momento che siamo al completo, possiamo iniziare a parlare. Se siete d’accordo, potremmo tentare di comunicare all’esterno le nostre richieste. Uno: il Tibet dovrà riavere la propria indipendenza. Due: dovrà essere permesso al Dalai Lama di rioccupare il palazzo di Potala, che sarà utilizzato per gestire gli affari di Stato e, come un tempo, per la preghiera. L’attuale museo dovrà quindi essere smantellato. Tre: a noi dovrà essere concesso un lasciapassare per consentirci di abbandonare incolumi il Tibet. Avete qualcosa da aggiungere? Qualche altra proposta?”
Nessuno commenta le affermazioni di Gere. Tutti acconsentono, con aria grave.
“Come pensi abbiano reagito le altre nazioni?” domanda infine Hancock.
Richard Gere riflette a lungo, prima di rispondere.
“Non lo so, Herbie. Proprio non lo so. A noi interessa che siano soprattutto i popoli di quelle nazioni a solidarizzare con noi e con i tibetani. Per troppo tempo questa delicata e tragica questione è stata dimenticata. Il resto verrà di conseguenza.”
“Mmm… e come faremo a comunicare le nostre istanze?” chiede Orlando Bloom.
“Semplice. Attraverso il telefono” dice Gere.
“Mi spiace deluderti, Richard, ma i telefoni non funzionano. Né quelli fissi e tantomeno i nostri cellulari” annuncia Tina Turner, che tiene tra le mani un microscopico telefonino.
“È vero, non funziona nulla, neppure i fax” conferma un giovane monaco, appena entrato nel salone.
Tutti lo guardano. Lui sorride.
“Tu! Calciatore!” ringhia all’improvviso Steven Seagal. “Tieni il dito lontano dal grilletto!” Roberto Baggio  risponde con un grugnito. Si è appena rimesso nella sua posizione preferita, con la canna del lungo fucile che sporge dalla finestra.
“Come ti chiami?” domanda Richard Gere al ragazzino dal cranio rasato, al quale tutti rivolgono di nuovo l’attenzione.
“Wen-zi.”
“Avresti il coraggio di uscire dal palazzo per consegnare ai militari un foglio con le nostre richieste?”
“Certo, io non ho paura dei soldati.”
Tina Turner emette un fischio di ammirazione per il giovane e impavido monaco il quale, dopo meno di mezz’ora, esce dal Potala stringendo tra le mani un rotolo di carta.
“Sono preoccupato per lui…” si lascia sfuggire Steven Seagal che, invano, si é offerto volontario per la rischiosa missione al posto del ragazzo. I suoi amici, con fatica, lo hanno dissuaso. Troppo pericoloso per un occidentale.
“State tranquilli” rassicura tutti Gere. “Sono sicuro che lo lasceranno tornare indietro, magari con una prima risposta delle autorità.”
E così è. Dopo un’attesa piuttosto breve ma che appare invece interminabile, Wen-zi è di ritorno. Reca con sé una grossa busta marrone.
“Da parte del generale Ling” dice. Herbie Hancock si impossessa del plico e lo apre. Estrae un unico foglio e lo scorre rapidamente con gli occhi coperti dalle lenti scure. Il messaggio, conciso, è scritto sia in inglese che in cinese.
“Allora? Che cosa dicono?” domanda Gere, impaziente. Tutti gli altri sono in spasmodica attesa, tranne Baggio che, immobile come una statua, continua a tenere sotto tiro i carri armati.
Hancock scuote il capo.
“Brutte notizie” dice il jazzista, e porge il foglio a Gere. “Leggi tu stesso.”
“Mmm… in pratica si tratta di una specie di ultimatum. Ci concedono due ore di tempo per uscire dal palazzo. In caso contrario lo prenderanno a cannonate, dicono. Inoltre ci comunicano che siamo completamente isolati. Hanno provveduto anche a oscurare internet. Nessuno, nel mondo, sa che siamo qui e che cosa stiamo cercando di fare.”
“Se sparano sono pronto a rispondere colpo su colpo” dichiara Baggio, senza neppure voltarsi. Nessuno gli bada.
“E il Maestro?”
“Lo dovremo consegnare. E naturalmente sarà arrestato. Per quanto riguarda noi, saremo immediatamente espulsi e non potremo mai più tornare in Cina. Be’… in fondo è un trattamento di favore, nei nostri confronti, considerando ciò che abbiamo fatto” conclude l’attore, con amarezza.
“È un bluff! Non oseranno mai fare una cosa del genere!” esclama Tiger Woods, roteando a velocità vertiginosa la mazza luccicante.
“Leonard, tu che dici?” La potente voce di Tina Turner è ridotta a un semplice sussurro.
Il canadese appoggia con delicatezza la chitarra al muro, si toglie la coppola e si gratta a lungo la nuca.
“Lo faranno, invece. Conosco molto bene i cinesi. Raderanno al suolo il Potala. Tanto, a loro che cosa gliene importa? Noi e il Maestro rimarremo sotto le macerie, insieme a tutti i monaci. Dopo qualche giorno manderanno un milione di operai e nel giro di due mesi ricostruiranno tutto come prima. O quasi.”
Poi Cohen si siede, afflitto.
“Richard, che cosa dobbiamo fare?” domanda Orlando Bloom. L’attore inglese non riesce a nascondere una certa apprensione.
“A questo punto credo che la decisione non spetti a noi ma al Maestro. Wen-zi, sei in grado di riferirgli quanto abbiamo detto? Tieni, portagli anche questo minaccioso messaggio.”
Il giovane monaco annuisce e subito si dirige verso il Palazzo Bianco, l’ala del Potala dove è raccolto in meditazione il Dalai Lama.
“Ora non ci resta che attendere” dice Gere, prima di accasciarsi su una scomoda sedia di legno intarsiato.
“Tina, perché non ci canti qualcosa? Sai, siamo tutti un po’ nervosi…” propone Bloom.
“Già, e tu in particolare” risponde la cantante nera, scuotendo l’immensa criniera di capelli biondi. E inizia a intonare, dolcemente, We Don’t Need Another Hero, accompagnata alla chitarra da Leonard Cohen e da Herbie Hancock, che ha tirato fuori da chissà dove una minuscola tastiera portatile a pile.
Quando La Turner ha appena ultimato la terza canzone, Wen-zi fa la sua ricomparsa.
“Hai già parlato con il Maestro?” gli domanda Gere, sorpreso.
Il giovane annuisce. Tutti gli si stringono intorno.
“Che cosa ha detto?”
“Dice che dovete fare come ordinano i cinesi.”
“Che cosa? Lui sarà imprigionato!”
“Dice che ciò sarà utile alla causa del popolo tibetano.”
“Non ci posso credere!” esclama Seagal, che appare sconvolto. Wen-zi prosegue, imperterrito, con tono di voce monocorde.
“Dice che Nelson Mandela dopo essere stato in carcere ha avuto fortuna. Sia lui che la propria gente. E inoltre è diventato Capo di Stato e gli è stato assegnato il Premio Nobel per la pace.”
“Ehi! Un attimo!” lo interrompe Tiger Woods urlando. “Il Maestro è Capo di Stato da quando aveva cinque anni e il Nobel gli è stato già assegnato qualche anno fa! Perché vuole andare in prigione?”
Ma il giovane Wen-zi ha una risposta per ogni domanda.
“Dice che è una esperienza che ancora gli manca, e che potrebbe essere la più significativa di tutta la sua ormai lunga vita.”
“Pazzesco!”
“Incredibile!”
Tutti discutono in maniera animata. Solo con un certo sforzo Richard Gere riesce a calmare gli animi accesi dei propri amici.
“Ragazzi! Calma! Dobbiamo accettare la decisione del Dalai Lama. In fondo è il maestro di tutti noi, e se così ha stabilito avrà le sue buone ragioni, che noi non siamo in grado di comprendere. È lui il vero e unico Oceano di Saggezza.”
Adesso tutti stanno zitti e chinano il capo. Dopo un lungo silenzio è Steven Seagal il primo a parlare.
“Dunque è tutto finito?” dice, rivolto a Richard Gere.
“Sì, Steve. È davvero tutto finito. Ci dobbiamo rassegnare. E dobbiamo pregare per Lui.”
E mentre pronuncia queste ultime parole all’attore viene in mente il film. Sì, il film! Sarà il mezzo attraverso il quale tutti saranno informati di quegli avvenimenti, anche se a quel furfante di Bobby Malone non piacerà un finale così malinconico. Di sicuro lo vorrà cambiare. E, per una volta, questa volta soltanto, anche Richard Gere alla fine si troverà d’accordo con lui.

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