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sabato 29 luglio 2017

FESTA DI PAESE



Mio padre che lava la piccola utilitaria e ne asciuga la carrozzeria con una pelle di daino (povera bestia!), poi strofina a lungo le cromature finché non risplendono. Lo osservo senza essere scorto, nascosto dietro la siepe di lauroceraso. Dopo un po' mi stufo e vado in cucina dove trovo mia madre impegnata a cucinare il pranzo della domenica. Il buon profumo di cibo ha invaso l'intero ambiente. Lei mi guarda e sorride.
"Oggi facciamo una gita?" domando.
"Se tuo padre ne avrà voglia andremo a una festa di paese".
Sono contento, perché adoro le feste di paese. Mi piacciono soprattutto le giostre, anche se i miei genitori non mi permettono di salirci. Dicono che sono pericolose. Non importa, vuol dire che mi limiterò a guardarle, mi piace lo stesso. Sono attratto soprattutto dall'autoscontro, da quelle minuscole vetture che vorticano sulla pista come mosche impazzite, che si inseguono si fronteggiano e sbattono tra loro con grida di eccitazione e di paura e risate sguaiate degli occupanti, tutti ragazzi come me.
Ci sediamo a tavola e mio padre sembra apprezzare molto il pranzo. Si serve più di una porzione di agnolotti e divora con soddisfazione l'arrosto con patate. Non esagera con il vino.
"Perché non andate a prepararvi? Andiamo a una festa di paese" dice passandosi una mano sul ventre gonfio. Io e mi a madre ci scambiamo uno sguardo complice. Lei mi porge una vecchia padella tutta ammaccata che contiene degli avanzi.
"Portali a Billy, oggi è festa anche per lui" dice.
Scendo in cortile, di corsa giù per le scale, attento a non rovesciare il cibo, e raggiungo il recinto di Billy. Lui appena mi vede inizia a scodinzolare, a fare salti di gioia. Tento di accarezzarlo ma lui si sottrae, attento soltanto al cibo.
"Noi adesso andiamo via. Mi raccomando, fai la guardia" gli dico, ma lui ha già il muso nero affondato nella ciotola.
Ritorno in casa, vado nella mia stanza e mi vesto. Indosso una maglietta color smeraldo e i jeans nuovi. Con disappunto noto che sono stirati con la piega. Eppure mi ero così tanto raccomandato con mia mamma! In ogni caso non mi lamento, non voglio rovinare la bella atmosfera della giornata di festa.
Raggiungo mio padre che sta fumando e sbuffando accanto all'automobile, una mano appoggiata sul tettuccio.
"Tua madre è sempre l'ultima!" esclama, ma noto che non è per nulla arrabbiato. Anzi, sembra piuttosto compiaciuto. Io sollevo le spalle per dimostrare la mia solidarietà, nonché tutta l'impotenza di noi maschi di fronte alla leziosità delle donne. Finalmente mia madre arriva, elegante come sempre e tutta profumata. Saliamo in auto e ci avviamo. Il viaggio tuttavia è breve. Dopo neppure venti minuti mio padre parcheggia in uno spiazzo vicino a una chiesetta. Non conosco quel piccolo paese, e fa molto caldo. La mia delusione è immensa quando vedo che le giostre non ci sono. Non riesco a trattenermi.
"Non ci sono le giostre" dico.
"No, non ci sono" commenta mio padre accendendosi una sigaretta. "Si vede che quest'anno avevano pochi soldi" aggiunge.
Le uniche attrazioni sono un ballo un palchetto, che aprirà soltanto la sera, e dei tavoli e delle panche affollati di persone. Noto che c'è pure un chiosco nel quale vengono servite le bevande e del cibo in piatti di plastica.
"Andiamo a bere qualcosa" propone mio padre. Mia madre annuisce. Prendiamo posto a uno dei tavoli, dove stiamo un po' stretti. Mio padre fa cenno a un cameriere di giornata. È un ragazzo poco più vecchio di me, con la faccia devastata dall'acne.
"Due birre" comanda mio padre. Poi si rivolge a me.
"E tu? Una bibita?"
"Anch'io voglio la birra" dico. Lui scuote il capo.
"Una gazzosa" ordina. Io approvo. Va bene lo stesso, perché so già che mia madre la birra non la berrà tutta, e io la potrò miscelare con la gazzosa.
Quasi tutti i presenti al nostro tavolo sono uomini. A eccezione di un vecchietto che sta mangiando delle acciughe con una salsa verde che puzza d'aglio, tutti gli altri bevono soltanto. Vino nero e denso. A un certo punto gli animi si accendono.
"Smettila con questa storia, Tom!" dice esasperato un uomo che porta un cappello di paglia a un altro che sta sbraitando con il bicchiere in mano. Guardo quest'ultimo: indossa una camicia a grossi riquadri, un po' sporca. I suoi capelli, neri e spessi, sono molto unti. Il suo viso ha un colore rosso scuro. L'uomo posa il bicchiere poi si alza in piedi. Mentre nessuno se l'aspetta con un balzo sale sul tavolo. Alcuni bicchieri si rovesciano, urtati dai suoi grossi scarponi sporchi. Dall'intero tavolo si alza un mormorio di disapprovazione. Di colpo mi rendo conto che quell'uomo è completamente ubriaco. Si inchina di fronte a mia madre poi inizia a parlare. Anzi, a urlare.
"Ve l'ho già detto mille volte e adesso ve lo ripeto! Quel bastardo di mio fratello Oreste, anzi mezzo bastardo perché era figlio della mia povera madre ma non di mio padre, non è mica caduto da solo nel canale ma ce l'ho buttato io! Quello non aveva voglia di lavorare ma gli piaceva il lusso. Veniva sempre a chiedere soldi per i suoi vestiti e le donne. Con gli amici faceva il grandioso con i miei soldi e prima o dopo ci avrebbe mangiato anche la cascina. E poi era sempre ubriaco e quella sera non ci ho visto più! Hanno detto che è caduto nella roggia ed è annegato perché aveva alzato troppo il gomito ma non è vero! Nel canale l'ho spinto io perché non ne potevo più, tanto mio padre e la mia povera madre ormai erano morti. E Leandro non ha detto nulla, secondo me era contento pure lui, anche se non aveva mai avuto il coraggio di fare quello che ho fatto io!"
"Tom, falla finita!" dice un uomo, lo stesso di prima.
"Vai a chiamare Leandro" dice una signora anziana, dando un colpo sulla spalla a un tizio seduto accanto a lei, che deve essere suo figlio.
Ma Leandro è già arrivato. Il fratello maggiore di Tom, più vecchio perché sembra molto più anziano di lui, è in piedi accanto al tavolo. Nella mano destra impugna un ramo di salice lungo e flessuoso. I suoi occhi sono due strette fessure, il suo viso sembra scolpito nel legno. Tutti ammutoliscono, e proprio in quell'attimo di silenzio il suo braccio scatta. La verga, sibilando, colpisce Tom sulla schiena, produce uno strappo nella sua spessa camicia. Tom cade dal tavolo. Il fratello lo rialza afferrandolo per colletto, gli molla uno sganassone.
"Ahi!" si lamenta Tom. Poi Leandro lo spinge lontano mentre lui comincia a piagnucolare.
Il brusio nei tavoli ricomincia. I camerieri tornano a fare la spola.
"Forse è meglio se ce ne andiamo" dice mia madre, pallida in viso.
Mio padre annuisce e si alza, e così faccio anch'io. Nessuno di noi parla finché non siamo in macchina, sulla strada del ritorno.
"Papà, ma è vero che quell'uomo ha ammazzato il fratello?" domando facendomi coraggio.
"Eh? Ma che dici? Non hai visto quant'era ubriaco?" risponde mio padre, stringendo il volante tanto che le sue nocche sono bianche. Nella sua voce, che vorrebbe essere sicura, invece avverto il dubbio.

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