Mio padre che lava la piccola
utilitaria e ne asciuga la carrozzeria con una pelle di daino (povera bestia!),
poi strofina a lungo le cromature finché non risplendono. Lo osservo senza
essere scorto, nascosto dietro la siepe di lauroceraso. Dopo un po' mi stufo e
vado in cucina dove trovo mia madre impegnata a cucinare il pranzo della
domenica. Il buon profumo di cibo ha invaso l'intero ambiente. Lei mi guarda e
sorride.
"Oggi facciamo una
gita?" domando.
"Se tuo padre ne
avrà voglia andremo a una festa di paese".
Sono contento, perché adoro
le feste di paese. Mi piacciono soprattutto le giostre, anche se i miei
genitori non mi permettono di salirci. Dicono che sono pericolose. Non importa,
vuol dire che mi limiterò a guardarle, mi piace lo stesso. Sono attratto
soprattutto dall'autoscontro, da quelle minuscole vetture che vorticano sulla
pista come mosche impazzite, che si inseguono si fronteggiano e sbattono tra loro
con grida di eccitazione e di paura e risate sguaiate degli occupanti, tutti
ragazzi come me.
Ci sediamo a tavola e
mio padre sembra apprezzare molto il pranzo. Si serve più di una porzione di agnolotti
e divora con soddisfazione l'arrosto con patate. Non esagera con il vino.
"Perché non andate
a prepararvi? Andiamo a una festa di paese" dice passandosi una mano sul
ventre gonfio. Io e mi a madre ci scambiamo uno sguardo complice. Lei mi porge
una vecchia padella tutta ammaccata che contiene degli avanzi.
"Portali a Billy,
oggi è festa anche per lui" dice.
Scendo in cortile, di
corsa giù per le scale, attento a non rovesciare il cibo, e raggiungo il
recinto di Billy. Lui appena mi vede inizia a scodinzolare, a fare salti di
gioia. Tento di accarezzarlo ma lui si sottrae, attento soltanto al cibo.
"Noi adesso
andiamo via. Mi raccomando, fai la guardia" gli dico, ma lui ha già il
muso nero affondato nella ciotola.
Ritorno in casa, vado
nella mia stanza e mi vesto. Indosso una maglietta color smeraldo e i jeans
nuovi. Con disappunto noto che sono stirati con la piega. Eppure mi ero così tanto
raccomandato con mia mamma! In ogni caso non mi lamento, non voglio rovinare la
bella atmosfera della giornata di festa.
Raggiungo mio padre che
sta fumando e sbuffando accanto all'automobile, una mano appoggiata sul
tettuccio.
"Tua madre è
sempre l'ultima!" esclama, ma noto che non è per nulla arrabbiato. Anzi,
sembra piuttosto compiaciuto. Io sollevo le spalle per dimostrare la mia
solidarietà, nonché tutta l'impotenza di noi maschi di fronte alla leziosità
delle donne. Finalmente mia madre arriva, elegante come sempre e tutta
profumata. Saliamo in auto e ci avviamo. Il viaggio tuttavia è breve. Dopo
neppure venti minuti mio padre parcheggia in uno spiazzo vicino a una
chiesetta. Non conosco quel piccolo paese, e fa molto caldo. La mia delusione è
immensa quando vedo che le giostre non ci sono. Non riesco a trattenermi.
"Non ci sono le
giostre" dico.
"No, non ci
sono" commenta mio padre accendendosi una sigaretta. "Si vede che
quest'anno avevano pochi soldi" aggiunge.
Le uniche attrazioni
sono un ballo un palchetto, che aprirà soltanto la sera, e dei tavoli e delle
panche affollati di persone. Noto che c'è pure un chiosco nel quale vengono
servite le bevande e del cibo in piatti di plastica.
"Andiamo a bere
qualcosa" propone mio padre. Mia madre annuisce. Prendiamo posto a uno dei
tavoli, dove stiamo un po' stretti. Mio padre fa cenno a un cameriere di
giornata. È un ragazzo poco più vecchio di me, con la faccia devastata
dall'acne.
"Due birre"
comanda mio padre. Poi si rivolge a me.
"E tu? Una
bibita?"
"Anch'io voglio la
birra" dico. Lui scuote il capo.
"Una gazzosa"
ordina. Io approvo. Va bene lo stesso, perché so già che mia madre la birra non
la berrà tutta, e io la potrò miscelare con la gazzosa.
Quasi tutti i presenti al
nostro tavolo sono uomini. A eccezione di un vecchietto che sta mangiando delle
acciughe con una salsa verde che puzza d'aglio, tutti gli altri bevono
soltanto. Vino nero e denso. A un certo punto gli animi si accendono.
"Smettila con
questa storia, Tom!" dice esasperato un uomo che porta un cappello di
paglia a un altro che sta sbraitando con il bicchiere in mano. Guardo
quest'ultimo: indossa una camicia a grossi riquadri, un po' sporca. I suoi
capelli, neri e spessi, sono molto unti. Il suo viso ha un colore rosso scuro.
L'uomo posa il bicchiere poi si alza in piedi. Mentre nessuno se l'aspetta con
un balzo sale sul tavolo. Alcuni bicchieri si rovesciano, urtati dai suoi
grossi scarponi sporchi. Dall'intero tavolo si alza un mormorio di
disapprovazione. Di colpo mi rendo conto che quell'uomo è completamente
ubriaco. Si inchina di fronte a mia madre poi inizia a parlare. Anzi, a urlare.
"Ve l'ho già detto
mille volte e adesso ve lo ripeto! Quel bastardo di mio fratello Oreste, anzi
mezzo bastardo perché era figlio della mia povera madre ma non di mio padre,
non è mica caduto da solo nel canale ma ce l'ho buttato io! Quello non aveva
voglia di lavorare ma gli piaceva il lusso. Veniva sempre a chiedere soldi per
i suoi vestiti e le donne. Con gli amici faceva il grandioso con i miei soldi e
prima o dopo ci avrebbe mangiato anche la cascina. E poi era sempre ubriaco e
quella sera non ci ho visto più! Hanno detto che è caduto nella roggia ed è
annegato perché aveva alzato troppo il gomito ma non è vero! Nel canale l'ho
spinto io perché non ne potevo più, tanto mio padre e la mia povera madre ormai
erano morti. E Leandro non ha detto nulla, secondo me era contento pure lui,
anche se non aveva mai avuto il coraggio di fare quello che ho fatto io!"
"Tom, falla
finita!" dice un uomo, lo stesso di prima.
"Vai a chiamare
Leandro" dice una signora anziana, dando un colpo sulla spalla a un tizio
seduto accanto a lei, che deve essere suo figlio.
Ma Leandro è già
arrivato. Il fratello maggiore di Tom, più vecchio perché sembra molto più
anziano di lui, è in piedi accanto al tavolo. Nella mano destra impugna un ramo
di salice lungo e flessuoso. I suoi occhi sono due strette fessure, il suo viso
sembra scolpito nel legno. Tutti ammutoliscono, e proprio in quell'attimo di
silenzio il suo braccio scatta. La verga, sibilando, colpisce Tom sulla
schiena, produce uno strappo nella sua spessa camicia. Tom cade dal tavolo. Il
fratello lo rialza afferrandolo per colletto, gli molla uno sganassone.
"Ahi!" si
lamenta Tom. Poi Leandro lo spinge lontano mentre lui comincia a piagnucolare.
Il brusio nei tavoli
ricomincia. I camerieri tornano a fare la spola.
"Forse è meglio se
ce ne andiamo" dice mia madre, pallida in viso.
Mio padre annuisce e si
alza, e così faccio anch'io. Nessuno di noi parla finché non siamo in macchina,
sulla strada del ritorno.
"Papà, ma è vero
che quell'uomo ha ammazzato il fratello?" domando facendomi coraggio.
"Eh? Ma che dici?
Non hai visto quant'era ubriaco?" risponde mio padre, stringendo il
volante tanto che le sue nocche sono bianche. Nella sua voce, che vorrebbe
essere sicura, invece avverto il dubbio.
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