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giovedì 1 novembre 2012

STORIA DELLA VECCHIA RAGAZZA



Tutti la chiamavano ragazza, eppure ragazza non lo era più. Perché aveva superato i quarant’anni e, soprattutto, perché il peso della vita trascorsa iniziava a farsi sentire, al punto da rappresentare un ingombro, una barriera che arrivava a limitare le sue azioni, le sue modalità di espressione. Malgrado ciò quell’appellativo, mai peraltro pronunciato per dileggio, continuava a piacerle. Le si era affezionata, tanto da adattarsi inconsciamente a esso, fino a renderlo un tutt’uno con la sua persona, e di convincersi che corrispondesse a ciò che lei in effetti ancora era, cioè una ragazza.
Gli sforzi compiuti per far sì che tale immeritato epiteto davvero coincidesse con la propria apparenza erano tuttavia stati tanti, e molto faticosi. Per prima cosa si era dedicata al suo aspetto. Era consapevole di non essere una gran bellezza, di ciò si era resa conto fin dalla giovane età. Lo aveva compreso dagli sguardi degli uomini. Il loro interesse nei suoi confronti era sempre stato tiepido. Non che passasse del tutto inosservata, questo no, però non leggeva mai in quegli occhi maschili qualcosa che andasse al di là della minima curiosità, di un interesse che non sfociava mai in autentico desiderio.
Si era dedicata con estrema attenzione alla cura del proprio corpo. Il suo fisico, in verità, non le era mai stato molto d’aiuto. La statura non eccelsa, il viso troppo largo, il seno abbondante, i fianchi poco femminili, erano tutti elementi sui quali aveva dovuto lavorare. Era riuscita, in parte, a mascherare alcuni difetti facendo ricorso alla cosmesi, arte che ormai praticava con abilità. Lunghe e faticose sedute in palestra erano riuscite a rimodellare un po’ il suo corpo, a rimettere alcune curve al posto giusto, a rassodare e a tonificare i suoi muscoli. Si era resa conto che tutto ciò, comunque, non era sufficiente. Aveva dovuto completare quel meticoloso lavoro rivoluzionando il suo modo di vestire. Prima non aveva mai dedicato eccessiva attenzione all’abbigliamento. Si limitava a scegliere abiti comodi, poco vistosi, dal taglio piuttosto comune. D’un tratto aveva cominciato a frequentare negozi eleganti, di classe, seguendo i consigli delle amiche. Aveva acquistato vestiti costosi, alla moda, che non sempre si addicevano al suo fisico, ma che tuttavia le avevano consentito di assumere, poco per volta, un aspetto diverso. Quando al mattino, prima di uscire, si osservava allo specchio, quasi sempre si piaceva.
Questa trasformazione, in ogni caso, non aveva prodotto risultati strabilianti, quelli che si sarebbe aspettato. Certo, da parte maschile era arrivato qualche complimento in più, dei doverosi apprezzamenti, ma nulla di significativo, nulla che poi avesse avuto un seguito. A quel punto aveva deciso, prima che la disperazione la cogliesse e la soffocasse, che mancava ancora qualcosa. Faceva difetto, in lei, un tratto intellettuale. E allora vi aveva subito provveduto. Da quel momento in poi aveva iniziato a comprare libri, tanti libri. Non mancava mai, sulla sua scrivania, un volume. D’accordo, di tutti quei libri ne aveva in seguito letti ben pochi. Alcuni erano ostici, difficili. Molti li aveva iniziati e mai terminati. Altri ancora non erano mai stati aperti da quando erano stati sistemati sullo scaffale di casa.
Questo sua nuova inaspettata impronta non le era però stata di grande sostegno. Le persone in genere, e in particolare gli uomini, si erano allontanate ancora di più. In certi ambienti una donna che legge può ancora incutere timore, aveva concluso, ormai rassegnata.
Aveva così ripreso, stanca e scoraggiata, il solito ritmo. Casa, ufficio e di nuovo casa. Sempre più delusa, sempre meno ragazza. Era tornata a crogiolarsi nel ricordo e nel rimpianto di quei suoi amori giovanili, gli unici della sua vita. Pensava ad Alì, il ragazzo arabo, il suo primo amore. Cercava di rammentare i momenti felici di quella storia, anche se alla fine il suo pensiero si concentrava sull’esito finale della vicenda, e continuava a domandarsi, senza riuscire a darsi una risposta definitiva, sul perché Alì alla fine l’aveva tradita, e proprio con la sua migliore amica. Più sbiadita, anche se più recente, era invece la rievocazione dell’altra vicenda importante, quella che l’aveva vista protagonista insieme a Fallou, il giovane senegalese. Lui era molto più giovane di lei e ciò aveva determinato, fin dall’inizio del loro rapporto, qualche conflitto. Di certo lei aveva sbagliato atteggiamento nei suoi confronti. Una posa troppo protettiva, quasi materna, che aveva finito per infastidire il giovane africano. Ma tutto era precipitato quando lei aveva scoperto, per puro caso, che Fallou, nonostante la giovane età, in Africa aveva una moglie e una figlia. A quel punto la rottura era stata inevitabile, con grande gioia dei suoi genitori, che mai avevano approvato quella strana unione. Ciò che l’aveva più sorpresa, e anche piuttosto irritata, era stata l’incredulità dello stesso Fallou di fronte alla sua decisione di interrompere la relazione. Il giovane infatti riteneva, e appariva del tutto sincero in ciò, di non aver fatto nulla di male. Anzi, era convinto di essersi comportato nel migliore dei modi. La delusione, in ogni modo, era stata tremenda, tale da annientarla per molto tempo. A tutto questo era poi seguita la lenta rinascita, una ripresa che tuttavia non aveva dato i frutti sperati. E gli anni erano passati, sempre uguali, uno dopo l’altro.
Finché, un giorno qualunque, non era accaduto l’imprevedibile.
L’uomo era apparso all’improvviso di fronte alla sua scrivania. Si era presentato, e allora lei lo aveva riconosciuto. La sua figura non le era familiare, perché non l’aveva mai visto prima di allora, ma la sua voce ben impostata sì. Tante volte aveva parlato con lui al telefono. Era il direttore del Servizio Biblioteche, e spesso chiamava per parlare con il suo capo, che lei gli passava non senza aver scambiato con quell’amabile persona alcuni banali ma piacevoli convenevoli. Adesso, per la prima volta, aveva l’occasione di incontrarlo di persona. Spesso aveva cercato di associare a quella gradevole voce una sembianza, ma non c’era mai riuscita. In verità l’uomo era più vecchio di quanto non si sarebbe aspettato, tuttavia la delusione era stata minima, dal momento che quel tipo risultava essere comunque piuttosto interessante. Aveva classe, ecco. Nei modi, nella maniera di esprimersi, nella disinvoltura con la quale sfoggiava il suo elegante abito grigio. Il colloquio con il suo capo era stato di breve durata, poi il direttore si era intrattenuto ancora un po’ con lei, discorrendo del più e del meno, non facendo mancare garbati complimenti e cortesi attestazioni di stima. Di solito lei era abituata a essere quasi ignorata dai numerosi visitatori che varcavano la soglia del suo ufficio. Andavano sempre tutti di fretta, impegnati in chissà cosa, e nessuno di loro aveva uno sguardo soltanto per lei. Qualcuno addirittura, accomiatandosi, non la degnava neppure di un saluto. Invece quell’uomo era diverso. Aveva subito notato il libro adagiato sull’angolo della scrivania, in bella vista, aveva espresso un suo giudizio su quell’opera che sembrava conoscere bene. Lei, che di quel romanzo aveva letto solo alcune pagine, aveva soprattutto annuito, ed era riuscita a farfugliare soltanto alcune incomprensibili parole. Ma lui non sembrava aver fatto caso al suo imbarazzo. Aveva cambiato discorso, iniziando a parlare delle sue passioni, prima fra tutte quella di collezionare prime edizioni di libri famosi. Ne aveva una discreta raccolta, aveva detto, e sarebbe stato ben lieto di mostrargliela se solo lei avesse avuto la bontà di recarsi a casa sua, magari una sera. A quel punto lei si era irrigidita. Oppure in qualsiasi momento della giornata, aveva aggiunto l’uomo, notando quell’improvviso turbamento. Così lei aveva accettato, e si era recata a casa sua già il pomeriggio successivo. Lui abitava in pieno centro, in una casa che un tempo era stata signorile. Dapprima avevano parlato di libri, naturalmente, e poi di tante altre cose. Le aveva offerto un tè, e da quel momento in poi era stato soprattutto lui a raccontare. Degli anni felici e spensierati della gioventù, dei suoi studi, del suo lavoro, che tanto lo appassionava. Infine aveva menzionato il suo matrimonio, quell’unione sfortunata e ormai finita da tanti anni, della solitudine sofferta negli ultimi tempi.
Discorrendo, il tempo era passato in fretta. L’uomo aveva stappato una bottiglia di vino bianco, aveva proposto di mangiare qualcosa, che ormai era tardi e fuori era già quasi buio. Aveva approfittato dell’indecisione della sua ospite, riguardo a quella proposta, e si era fiondato in cucina dove, in un baleno, aveva preparato una gustosa cenetta. Niente da dire, quell’uomo era un ottimo cuoco. Avevano così cenato, e dopo la prima bottiglia ne avevano bevuto un’altra, quest’ultima di vino più corposo, tanto da rendere la loro conversazione sempre più vivace e briosa. Poco alla volta, per via dello stato di euforia crescente, alcuni freni inibitori avevano iniziato a cedere. I due si erano accomodati sull’enorme divano, le luci erano state attenuate, mentre dalla casse del sontuoso impianto stereo proveniva l’accattivante suono della tromba di Miles Davis. Il jazz! L’altra grande passione di quell’uomo, aveva scoperto lei. Lui si era sfilato la giacca, poi si era avvicinato sempre più alla sua ospite. Aveva cominciato ad accarezzarla, prima su una gamba, poi sulla spalla, infine sul viso. Lei aveva lasciato fare, perché si sentiva sciolta come non mai, come non le era capitato da tanto tempo. Senza più parlare, a un certo punto, quasi ubbidendo a una tacita intesa, avevano iniziato a sfilarsi i vestiti. Lei aveva faticato un po’ con i pantaloni, perché erano molto stretti, ma poi era riuscita a disfarsene. Erano rimasti quasi nudi, con soltanto la biancheria addosso. Lei era incredula di fronte a ciò che stava accadendo, eppure non era sfiorata da alcun dubbio. Aveva osservato con interesse il corpo dell’uomo, il suo fisico asciutto, quasi magro, si era soffermata in particolare sul torace, ancora abbronzato dall’estate e sul quale spiccavano radi e lunghi peli grigi. Per la prima volta nella sua vita non si era vergognata del suo corpo un po’ tozzo anche se ancora sodo, del suo seno pesante, della sua pelle troppo bianca. Aveva ricambiato le carezze ricevute fino a quel momento, e lo aveva fatto con grande trasporto, con sincera convinzione.
Proprio sul più bello, quando l’esito finale appariva ormai inevitabile, scontato, lui si era bloccato. Aveva assunto un’espressione grave, preoccupata. Senza ricorrere a grandi giri di parole, in maniera diretta, quasi cruda, aveva spiegato quali erano i suoi problemi. Angustie che, a suo dire, erano state decisive nel determinare il fallimento del suo matrimonio. Subito lei non aveva compreso, ancora troppo presa e coinvolta da quella lotta d’amore della quale pregustava il gioioso finale. Infine aveva assorbito in pieno il significato di quelle frasi colme di tormento. Lui appariva mortificato e abbattuto. Quasi balbettando, con scarsa convinzione, aveva proposto delle alternative per ovviare, in qualche modo, a quello spiacevole inconveniente, un ostacolo al quale non c’era rimedio, aveva precisato, sempre più avvilito. Lei si era limitata a scuotere il capo, lui non aveva più insistito. Anzi, si era rivestito. Così aveva fatto lei subito dopo. A quel punto non avevano più saputo che cosa dirsi. Di colpo lei aveva di nuovo provato soggezione di quell’uomo importante. La musica era cessata, facendo svanire del tutto quell’incanto che era durato così poco. Allora aveva recuperato in tutta fretta la sua borsetta, aveva ringraziato con un filo di voce e poi era uscita, nella notte. Era tornata a casa, in preda alla confusione più totale. Aveva cercato di non fare rumore, per non svegliare gli anziani genitori che, al piano di sotto, dormivano. Quindi era andata in bagno, dove si era svestita e struccata. Poi si era avvicinata alla tazza e aveva vomitato la deliziosa cena.  
    

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