Tutti la chiamavano
ragazza, eppure ragazza non lo era più. Perché aveva superato i quarant’anni e,
soprattutto, perché il peso della vita trascorsa iniziava a farsi sentire, al
punto da rappresentare un ingombro, una barriera che arrivava a limitare le sue
azioni, le sue modalità di espressione. Malgrado ciò quell’appellativo, mai
peraltro pronunciato per dileggio, continuava a piacerle. Le si era
affezionata, tanto da adattarsi inconsciamente a esso, fino a renderlo un
tutt’uno con la sua persona, e di convincersi che corrispondesse a ciò che lei
in effetti ancora era, cioè una ragazza.
Gli sforzi compiuti per
far sì che tale immeritato epiteto davvero coincidesse con la propria apparenza
erano tuttavia stati tanti, e molto faticosi. Per prima cosa si era dedicata al
suo aspetto. Era consapevole di non essere una gran bellezza, di ciò si era
resa conto fin dalla giovane età. Lo aveva compreso dagli sguardi degli uomini.
Il loro interesse nei suoi confronti era sempre stato tiepido. Non che passasse
del tutto inosservata, questo no, però non leggeva mai in quegli occhi maschili
qualcosa che andasse al di là della minima curiosità, di un interesse che non
sfociava mai in autentico desiderio.
Si era dedicata con
estrema attenzione alla cura del proprio corpo. Il suo fisico, in verità, non le
era mai stato molto d’aiuto. La statura non eccelsa, il viso troppo largo, il
seno abbondante, i fianchi poco femminili, erano tutti elementi sui quali aveva
dovuto lavorare. Era riuscita, in parte, a mascherare alcuni difetti facendo
ricorso alla cosmesi, arte che ormai praticava con abilità. Lunghe e faticose
sedute in palestra erano riuscite a rimodellare un po’ il suo corpo, a
rimettere alcune curve al posto giusto, a rassodare e a tonificare i suoi
muscoli. Si era resa conto che tutto ciò, comunque, non era sufficiente. Aveva
dovuto completare quel meticoloso lavoro rivoluzionando il suo modo di vestire.
Prima non aveva mai dedicato eccessiva attenzione all’abbigliamento. Si
limitava a scegliere abiti comodi, poco vistosi, dal taglio piuttosto comune. D’un
tratto aveva cominciato a frequentare negozi eleganti, di classe, seguendo i
consigli delle amiche. Aveva acquistato vestiti costosi, alla moda, che non
sempre si addicevano al suo fisico, ma che tuttavia le avevano consentito di
assumere, poco per volta, un aspetto diverso. Quando al mattino, prima di uscire,
si osservava allo specchio, quasi sempre si piaceva.
Questa trasformazione,
in ogni caso, non aveva prodotto risultati strabilianti, quelli che si sarebbe
aspettato. Certo, da parte maschile era arrivato qualche complimento in più,
dei doverosi apprezzamenti, ma nulla di significativo, nulla che poi avesse
avuto un seguito. A quel punto aveva deciso, prima che la disperazione la
cogliesse e la soffocasse, che mancava ancora qualcosa. Faceva difetto, in lei,
un tratto intellettuale. E allora vi aveva subito provveduto. Da quel momento
in poi aveva iniziato a comprare libri, tanti libri. Non mancava mai, sulla sua
scrivania, un volume. D’accordo, di tutti quei libri ne aveva in seguito letti
ben pochi. Alcuni erano ostici, difficili. Molti li aveva iniziati e mai
terminati. Altri ancora non erano mai stati aperti da quando erano stati
sistemati sullo scaffale di casa.
Questo sua nuova
inaspettata impronta non le era però stata di grande sostegno. Le persone in
genere, e in particolare gli uomini, si erano allontanate ancora di più. In
certi ambienti una donna che legge può ancora incutere timore, aveva concluso,
ormai rassegnata.
Aveva così ripreso,
stanca e scoraggiata, il solito ritmo. Casa, ufficio e di nuovo casa. Sempre
più delusa, sempre meno ragazza. Era tornata a crogiolarsi nel ricordo e nel
rimpianto di quei suoi amori giovanili, gli unici della sua vita. Pensava ad
Alì, il ragazzo arabo, il suo primo amore. Cercava di rammentare i momenti
felici di quella storia, anche se alla fine il suo pensiero si concentrava
sull’esito finale della vicenda, e continuava a domandarsi, senza riuscire a
darsi una risposta definitiva, sul perché Alì alla fine l’aveva tradita, e
proprio con la sua migliore amica. Più sbiadita, anche se più recente, era
invece la rievocazione dell’altra vicenda importante, quella che l’aveva vista
protagonista insieme a Fallou, il giovane senegalese. Lui era molto più giovane
di lei e ciò aveva determinato, fin dall’inizio del loro rapporto, qualche
conflitto. Di certo lei aveva sbagliato atteggiamento nei suoi confronti. Una
posa troppo protettiva, quasi materna, che aveva finito per infastidire il
giovane africano. Ma tutto era precipitato quando lei aveva scoperto, per puro
caso, che Fallou, nonostante la giovane età, in Africa aveva una moglie e una
figlia. A quel punto la rottura era stata inevitabile, con grande gioia dei
suoi genitori, che mai avevano approvato quella strana unione. Ciò che l’aveva
più sorpresa, e anche piuttosto irritata, era stata l’incredulità dello stesso
Fallou di fronte alla sua decisione di interrompere la relazione. Il giovane infatti
riteneva, e appariva del tutto sincero in ciò, di non aver fatto nulla di male.
Anzi, era convinto di essersi comportato nel migliore dei modi. La delusione,
in ogni modo, era stata tremenda, tale da annientarla per molto tempo. A tutto
questo era poi seguita la lenta rinascita, una ripresa che tuttavia non aveva
dato i frutti sperati. E gli anni erano passati, sempre uguali, uno dopo
l’altro.
Finché, un giorno
qualunque, non era accaduto l’imprevedibile.
L’uomo era apparso all’improvviso
di fronte alla sua scrivania. Si era presentato, e allora lei lo aveva
riconosciuto. La sua figura non le era familiare, perché non l’aveva mai visto
prima di allora, ma la sua voce ben impostata sì. Tante volte aveva parlato con
lui al telefono. Era il direttore del Servizio Biblioteche, e spesso chiamava
per parlare con il suo capo, che lei gli passava non senza aver scambiato con
quell’amabile persona alcuni banali ma piacevoli convenevoli. Adesso, per la
prima volta, aveva l’occasione di incontrarlo di persona. Spesso aveva cercato
di associare a quella gradevole voce una sembianza, ma non c’era mai riuscita.
In verità l’uomo era più vecchio di quanto non si sarebbe aspettato, tuttavia
la delusione era stata minima, dal momento che quel tipo risultava essere
comunque piuttosto interessante. Aveva classe, ecco. Nei modi, nella maniera di
esprimersi, nella disinvoltura con la quale sfoggiava il suo elegante abito
grigio. Il colloquio con il suo capo era stato di breve durata, poi il
direttore si era intrattenuto ancora un po’ con lei, discorrendo del più e del
meno, non facendo mancare garbati complimenti e cortesi attestazioni di stima.
Di solito lei era abituata a essere quasi ignorata dai numerosi visitatori che
varcavano la soglia del suo ufficio. Andavano sempre tutti di fretta, impegnati
in chissà cosa, e nessuno di loro aveva uno sguardo soltanto per lei. Qualcuno
addirittura, accomiatandosi, non la degnava neppure di un saluto. Invece quell’uomo
era diverso. Aveva subito notato il libro adagiato sull’angolo della scrivania,
in bella vista, aveva espresso un suo giudizio su quell’opera che sembrava
conoscere bene. Lei, che di quel romanzo aveva letto solo alcune pagine, aveva
soprattutto annuito, ed era riuscita a farfugliare soltanto alcune
incomprensibili parole. Ma lui non sembrava aver fatto caso al suo imbarazzo.
Aveva cambiato discorso, iniziando a parlare delle sue passioni, prima fra
tutte quella di collezionare prime edizioni di libri famosi. Ne aveva una
discreta raccolta, aveva detto, e sarebbe stato ben lieto di mostrargliela se
solo lei avesse avuto la bontà di recarsi a casa sua, magari una sera. A quel
punto lei si era irrigidita. Oppure in qualsiasi momento della giornata, aveva
aggiunto l’uomo, notando quell’improvviso turbamento. Così lei aveva accettato,
e si era recata a casa sua già il pomeriggio successivo. Lui abitava in pieno
centro, in una casa che un tempo era stata signorile. Dapprima avevano parlato
di libri, naturalmente, e poi di tante altre cose. Le aveva offerto un tè, e da
quel momento in poi era stato soprattutto lui a raccontare. Degli anni felici e
spensierati della gioventù, dei suoi studi, del suo lavoro, che tanto lo
appassionava. Infine aveva menzionato il suo matrimonio, quell’unione
sfortunata e ormai finita da tanti anni, della solitudine sofferta negli ultimi
tempi.
Discorrendo, il tempo
era passato in fretta. L’uomo aveva stappato una bottiglia di vino bianco,
aveva proposto di mangiare qualcosa, che ormai era tardi e fuori era già quasi buio.
Aveva approfittato dell’indecisione della sua ospite, riguardo a quella
proposta, e si era fiondato in cucina dove, in un baleno, aveva preparato una
gustosa cenetta. Niente da dire, quell’uomo era un ottimo cuoco. Avevano così
cenato, e dopo la prima bottiglia ne avevano bevuto un’altra, quest’ultima di
vino più corposo, tanto da rendere la loro conversazione sempre più vivace e
briosa. Poco alla volta, per via dello stato di euforia crescente, alcuni freni
inibitori avevano iniziato a cedere. I due si erano accomodati sull’enorme
divano, le luci erano state attenuate, mentre dalla casse del sontuoso impianto
stereo proveniva l’accattivante suono della tromba di Miles Davis. Il jazz! L’altra
grande passione di quell’uomo, aveva scoperto lei. Lui si era sfilato la
giacca, poi si era avvicinato sempre più alla sua ospite. Aveva cominciato ad
accarezzarla, prima su una gamba, poi sulla spalla, infine sul viso. Lei aveva
lasciato fare, perché si sentiva sciolta come non mai, come non le era capitato
da tanto tempo. Senza più parlare, a un certo punto, quasi ubbidendo a una
tacita intesa, avevano iniziato a sfilarsi i vestiti. Lei aveva faticato un po’
con i pantaloni, perché erano molto stretti, ma poi era riuscita a disfarsene.
Erano rimasti quasi nudi, con soltanto la biancheria addosso. Lei era incredula
di fronte a ciò che stava accadendo, eppure non era sfiorata da alcun dubbio.
Aveva osservato con interesse il corpo dell’uomo, il suo fisico asciutto, quasi
magro, si era soffermata in particolare sul torace, ancora abbronzato dall’estate
e sul quale spiccavano radi e lunghi peli grigi. Per la prima volta nella sua
vita non si era vergognata del suo corpo un po’ tozzo anche se ancora sodo, del
suo seno pesante, della sua pelle troppo bianca. Aveva ricambiato le carezze
ricevute fino a quel momento, e lo aveva fatto con grande trasporto, con
sincera convinzione.
Proprio sul più bello,
quando l’esito finale appariva ormai inevitabile, scontato, lui si era
bloccato. Aveva assunto un’espressione grave, preoccupata. Senza ricorrere a grandi
giri di parole, in maniera diretta, quasi cruda, aveva spiegato quali erano i
suoi problemi. Angustie che, a suo dire, erano state decisive nel determinare
il fallimento del suo matrimonio. Subito lei non aveva compreso, ancora troppo
presa e coinvolta da quella lotta d’amore della quale pregustava il gioioso finale.
Infine aveva assorbito in pieno il significato di quelle frasi colme di
tormento. Lui appariva mortificato e abbattuto. Quasi balbettando, con scarsa
convinzione, aveva proposto delle alternative per ovviare, in qualche modo, a
quello spiacevole inconveniente, un ostacolo al quale non c’era rimedio, aveva
precisato, sempre più avvilito. Lei si era limitata a scuotere il capo, lui non
aveva più insistito. Anzi, si era rivestito. Così aveva fatto lei subito dopo.
A quel punto non avevano più saputo che cosa dirsi. Di colpo lei aveva di nuovo
provato soggezione di quell’uomo importante. La musica era cessata, facendo
svanire del tutto quell’incanto che era durato così poco. Allora aveva
recuperato in tutta fretta la sua borsetta, aveva ringraziato con un filo di
voce e poi era uscita, nella notte. Era tornata a casa, in preda alla
confusione più totale. Aveva cercato di non fare rumore, per non svegliare gli
anziani genitori che, al piano di sotto, dormivano. Quindi era andata in bagno,
dove si era svestita e struccata. Poi si era avvicinata alla tazza e aveva
vomitato la deliziosa cena.
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