“Hai sempre lo stesso
vestito!” esclama Sara quando mi vede.
Cerco di nascondere il
mio evidente imbarazzo dietro al solito sorriso accattivante, quello che riesce
a intenerire le donne. Ma non funziona. Lei ha ragione, da giorni mi presento
al lavoro indossando lo stesso abito. Non che io sia una persona poco attenta
all’igiene personale. No, questo no. Non esco mai di casa senza aver fatto una
doccia, la mia biancheria è pulita. E così la camicia, che cambio ogni giorno.
“Sono pigro” rispondo,
un po’ a disagio.
“Che cosa vuol dire?”
“Adesso ti spiego.
Quando mi alzo è ancora buio, e preferisco non accendere la luce. Mi disturba,
mi ferisce gli occhi. Afferro una camicia a caso, tanto le mie sono tutte
uguali. Poi rimetto l’abito del giorno prima, e la stessa cravatta.”
“Perché non cambi
vestito?” mi incalza lei.
“Uh? Non ne ho tanti.”
“Di sicuro ne hai più
di uno.”
“Certo, è così. Vedi,
ogni sera mi riprometto di toglierne un altro dall’armadio, ma non lo faccio
mai. E al mattino mi ritrovo spiazzato. A quel punto agisco in maniera
automatica, con il risultato che tu hai evidenziato:”
“Sei un bel tipo, tu!
Te la sei presa? Sei offeso?”
Sorrido, in modo
disarmante.
“No, non preoccuparti.
Non mi offendo mai. Puoi dirmi qualsiasi cosa.”
“E tutto ciò è dovuto
alla tua pigrizia, dici?”
“Credo di sì. Sono
molto indolente riguardo tutto ciò che non mi interessa.”
“Vuoi dire che l’abbigliamento
non ti interessa?”
“Non tanto. Anzi, poco
per la verità.”
Sara mi guarda a lungo,
mi esamina. Tuttavia non si concentra sul mio aspetto. No, quello lo conosce
bene. Tenta di andare oltre, vuole capire che cosa mi frulla per la testa. Ai
suoi occhi, tutto sommato, appaio come un individuo singolare, che stimola la
sua curiosità. Vorrebbe cogliere la mia vera essenza, supponendo che ne esista
una, ma non ci riesce. Me ne rendo conto.
“In quali altri campi
si manifesta quella che tu definisci pigrizia?” mi domanda.
“Non saprei…”
“Dovresti essere più
sicuro di te stesso.”
“Mi sforzo di acquisire
maggiore autostima attraverso l’utilizzo delle parole.”
“A volte proprio non ti
capisco. Sei troppo difficile per me.”
“Sai che ognuno di noi
utilizza soltanto un numero limitato di parole e di espressioni, vero?”
“L’ho sentito dire.”
“Ebbene, io faccio di
tutto per ampliare la varietà di termini che impiego. Mi riferisco al
linguaggio parlato, naturalmente. Quando si scrive è un’altra cosa.”
“Non mi pare che i
risultati siano molto brillanti. Sei un tipo troppo laconico per i miei gusti,
punto e basta. Dov’è lo sfoggio di parole ricercate? No, proprio non lo vedo.”
Un po’ ci rimango male.
“Davvero? Hai fatto
bene a dirmelo, così posso cercare di migliorare. Mi piacciono le persone
sincere. La verità può far male, ma aiuta a crescere, a maturare.”
“E questa dove l’hai
letta?”
“Eh? In un libro,
credo. Ma non ricordo quale.”
“Di me ti piace
soltanto questo?”
“Che cosa intendi dire?”
“Non fare il finto
tonto. C’è qualche altra qualità che io possiedo che tu gradisci in
particolare?”
“Ti esprimi bene.”
“Rispondi alla mia
domanda.”
“Credo di avere
risposto.”
“Tutto lì?”
“No, sei una persona
molto simpatica.”
“Ho l’impressione che
tu sia svogliato anche nel campo dei sentimenti.”
“Sul serio? Nessuno me
l’aveva mai detto prima d’ora.”
“Te lo sto dicendo io.”
“Già.”
“Tra l’altro sono
persuasa che tu raggiunga l’apice dell’abulia in amore.”
“Ma no!”
Mi piace molto stare a
discorrere con Sara. C’è un unico inconveniente: non riesco mai a capire dove
voglia andare a parare. Questo mi disorienta un po’, mi costringe ad assumere
un atteggiamento troppo difensivo, ad essere eccessivamente timoroso e
prudente. Però non ho intenzione di snaturarmi, così decido di stare al gioco.
In fondo lei è la mia migliore amica, l’unica che possiedo.
“Secondo me ti piaccio,
ma non lo vuoi ammettere.”
“Non ho mai detto che
tu non mi piaccia.”
“E neppure il contrario…”
“Non amo sbilanciarmi
più del dovuto.”
“Sempre per via della
tua svogliatezza?”
“Può essere, anche se
non ne sono del tutto sicuro.”
“Se io prendessi l’iniziativa
e ti chiedessi di baciarmi tu che cosa faresti?”
“Non me la sento di
rispondere. E poi l’ho già fatto.”
“Che cosa? Guarda che
non me ne sono accorta! E comunque la mia era una domanda del tutto accademica.”
“L’ho fatto in sogno.
Il bacio, intendo.”
“Ho diritto a una
spiegazione.”
“Certamente. Durante il
sogno ci siamo incontrati. Eravamo in strada. Hai presente quella via del
centro? Dove c’è quel negozio di…”
“Vai avanti e tralascia
i dettagli. Parlami del bacio. A me interessa soltanto quello.”
“Sì. L’incontro era del
tutto casuale, ma io ne ho approfittato per invitarti a bere un caffè.”
“Che ardimento! Sono
anni che aspetto che tu mi offra un caffè!”
“Nel sogni tutto è più
semplice…”
“Uff! Prosegui, ti
prego. Che cosa ho fatto?”
“Hai accettato e siamo
entrati in un bar. Ricordo bene il cameriere che ci ha servito. Era molto
anziano, troppo per lavorare in un bar, ho pensato. I suoi capelli erano completamente
bianchi, la sua andatura piuttosto incerta. Rammento che le sue mani tremavano
quando ha appoggiato le tazzine sul nostro tavolo…”
“Stringi, non mi
importa nulla del cameriere decrepito.”
“L’ambientazione ha la
sua importanza, anche se si tratta solo di un sogno.”
“Non tergiversare e
parlami del bacio.”
“Aspetta, non essere
impaziente. Ci sto arrivando. Dopo il caffè tu hai chiesto un bicchiere d’acqua.
Di quella frizzante, mi pare. Non l’hai bevuta tutta e allora l’ho finita io.”
“Quindi?”
“Sono rimasto sorpreso
da quel mio gesto. Tra di noi non c’era mai stata una tale confidenza prima di
allora.”
“Vuoi dire bere dallo
stesso bicchiere?”
“Sì.”
“Non mi pare si tratti
di nulla di speciale. Indica semplicemente che tu non sei schizzinoso.”
“Questo corrisponde al
vero, ma lascia che proceda. Dopo ci siamo alzati, siamo usciti da quel locale
e abbiamo camminato per alcuni minuti.”
“Di cosa abbiamo
parlato?”
“Non ricordo bene. Mi
pare che tu mi abbia chiesto alcune informazioni riguardo a un allevamento di
polli.”
“Eh?”
“Non so che dirti, era
un sogno. Comunque credo di avere risposto alle tue domande. Per me era del
tutto naturale, in quel momento, parlare di polli.”
“Tu sei pazzo.”
“Che ci posso fare? D’altra
parte quello strano discorso lo hai iniziato tu.”
“Ma il sogno era tuo!
Se mi hai reso ridicola la responsabilità è tua!”
“Non ti devi
arrabbiare.”
“Non lo sono. Concludi,
per favore.”
“Ti ho accompagnata
fino alla fermata.”
“Del bus?”
“Mmm… in realtà si
trattava di un aereo, ma ciò non riveste grande importanza…”
“Perché era un sogno!”
“Già. Alla fine tu ti
sei avvicinata alla scaletta.”
“E poi?”
“Era arrivato il
momento di salutarci. Allora mi sono accostato a te e ho preso le tue mani tra
le mie.”
“E mi hai baciata? Sul
serio?”
“Sulle tue labbra c’era
ancora il sapore del caffè, anche se dopo avevi bevuto l’acqua.”
“Com’è stata la mia
reazione? Su, dimmi…”
“Mi hai chiesto di
partire con te.”
“Veramente? E tu che
hai risposto?”
“Credo di avere detto
di no. Quel giorno non ero molto in vena di partire. Ho aggiunto che lo avrei
fatto un altro giorno, appena ne avessi avuto voglia.”
“Ed io come ho reagito?”
“Per fortuna il sogno
si è interrotto. Sai, ti stavi per arrabbiare…”
“Certo che sei davvero
un bel tipo, tu! Te la cavi sempre!”
“Quasi.”
Nessun commento:
Posta un commento