Mi avvicino al
computer. Sono trascorse quasi due ore da quando l’ho spento. Che cosa può essere
accaduto durante questo tempo? In due ore possono succedere tante cose. Che so,
potrebbe essere scoppiata una guerra, oppure esserci stata un’invasione di
alieni. La mia fantasia galoppa quando non sono collegato con il mondo, quando
il mio PC non è acceso. Al
contrario, potrebbe non essere capitato nulla. Il più delle volte è così,
purtroppo. Ciò suscita sempre in me una certa delusione, uno stato di
insoddisfazione capace di deprimermi. Alla fine mi trattengo e decido di non
accendere la macchina magica. Mi siedo sul divano. Dall’altra camera filtra il
suono della televisione. A differenza di mia sorella, autentica
video-dipendente, io la tivù non guardo mai. Non lo facevo neppure quando ero piccolo,
suscitando lo sconcerto dei miei genitori. Odiavo i cartoni animati, e ancora
di più tutto il resto. Non ho mai sentito il bisogno di avere quel tipo di
stimoli, la mia fantasia, molto sviluppata, mi è sempre stata più che sufficiente.
“Sonia!” urlo per
sovrastare il volume dell’apparecchio, piuttosto alto.
Niente. Nessuna
risposta.
La mia cara sorellina
non può trascorrere l’intero pomeriggio di fronte a quel dannato schermo. Mi
sento responsabile, in qualità di fratello maggiore. Decisamente maggiore, dal
momento che io ho quasi vent’anni e lei soltanto sei. Tra l’altro i nostri
genitori sono assenti, e lo saranno fino a domani, quindi tocca a me occuparmi
di Sonia. È bello avere una sorellina anche se spesso mi ritrovo a dover fare
il baby-sitter, occupazione che non mi si addice molto. A volte mi chiedo che
cosa sia saltato in mente a mio padre e a mia madre. Fare un altro figlio alla
loro età! La risposta, naturalmente, la conosco. Si è trattato di un incidente,
anche se loro non lo ammetterebbero mai. In fondo, li capisco. E poi siamo
tutti contenti che lei ci sia.
Che cosa potrei
proporle per distoglierla dal suo insano passatempo? Se lo chiedessi a lei di
sicuro vorrebbe giocare con le bambole. Ma a me non piace, non ne sono capace.
Lo faccio in maniera svogliata, in modo un po’ rozzo, e Sonia se ne accorge e
si arrabbia. Mi rimprovera. No, devo escogitare qualcos’altro.
“Sonia, vieni subito
qui!” grido di nuovo.
Dopo un po’ lei apre la
porta e si affaccia. È bella, mia sorella, anche se in questo momento la sua
espressione è imbronciata e infastidita.
“Che c’è?” dice.
“Spegni la televisione,
ti devo raccontare una cosa.”
Lei mi guarda, e poi
ubbidisce. Lo fa non perché riconosca la mia autorità di fratello maggiore. No,
quello no. Acconsente perché è curiosa.
“Siediti vicino a me”
la invito quando ritorna.
“Che cosa mi devi dire?”
domanda.
“Mi è accaduto qualcosa
di incredibile” annuncio, serio.
“Uh?”
“Mi sono trasformato in
un canguro!”
Sonia spalanca gli
occhi, i suoi stupendi occhioni scuri. Poi scoppia a ridere.
“Non ci credo!”
Mi avvicino a lei. Mi
metto di profilo.
“Guarda, guarda bene il
mio viso. Non noti qualcosa di strano?”
“No.”
“Osserva, bene. Non
vedi che si sta allungando?”
È perplessa.
“Forse” dice.
Le afferro la manina e
la porto sulla mia guancia. La strofino sulla lanugine che ricopre la mie gote.
“Il pelo, mi sta
crescendo il pelo.”
“È vero!” esclama lei.
Sembra convinta, come se non avesse mai notato prima d’ora il mio accenno di
barba.
“E le orecchie, che mi
dici delle orecchie? Guarda come sono grandi!” proseguo.
“Le hai sempre avute
grandi…”
“Hai ragione, ma ora lo
sono ancora di più. E cresceranno ancora!”
Sonia esamina con aria
critica i miei padiglioni auricolari. Sembra un po’ sconcertata.
“Davvero sei un
canguro?” domanda infine.
“Sì, lo sono” confermo.
Hai un canguro come fratello. Che ne dici?”
Lei sorride.
“Non è male, nessuno
dei miei amici ce l’ha.” La mia sorellina appare compiaciuta. L’idea non le
dispiace affatto, perché lei è sempre alla ricerca di qualcosa che le permetta
di distinguersi dagli altri bambini.
Poi diventa pensierosa.
Sta riflettendo.
“I canguri hanno la
tasca” dice.
“Eh? La tasca? Il
marsupio vuoi dire? Dove portano i piccoli?”
“Sì, quello” dice
Sonia, non nascondendo un certo fastidio. Non ama essere corretta, lei.
Scoppio a ridere. Lei
socchiude gli occhi a fessura, in allarme. Teme di essere presa in giro.
“Ma Sonia! Sono un
canguro maschio! I maschi non hanno il marsupio!”
“Però non c’hai nemmeno
la coda. E quella ce l’hanno sia maschi che femmine” dice, e poi incrocia le
braccia, soddisfatta.
Beccato! Mai
sottovalutare i bambini. Cerco di rimediare, e mi alzo in piedi.
“Ti sbagli, ce l’ho. Se
vuoi mi tolgo i pantaloni e te la mostro.”
Mi guarda disgustata.
“Ti credo” dice. Ormai
salvo, mi risiedo accanto a lei.
“Dimmi, che cosa fanno
i canguri?” domando.
“Eh? I canguri? Tirano
pugni.”
“Tirano pugni?”
“Sì, l’ho visto io, in
un cartone animato. C’era un canguro piccolo, un cucciolo, e aveva dei guanti
da boxe. Prendeva a pugni sul naso un povero gatto.”
“Vero, i canguri tirano
pugni” confermo. “Però fanno anche un’altra cosa, pensaci bene.”
Lei pondera a lungo, ma
non risponde.
“Non lo sai?” la
stuzzico.
Sonia allora si innervosisce.
Non ammette mai di non conoscere qualcosa.
“Adesso non me lo
ricordo.”
“D’accordo, ti aiuto
io. I canguri saltano, saltano di continuo.”
“Lo sapevo” ribatte
lei.
“Vuoi vedere come
saltano?” domando.
“Qui?”
“Certo, i canguri
possono saltare ovunque si trovino. Nella prateria, ma anche in casa.”
“Allora salta” dice
lei, con tono di sfida.
“Va bene, lo hai voluto
tu” dico, alzandomi di nuovo in piedi e portandomi al centro del salotto.
Comincio a spiccare un
balzo, poi un altro e un altro ancora. Intravedo un’espressione di meraviglia
sul volto della mia sorellina.
La botta è tremenda.
Colpisco in pieno il soffitto con la fronte e per un attimo vedo tutto buio.
Crollo a terra stordito, mi rialzo con fatica e ancora vedo doppio. Cerco di
mettere a fuoco Sonia, che è immobile, senza parole.”
“Hai visto?” farfuglio
prima di abbattermi sul divano, ancora intontito. Il cozzo è stato tremendo.
Poco per volta mi riprendo dallo stato di confusione e ripenso a ciò che ho
fatto. Potenza dell’autosuggestione! Ho fatto un salto di tre metri. Ancora un
po’ frastornato, per un istante accarezzo la pazza idea di uscire fuori, nel
giardino, e di esibirmi in altri folli balzi. Mi trattiene il pensiero di poter
essere visto dai vicini e rimango seduto. Rivolgo di nuovo l’attenzione alla
mia sorellina, che mi scruta con un’attenzione particolare. È ancora stupita e
incredula per ciò che ha visto.
“Sei davvero un canguro”
dice a bassa voce.
Annuisco. Sulla mia
fronte sta emergendo un enorme bernoccolo. Ho bisogno del ghiaccio.
“Non lo dirai, vero?”
chiedo.
“Uh?”
“A mamma e papà”
preciso. “Sai, ci potrebbero rimanere male.”
Lei fa segno di no con
la testa. So che non mi tradirà.
“Ai tuoi amici invece
lo potrai dire” aggiungo.
“Davvero?”
Confermo, e la rendo
felice.
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