Powered By Blogger

venerdì 2 novembre 2012

IL GIOCATTOLO



Quando entrarono, la birreria era già piena. Loro non ci badarono, o forse sì. Perché, diciamola tutta, sbattersi in un locale del genere e trovarlo quasi vuoto poteva risultare assai deprimente. Allo stesso modo, non riuscire a scorgere un solo tavolo libero rappresentava motivo di grande incazzatura, soprattutto se avevi girovagato per un bel po’ prima di scovare un buco per parcheggiare la macchina.
I quattro, invece, quella sera furono fortunati. Proprio in  fondo, in un angolo tranquillo, ecco spuntare un posto vacante. Si fiondarono, facendosi largo tra la ressa. La maggiore attività, naturalmente, era concentrato attorno al lungo bancone di legno scuro. Superarono l’ostacolo, inalando zaffate di birra, di sudore e di profumo a buon mercato, e si sistemarono sulle scomode panche. Compresero subito il motivo per cui quella collocazione decentrata era stata ignorata dagli altri avventori. Del megaschermo a cristalli liquidi si intravedeva solo una minuscola porzione. Se ne fregarono. In fondo loro erano lì per farsi qualche birra e scambiare due ciance, mica per stare a guardare quel fottuto televisore gigante. E poi la musica si sentiva lo stesso, il volume era giusto. Sfilarono giacche e giubbotti, e pure qualche maglia, perché lì dentro faceva un caldo dannato.
D’accordo, quello non era un locale tra i più eleganti, metà della gente che vi bazzicava pareva già sbronza, qualcuno impasticcato di sicuro, tuttavia se uno era di bocca buona era possibile trascorrere un paio d’ore in completo relax, bevendo e parlando con gli amici. La grande confusione non disturbava affatto, era parte dell’insieme, bastava soltanto alzare un po’ di più il tono di voce, tanto non c’era pericolo di infastidire qualcuno.
E poi quella serata era un po’ particolare. I due ragazzi avevano convinto due amiche ad uscire con loro, quindi la compagnia era diversa dal solito, più stimolante. Cioè, quelle ragazze, a dirla per vera, non erano proprio loro amiche, dal momento che le avevano conosciute solo alcuni giorni prima. Però tra giovani funziona così, ci si incontra e si discorre e, se si riesce a stabilire fin da subito un certo rapporto confidenziale, ci si ritrova amici. Si può uscire insieme senza problemi.
L’uscire il sabato sera era un pensiero ricorrente, al quale ci si aggrappava lungo l’intera settimana. Ore e ore ingabbiati in quello schifo di fabbrica, a fare sempre le stesse cose, sporchi di grasso dalla testa ai piedi, a sentire le stronzate continue dei compagni di lavoro. E le lamentele e i piagnistei dei più vecchi, di quelli ormai stonati. Prigionieri, questi ultimi, oltre che della fabbrica, di mogli isteriche e di figli ingrati, a loro dire.
Uscire era come rinascere, tornare a respirare aria pura, non rendere conto a nessuno di ciò che si faceva. Certo, anche quelle due tipe non se la dovevano passare tanto bene. Cassiere al market, erano. E mica in uno di quei centri commerciali strafighi dove tutto sembrava luccicare, anche se il lavoro era ugualmente di merda. No, loro stavano in un discaunt, di quelli per pezzenti e sfigati, tanto per intenderci. Dove i clienti erano o vecchie casalinghe ciabattanti che rompevano le palle sugli sconti e sulle offerte o lerci stranieri ubriachi che venivano a rifornirsi di vino in cartone per alimentare la loro sbornia perenne. Alcuni di loro, tra l’altro, non avevano alcun rispetto per le ragazze alla cassa. Facevano complimenti pesanti, proprio volgari, eppure bisognava stare mute, fare finta di nulla, se si voleva conservare il posto. Perché lo stronzo di direttore, in caso di questioni, dava sempre ragione al cliente, pure se questo era uno straccione slavo.
Meglio non pensare a tutte queste brutture, meglio sfruttare il momento, e divertirsi.
Ordinarono il primo giro di birre, e qualche patatina fritta per accompagnare.
Le due tipe sembravano un po’ sulla loro, mica tanto espansive, per dire. In fondo era cosa normale, le due coppie si conoscevano appena, allora bisognava tirare fuori qualche discorso non troppo impegnativo, tanto per rompere il ghiaccio. Mica parlare di politica o di quelle robe lì, perché tanto di politica nessuno di loro ci capiva un cazzo, poco ma sicuro. Non che non fossero in grado di farlo, questo no, il fatto era che a loro proprio non interessavano quelle menate.
“Ehi, dite, ma voi li usate quei giocattolini?” buttò lì uno dei ragazzi. “Quegli aggeggi che adesso li trovi dappertutto, anche nelle farmacie e nei distributori automatici” precisò tanto per non essere frainteso.
Le due ragazze reagirono in maniera differente. Una distolse lo sguardo, facendo finta di guardarsi le unghie, lunghe e colorate, l’altra invece soffocò un risolino. Aveva capito benissimo dove il furbacchione voleva andare a parare, perché i suoi occhi brillavano maliziosi.
“E tu, che ne pensi?” chiese il ragazzo all’amico, dopo che non aveva avuto soddisfazione dalle tipe.
Quello si prese un sacco di tempo per rispondere. La domanda non era affatto male, ma richiedeva una certa riflessione. Allora finì di prosciugare il boccale poi, approfittando di un cameriere nelle immediate vicinanze, ordinò un altro giro per tutti. Diede un’occhiata alla ragazza biondina, che era arrossita, chissà se per l’imbarazzo o solo per il gran caldo, e finalmente rispose.
“Tutto il rispetto per quelle robe lì” sentenziò.
“Eh?”
“Guarda, se vuoi saperla tutta, credo che dopo la ruota sia la miglior invenzione che è mai venuta fuori.”
La ragazza bruna, quella che appariva più disinvolta, sghignazzò e quasi si strozzò con la birra che stava bevendo.
“Che cazzo vorresti dire?” domandò l’altro maschio.
“Vedete, a me mi piace essere sincero, fino in fondo. E dico senza paura di essere smentito che quelli sono i più grandi rivali di noi uomini, giusto?”
“Questo lo dici tu” ribatté l’altro, ma fu ignorato.
“Con loro proprio non possiamo competere. No, niente da fare. Lì è sconfitta sicura, credetemi. Garantito.”
“Perché?” domandò la ragazza bruna, divertita, mentre la compagna pareva sempre meno a suo agio. Non sapendo che fare, e non volendo essere coinvolta in quella scabrosa conversazione, non trovava di meglio che continuare a bere. Aveva quasi finito anche la seconda birra, ed era sempre più rossa in faccia, quasi paonazza. Il trucco quasi sciolto.
“Adesso vi spiego, se avete un attimo di pazienza. Primo: loro sono sempre disponibili, l’importante è non scordare dove sono stati nascosti. E poi assicurano un livello di prestazione sempre uguale, e questa non è certo cosa da poco.”
“E soprattutto non parlano” aggiunse la ragazza bruna.
“Questa era per te, socio.”
“No, stavo scherzando…” disse lei, pentita per la battuta un po’ offensiva, suggerita dall’alcol che cominciava a fare effetto.
“Cazzo, se è come dici tu allora noi che ci stiamo a fare? È così facile sostituirci?” esclamò il primo giovane, maledicendosi tra sé e sé per aver scelto quello stupido argomento di conversazione. Il deficiente del suo amico stava sparando un sacco di cazzate, come sempre faceva quando aveva un po’ di birra in corpo, d’altra parte.
“Ragazze, non avete risposto alla domanda del compare…” perseverò l’altro, ormai lanciato.
“Obiezione!” disse la bruna. “Si tratta di una domanda troppo diretta, che mette a disagio. Perché non rispondete prima voi, invece?”
“Ehi! Ragazza! Vorresti mica insinuare che io sono uno di quei tipi lì?”
L’altra sbuffò.
“Intendevo dire se voi l’avete mai usato, il giocattolino, con qualche donna…”
“Adesso siamo di nuovo amici.”
“Rispondi, al posto di menartela…” incalzò l’amico.
Altro sorso di birra, bello lungo, prima di ribattere.
“Negativo. Siamo rivali, io e lui, come detto. Quindi non c’è posto per tutti e due. Uno esclude l’altro.”
“Immagino chi è l’escluso, di solito” non riuscì a trattenersi dal dire la bruna, che si stava divertendo.
L’oggetto del suo scherno fece finta di nulla. Si rivolse invece all’altra ragazza, che stava sempre muta.
“E tu, tu che non dici niente? Scommetto che tu ti diletti con l’aggeggio, vero?”
Quella lo guardò sconcertata. Si capiva chiaro e tondo che in quel momento avrebbe desiderato essere da tutt’altra parte.
“Nessun oggetto può sostituire l’aspetto emotivo, quello che si instaura tra due persone” farfugliò infine con un filo di voce, e nascondendo il viso dietro al grosso boccale.
“Brava! Tu sì che hai sale in zucca, mia cara” disse il ragazzo. “Hai messo in evidenza l’unico punto debole di quei cosi lì.”  
“Però tra te e l’aggeggio sceglierei l’aggeggio” concluse lei, impacciata ma fiera per ciò che era riuscita a dire.
Quasi tutta la compagnia si sbellicò dalle risate. Discorso chiuso. Era arrivato il momento di un altro giro di beveraggi.


Nessun commento:

Posta un commento