Mai come in questi
tempi travagliati si presenta così attuale il tema del ricambio della classe
politica. Nei giorni scorsi Walter Veltroni, uno degli esponenti storici del
Partito Democratico, ha annunciato che non si candiderà alle prossime elezioni
politiche, considerando esaurita la sua esperienza nelle istituzioni.
Veltroni, ricordiamolo,
è stato il primo segretario del PD, nonché deputato per tre legislature,
candidato premier nel 2008, Vicepresidente del Consiglio e ministro della
Cultura nel primo governo Prodi, sindaco di Roma. La sua mossa a sorpresa ha
naturalmente ricevuto il plauso di tutti, anche se ha creato alcune
comprensibili difficoltà ai colleghi di partito con analoga, lunga militanza
parlamentare. Al di là di una decisione che comunque è da ritenersi personale,
degna del massimo rispetto, la questione del rinnovamento della classe dirigente
si ripropone, dopo questo fatto di rilievo, con ancora maggiore forza.
Walter Veltroni non
sarà quindi uno dei politici messi da parte, nel perseguimento della sua furia rottamatrice,
da Matteo Renzi, il sindaco di Firenze candidato alle elezioni primarie del
Partito Democratico.
La battaglia di Renzi,
pur encomiabile sotto alcuni punti di vista, appare però ristretta a una
disputa di natura strettamente generazionale: i vecchi costretti a farsi da
parte, con le buone o con le cattive, per fare spazio ai giovani. Una
conclusione, forse eccessivamente semplificata, che non sempre in politica si è
dimostrata valida. Il rischio, che è facile intuire, è quello dei “dilettanti allo
sbaraglio”. Da evitare.
Nell’ultimo periodo è
cresciuta sempre di più l’ostilità, da parte di un’ampia fetta di cittadini,
nei confronti dei politici di professione. La causa è da ricercarsi, oltre che
nei ripetuti esempi di cattivo governo degli ultimi anni, soprattutto nel moltiplicarsi
di scandali e episodi di malaffare con politici quali protagonisti. Ci si
chiede, a questo punto, quanto questi due aspetti siano legati. È alquanto
problematico poter fornire una risposta soddisfacente. Un tentativo di analisi,
seppure superficiale, porterebbe a ipotizzare che tale legame in realtà non
esista. Oppure che sia assai debole. Un conto sono la scarsa competenza, l’incapacità
manifesta e l’assoluta improvvisazione, un altro è la disonestà sempre più
diffusa.
Quali dovrebbero
essere, allora, i criteri ai quali ispirarsi nella selezione della classe
politica?
Innanzitutto non l’età
anagrafica. Un paese ha necessità dell’apporto, e dell’impegno diretto, di
tutti i suoi cittadini, giovani e meno giovani. La data di nascita non conta, poiché
in tutti è possibile riscontrare doti di abilità e preparazione, attingere a
nuove idee o affidarsi a esperienze consolidate.
La qualità principale
dell’aspirante governante dovrebbe essere la passione, mai inquinata da
interessi personali, sempre accompagnata dal desiderio di lavorare per gli
altri.
L’attività politica,
inoltre, può essere interpretata sia come un servizio da rendere al proprio
paese per un periodo limitato di tempo sia come un impegno a vita. L’uno non
esclude l’altro. In base a ciò, non è possibile dunque escludere a priori la
presenza di politici di professione, a condizione che questi ultimi si siano
dimostrati all'altezza dell'importante incarico ricoperto e abbiano conseguito buoni risultati.
La selezione, in ogni
caso, spetta in prima battuta ai partiti, poi agli elettori.
Sarebbe sbagliato
buttare via tutto, e lasciare così prevalere l’insana volontà di cambiare a
tutti i costi, tanto per il gusto di farlo. Ci si potrebbe trovare di fronte a
sgradevoli sorprese.
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