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domenica 21 ottobre 2012

RICONOSCENZA



I quattro ragazzi sono seduti attorno al tavolo, in quella stanzetta spoglia che odora del fumo di tante sigarette. Osservano attenti un foglio di carta spessa, sul quale è stata tracciata una rudimentale ma precisa piantina. Uno di loro, l’unico che parla perché tutti gli altri ascoltano soltanto, ha tra le mani un grosso pennarello blu. Lo agita in aria, ad accompagnare le parole decise che pronuncia, ogni tanto lo appoggia sul disegno, che di sicuro ha fatto lui, ma non appone alcun segno.
“Avete capito bene? Oppure è il caso di rivedere tutto ancora una volta?” domanda il giovane dai capelli rossi.
“Stai tranquillo, Simone. È tutto chiaro. Il vero problema, almeno da parte mia, è un altro” risponde il tizio alla sua destra, quello con la barba nera e incolta. Gli altri annuiscono, perché conoscono bene quale sia il dubbio dell’amico, un dilemma che è anche il loro.
“Problema? Quale problema?” si infervora il rosso.
“Come possiamo essere davvero sicuri che non passerà nessuno? Che qualcuno non venga coinvolto?”
Simone sogghigna, poi si accende l’ennesima cicca. Racchiude tutti in uno sguardo beffardo.
“Vi state cagando?” dice, senza che quel sorriso pungente abbandoni le sue labbra.
“Sai bene che non è così!” protesta il tipo smilzo dai lunghi capelli e dal grande naso.
“Non si direbbe…”
“Non vogliamo fare del male a nessuno. Lo scopo del nostro gesto è un altro” spiega con calma il giovane barbuto.
“Cazzo, Nicola!” sbotta Simone. “Quante storie! Abbiamo fatto sopralluoghi per un mese consecutivo. Dimmi, hai mai visto qualcuno transitare in quel vicolo alle tre di notte? Nessuno! Neppure un cane, un gatto o un sorcio. Nessuno!”
“Simone ha ragione” interviene il quarto ragazzo, l’unico che porta i capelli tagliati corti. “E poi non si tratterà di una grossa esplosione, così ha assicurato Bum-Bum. Un atto simbolico puro e semplice, e nulla di più.”
“Ehi! Non c’è qualcosa da bere?” domanda Simone il rosso, il capo.
“Purtroppo no.”
“Perché non andiamo a comprare qualche birra? L’importante sarà essere lucidi domani notte, non ora.”
Simone rivolge un’ultima occhiata al pezzo di carta, poi finalmente si rilassa.
“Come volete, ma non subito” dice guardando l’orologio. “È meglio se prima ripetiamo tutto di nuovo. Vedete, non dobbiamo trascurare alcun dettaglio, anche se in apparenza tutto può apparire semplice. Dobbiamo essere pronti ad affrontare eventuali difficoltà.”
“Ufff! E va bene, come vuoi tu. Ma poi si beve!” ribatte il ragazzo mingherlino.
E proprio in quell’istante qualcuno bussa alla porta. Dapprima con colpi lievi, che poi aumentano di intensità. I quattro giovani si guardano, colmi di apprensione. Qualcuno tra loro sbianca in volto.
“Che succede?” si domanda Simone, e subito ottiene la risposta.
“Aprite! Polizia! Aprite immediatamente!”
“Merda!” Ancora Simone, l’unico del gruppo che sembra mantenere il sangue freddo. È rimasto seduto, mentre gli altri si sono alzati e ondeggiano da una parte all’altra della stanza, simili a mosche impazzite.
Ancora colpi, sempre più forti. La porta sta per essere sfondata.
“Andate ad aprire, nel frattempo farò sparire il foglio. Ricordate, non ci possono accusare di nulla. Tanto non abbiamo armi né altro che ci compromettere. Forza, sbrigatevi!”
E i suoi amici, come fanno sempre quando lui ordina qualcosa con quel tono perentorio, ubbidiscono.

I quattro uomini sono seduti attorno al tavolo, in quella stessa stanzetta spoglia che non odora più di fumo, perché tutti hanno smesso di fumare. Sono trascorsi trentacinque anni dall’ultima volta che si sono ritrovati insieme, tanto tempo è passato da quella serata balorda che però è ancora ben impressa nelle loro menti, ma che nessuno di loro preferirebbe evocare.
“Voi lo avete detto?” domanda invece l’uomo calvo con il viso chiaro spruzzato di lentiggini, le sopracciglia rosse striate di fili bianchi. Tutti lo guardano ma non rispondono.
“Avete raccontato quell’episodio alle vostre mogli? Ne avete parlato con i vostri figli?” insiste lui.
“Cazzo, Simone! Non ci vediamo da una vita e la prima cosa che ci chiedi è questa?” sbotta il tipo con la barba completamente bianca.
L’altro scrolla le spalle e sorride.
“Semplice curiosità” dice.
“Piuttosto, che ne hai fatto dei tuoi bei capelli rossi?” domanda l’uomo secco dal grande naso.
“Non vedi? Li ho rasati. Sai, la moda…”
“Quali hai rasato? Gli ultimi quattro? O l’unico rimasto?”
“Sai che non ho mai visto una persona così magra con una pancia così pronunciata?” ribatte Simone, con l’antico tono canzonatorio.
“Non siate infantili!” interviene il quarto uomo. “No, io non l’ho mai detto a nessuno” aggiunge.
Tutti ridiventano seri di colpo.
“Neppure io” dice un altro.
“Anna, mia moglie, lo sa. Mia figlia no” interviene il quarto.
“E tu, Simone?” domanda il barbuto.
“Non sono sposato, non ho una donna. E neanche figli” risponde l’amico, con l’aria sconsolata.
“Che cosa hai fatto in tutto questo tempo. Perché non ti sei più fatto vivo?”
“Non vi siete dati molto da fare per rintracciarmi” ribatte Simone, con asprezza.
L’uomo magro si stringe nelle spalle, scuote il capo.
“Sei scomparso all’improvviso. Credevamo non volessi più avere niente a che fare con noi” dice.
Simone sospira, poi si sfrega gli occhi a lungo.
“Non è così. Il fatto è che mio padre prese molto male quella faccenda. Mi impedì di proseguire gli studi e mi spedì in Germania, da suo fratello, per allontanarmi dalle cattive compagnie, disse. Le cattive compagnie eravate voi.”
“Noi? Eravamo i tuoi migliori amici!” protesta il tipo abbronzato con i capelli corti completamente bianchi.
“Voleva proteggermi dalle vostre idee, non gli piaceva il clima che si era venuto a creare nel nostro paese, quella situazione di conflitto permanente.”
“Ma le nostre idee erano anche le tue!”
“Che volete, andò così. Mio padre riteneva che io fossi una persona debole e facilmente influenzabile.”
“Eri tu a trascinare noi!” sbotta il tipo con l’enorme naso.
Simone lo guarda e annuisce.
“Ho fatto il gelataio per trentacinque anni. Prima alle dipendenze di mio zio, poi per conto mio. Adesso ho venduto tutto e sono tornato. Con la mia attività ho guadagnato molto, non ho più necessità di lavorare. Ho sentito il bisogno di rivedervi.”
L’uomo con la barba scruta l’amico, pensieroso.
“In quella occasione tuttavia tuo padre ci aiutò” dice.
“Eh? Ti riferisci forse all’avvocato Volpini?” domanda Simone.
“Sì, era il suo avvocato, no? Prese le difese di tutti noi e fu molto abile. Riuscì a dimostrare che la nostra era stata una ragazzata, ci fece scagionare.”
“Cazzo, una settimana in galera però l’abbiamo fatta!” esclama il secco.
Simone lo squadra con sguardo feroce.
“Abbiamo rischiato di fare vent’anni, Cristo!”
“Simone ha ragione” interviene il tipo elegante dai capelli candidi. “Abbiamo avuto davvero una gran fortuna, anche se non ho mai capito bene un particolare.”
“Vale a dire?” domanda Simone.
“Il foglio, perché non lo hai distrutto?”
Tutti gli sguardi si appuntano su Simone.
“È vero, non sono riuscito a farlo sparire. Avrei potuto mangiarlo, ma non avevo sufficiente appetito” risponde, sorridendo. “Allora lo nascosi sotto il giornale che era sul tavolo.”
“Sotto il giornale?” domandano gli amici, quasi in coro.
“Be’… lo trovarono subito” conclude Simone, sempre sogghignando.
“Incredibile!”
“Pazzesco!”
Simone fa segno a tutti di tacere.
“Vedete, quella sera prima di incontrarmi con voi telefonai alla polizia e dissi tutto, o quasi.”
“Che cosa?”
“Avevo riflettuto a lungo, e avevo concluso che ci stavamo per imbarcare in qualcosa che era al di sopra delle nostre capacità, qualcosa che avrebbe potuto rovinare le nostre vite. Mi sentivo responsabile, perché era stato io a trascinarvi in quella faccenda. Gli elementi influenzabili eravate voi, non io, su questo mio padre aveva completamente torto. Tuttavia non potevo tirarmi indietro del tutto, non volevo perdere la faccia.”
“Traditore! Giuda!” esclama con foga, e rabbia, l’amico con la barba.
“Aspetta!” lo blocca Simone. “Se non fosse stato per me tu, Alfio, adesso non saresti un famoso architetto. E tu, Claudio, non saresti diventato uno stimato medico. E la tua grande azienda non esisterebbe, Massimo. Ragazzi, dovete ringraziarmi perché vi ho salvato, e ho fatto in modo che le vostre vite non fossero distrutte. In fondo, quello che ci ha rimesso di più sono stato io.”  
I tre si guardano, increduli. Poi annuiscono, e sorridono. Anche Simone lo fa, finalmente libero da quel gran peso. Quindi si alzano e, come un solo uomo, iniziano a colpire l’amico traditore. Sfogano su di lui, con crudeltà, quella violenza che per trentacinque anni è rimasta repressa. E lo fanno finché non vedono scorrere il sangue.

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