Il telefono. Lo lascio
suonare a lungo. Poi, irritato, smetto di scrivere, mi alzo e vado a
rispondere.
Si tratta di Stefano, un
mio caro amico. Non poteva che essere lui, dal momento che nessun altro mi
chiama.
“Ehi! Finalmente ti
degni di rispondere!”
“Ciao Stefano, tutto
bene?”
“Sì, grazie. Che ne dici
di venire con me all’inaugurazione della mostra di Desideri?”
Mi coglie di sorpresa.
“Chi è Desideri?”
domando, esitante.
“Ma come! È quel giovane
pittore che ti piaceva tanto. Quello delle barche, non ti ricordi?”
“Sì, certo. E quando
sarebbe?”
“Questa sera.”
“No.”
“Eh?”
“Scusami, ma non me la
sento. In questo periodo sono molto impegnato, credo di essere un po’ stanco.”
“Sarebbe un piacevole
diversivo. La pittura non ti interessa più?”
“La pittura mi piaceva
molto.”
“Ti piaceva? E adesso?”
“Non lo so…”
“Ehi! Ma stai bene?”
Nella voce di Stefano c’è apprensione. Caro, buon vecchio Stefano. Unico amico.
Rido, nel tentativo di
rassicurarlo.
“Non preoccuparti, sto
benissimo” dico.
“Sicuro?”
“Te lo garantisco.”
“Ascolta, e se passassi
a trovarti?” chiede Stefano dopo un attimo di esitazione. Non mi crede.
“Perché no? Ti aspetto,
vieni anche subito.”
“Arrivo.”
Riattacco con un
sospiro. Ormai ho smarrito del tutto la concentrazione. Mi siedo comunque
davanti al computer, rileggo distrattamente ciò che ho scritto oggi. Non ne
sono molto soddisfatto. Spengo tutto e mi siedo sul divano. So che Stefano mi
raggiungerà presto, lui mantiene sempre le sue promesse. In fondo, considero,
non mi farà male scambiare due parole. Da troppo tempo non parlo con nessuno.
Il contatto umano un po’ mi manca. Ma non troppo.
E dopo meno di un’ora
Stefano è seduto di fronte a me. Da come è abbigliato comprendo che neppure lui
andrà alla mostra. Ha deciso di sacrificarsi a mio beneficio. Forse non merito
tanto.
“Ehi! Ma non apri mai le
finestre?”
“Soltanto quando mi
ricordo di farlo.”
Noto che il mio amico è
un po’ infastidito dall’ambiente buio in cui ci troviamo, il mio studio. La
luce centrale è spenta, e soltanto una piccola lampada illumina in parte la
stanza, creando lunghe e inquietanti ombre. Tuttavia, non manifesta la sua
contrarietà. Non osa.
“Sei pallido” dice.
“Può essere, negli
ultimi tempi non ho fatto molti bagni di sole.”
Scuote il capo.
Disapprova il mio comportamento, ma non osa esprimere rimproveri. Nonostante la
nostra sia una solida e antica amicizia, lui ha sempre avuto un po’ soggezione
di me.
“A che punto è il libro?”
domanda infine.
“Procede.” Stefano
annuisce, senza domandare altro.
Come sempre, la mia
eccessiva laconicità gli provoca imbarazzo. Si schiarisce la voce. Una, due
volte.
“Perché ti sei recluso
qui dentro? Per quale motivo non esci mai?” domanda. “È come se tu non vivessi
più!” aggiunge, con una schiettezza per lui insolita.
“Ti sbagli, Stefano. La
mia vita è piena. Io vivo per raccontare. Tutto il resto, tutto ciò che ho
fatto in passato, non mi interessa più. O meglio, quelle esperienze mi sono
utili perché le rielaboro di continuo, le trasformo in scrittura. Senza di esse
sarei di sicuro più povero, tuttavia le considero sufficienti, e non ne
desidero altre.”
“Non ti offendere, però
lascia che ti dica che tu non sei mai stato un grande affabulatore. Nel corso
della tua esistenza non hai mai raccontato neppure una barzelletta!”
“Hai ragione, ma le
parole scritte sono un’altra cosa. Quelle soltanto pronunciate sono leggere e
finiscono per risultare vuote, sono come neve al sole.”
Stefano appare nervoso,
cambia più volte posizione sulla poltrona. Questi discorsi lo turbano, lo
capisco. Ma lui è l’unica persona con il quale possa farli.
“Quindi tu scrivi solo
per te stesso? Per raggiungere un appagamento personale?” chiede.
Sorrido.
“Con te non posso
mentire, devo dire per forza la verità. No, non scrivo per me stesso, non
avrebbe senso. Molti scrittori preferiscono nascondersi dietro a tale
affermazione. In realtà, non sono sinceri. Vedi, io conosco perfettamente quali
siano i miei pensieri. Potrei limitarmi a elaborarli, ad attingervi, come fanno
tutte le persone che non scrivono, poiché non esiste una ineludibile necessità
di trasformarli in parole scritte. No, il fatto è che io, come tutti, sento il
bisogno di condividerli, di spartirli con altri esseri umani. E cerco di farlo
nel migliore dei modi, dando loro una formulazione definitiva…”
“Immutabile…” mi
interrompe Stefano.
“Esatto, vedo che hai
capito.”
“Sì, ma allo stesso modo
non comprendo questa tua occorrenza di isolamento…”
“Già, comunque devi
sapere che il processo di distillazione dei pensieri richiede quiete e
tranquillità. Soprattutto, obbliga a un’assenza temporanea dal mondo. L’immersione
nella creatività deve essere totale e sfibrante. Non sempre si riesce a
raggiungere lo scopo finale.”
“Sono sbalordito. E
preoccupato. Non pensavo che…”
Sorrido di nuovo. La
sincera angustia di Stefano mi intenerisce.
“Sai che ti dico?
Parlare con te mi ha fatto bene. È servito a ricaricarmi. Mi sento riposato.”
Stefano mi osserva,
guardingo.
“E quindi…”
“Non vedo l’ora di
riprendere a scrivere!”
Il mio amico si porta le
mani al volto.
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