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venerdì 16 marzo 2012

ATTRAZIONE



“Perché mi guardi e non favelli?”
Si è rivolta a me, proprio a me. Ho impiegato più di un istante a rendermene conto. Non avrei mai immaginato che potesse farlo. Eppure è così, lei mi sta fissando con i suoi penetranti occhi neri, ed io non so che cosa rispondere. Arrossisco, intimidito.
Siamo in piedi, nell’atrio della scuola, attorniati dai nostri compagni, e stiamo aspettando che l’assemblea abbia inizio.
È stato un caso che mi sia trovato accanto a lei, un puro caso. Lei è Antonella, e ci conosciamo da quattro anni, un tempo ormai lungo durante il quale, in pratica, non abbiamo mai scambiato una sola parola. Qualche saluto, e nulla più.
All’inizio non l’avevo quasi notata, perché la mia compagna non è una ragazza molto vistosa. È bassa di statura, con capelli e occhi scuri, un corpo minuto ma ben modellato. Ha una piccola gobba sul naso, davvero piccola, e forse per tale difetto pochi la considerano bella. Al contrario questa sua lieve imperfezione la rende ai miei occhi molto attraente. Io odio la perfezione, la sfuggo, ritengo piuttosto che soltanto l’esistenza di una sottile pecca possa rendere veramente interessante una persona, la faccia risultare unica nel suo incanto. Un fascino del tutto particolare, quello di cui è fornita Antonella, che mi ha rapito tardi, ma al quale non riesco più a sfuggire. Detesto la mia stoltezza, e la mia evidente inadeguatezza, che mi ha portato a chiudermi ancora di più in me stesso, a corazzarmi nel tentativo, vano, di sottrarmi a quel senso di vuoto che mi assale ogni volta che la vedo. Tutti i giorni, per lunghe e tormentate ore. Antonella: se in precedenza l’ho ignorata, adesso invece soffro, catapultato all’improvviso in un vortice che non riesco a controllare, il cui centro è costituito dalla sua forza di attrazione. Volteggio in uno spazio sconosciuto, annientato e privo di volontà, timoroso del possibile schianto.
E non parlo, non rispondo. Osservo quegli occhi neri, dentro ai quali ho paura di perdermi, dentro ai quali mi sono già smarrito, e forse sorrido.
“Vieni” dice lei, che ha intuito tutta la mia confusione. Mi trascina in un angolo tranquillo, e si siede a terra, accovacciata come una squaw. Per quanto sia in grande imbarazzo, faccio la stessa cosa, combatto il disagio che mi avvolge e mi opprime, e dunque mi siedo.
Sei carina, mi piaci, provo interesse per te. Sei simpatica, e il tuo vestito è molto grazioso. Che importa se lei non indossa un vestito ma dei jeans e una maglietta?
Potrei dire tante cose, potrei non dire nulla e rivolgere invece uno sguardo eloquente, manifesto, che racchiuda tutto ciò che provo, tutto ciò che accelera i colpi del mio cuore.
Invece continuo a non dire nulla. Non ci riesco. Lei non è molto sorpresa dal mio atteggiamento. Non lo ritiene insolito, lo considera connaturato alla mia persona, e questo pensiero mi ferisce. Non mi sono mai rivolto a lei, mai abbiamo incrociato verbo . Per quale motivo dovrei farlo proprio adesso? Questo è ciò che leggo nei suoi occhi, un misto di pena e di compatimento e di sarcasmo. Io sono il tipo strano, interessante proprio perché singolare.
Patisco, eppure non posso perdere questa occasione. Non ne capiterà un’altra, lo sento. Devo dire qualcosa, devo costringerla a conoscermi, obbligarla a considerare la mia attrazione per lei, a prenderla sul serio, a rispettarla.
Lei si distrae, si guarda intorno, la sua espressione si colma di noia. Comprendo che non posso attendere oltre, devo agire. Subito, senza indugio. Privo di favella, mi affido all’azione.
Appoggio una mano sulla sua spalla. Antonella mi scruta, sorpresa da quel gesto audace. Un’occhiata torva, severa. Si scosta. Non parla.
Ritraggo la mano, piagata, toccata dal fuoco.
“Da tanto tempo desideravo toccarti”. La voce non è la mia, non la riconosco. Anche se ho parlato.
Lei si alza, seccata. Ma sempre bella.
No, non andare via. Io voglio te. Non fuggire.
“Ti prego, dimmi qualcosa.” Ancora quella voce roca, irriconoscibile. La mia.
Le sue labbra si schiudono.
“Sciò!”

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