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domenica 4 marzo 2012

IL NONNO



Il ragazzino si avvicina al letto del nonno. L’anziano sembra assopito, ma in realtà non sta dormendo. Aspetta, a occhi chiusi. Attende i pasti, la pulizia personale, per la quale deve dipendere dall’aiuto di altre persone, sta in attesa di qualcuno che scambi qualche parola con lui. Non ha più forze, da tempo non si alza più dal quel letto, da quel bozzolo protettivo e costrittivo, ma ha ancora tanta voglia di raccontare.
“Per favore, lascia stare il nonno!” Una voce di donna. Imperiosa e severa.
Il bambino sussulta.
“Ti prego, mamma, soltanto cinque minuti.”
“Non vedi che sta dormendo?”
Proprio in quell’istante il vecchio spalanca gli occhi.
“Sono sveglio” dice, con voce flebile. E, con grande sforzo, si alza a sedere sul letto.
Il ragazzino è lesto nel sistemargli, con premura, un cuscino dietro la schiena. L’anziano tossisce, poi cerca di schiarire la voce.
“Lascialo stare” dice. “Non sta facendo nulla di male.”
La donna, dalla cucina, sbuffa.
“Soltanto cinque minuti! E non riempire la testa al bambino con le tue storie di guerra!” quasi grida la donna.
Il vecchio scuote il capo.
“Donne…
Il bambino sorride, poi concentra lo sguardo sul viso del vegliardo.
Il cranio del nonno è simile a un teschio. La sua pelle, chiara e sottile, è tirata sugli zigomi e sembra doversi rompere da un momento all’altro. Sulla sommità della testa i pochi capelli, bianchi, sono arruffati. L’uomo non ci bada, da tempo ormai non è più interessato al suo aspetto. Il suo corpo ossuto e fragile non gli è più di alcuna utilità. La mente, invece, è ancora lucida, a differenza di ciò che pensano i suoi cari. Nessuno ha più la pazienza di starlo ad ascoltare, tutti sono convinti che i suoi siano soltanto sproloqui confusi, un ammasso disordinato di ricordi, alcuni veri e altri forse no, con i quali investe il malcapitato interlocutore. L’unica eccezione è rappresentata da quel bambino che, per combinazione, porta il suo stesso nome. Uno degli innumerevoli nipoti. O bis-nipoti? Chissà! Sa soltanto che sono tanti, ma non si ricorda più quanti siano esattamente. La sua vita è stata troppo lunga e, anche se gli secca ammetterlo, la sua memoria recente a volte fa cilecca. Le vicende della sua giovinezza e, poi, della sua maturità, sono invece ben presenti e nitide nella sua mente.
Il ragazzino continua a osservare l’anziano. Gli piacciono i suoi occhi celesti, la loro profondità lo attira. E poi, adora quei piccoli baffetti del nonno, dai quali il vecchio non si è mai voluto separare, forse l’ultimo vezzo che gli è rimasto.
“Nonno, raccontami della guerra.”
“La guerra? Certo che ti racconto della guerra! Non saprei parlarti di niente altro.”
“Tu non eri un semplice soldato, vero?”
“Ah! Ah! Un soldato? No, io ero di più, molto di più!”
“Un generale?” azzarda il bambino.
“Ancora di più! Io comandavo tutti. L’intero popolo era ai miei ordini.”
“Eri bravo?”
“Il migliore, ero il migliore di tutti. Sono riuscito a dominare un intero continente.”
“Che cos’è un continente?”
“È tutto ciò che vedi, tutto ciò che ti sta attorno, qualunque ne sia la distanza da te. Intere nazioni, interi popoli!”
“Ah!”
“Se tutti mi avessero seguito fino in fondo, non avremmo mai perso la guerra.”
“Però l’avete persa…”
“Non per colpa mia!” ringhia il vecchio. “Ho commesso un solo errore. Ho creduto che la mia gente fosse forte, invece si è rivelata debole, senza nerbo. Promettimi che tu non sarai mai debole, ragazzo.”
“Te lo prometto, nonno.”
“Non hanno obbedito ai tuoi ordini?” domanda ancora il bambino.
“No, alla fine si sono arresi, quei vigliacchi!”
“E tu?”
“Io ho combattuto fino alla fine…”
“Ma gli altri sono morti tutti, e tu no.”
Il vecchio afferra per le spalle il ragazzino e lo avvicina a sé. Il suo sguardo è furbo. Abbassa ancora di più la voce, che diventa un mormorio quasi impercettibile.
“Sono riuscito a ingannare il nemico” dice.
“In che modo?”
“Ho fatto credere di essere morto. E loro si sono convinti che ciò fosse vero.”
Il ragazzino sembra perplesso.
“Mamma dice che non è vero. Dice che questa storia è inventata.”
“Bah! Non dare retta a quella donna. Lei è troppo giovane e non sa, oppure finge di non sapere.”
“Perché?”
“È difficile da spiegare, ragazzo. Lei, come tutti, prova un senso di colpa che non le fa onore. Invece dovrebbe essere orgogliosa di questo vecchio, come lo dovrebbe essere tutta la nostra gente. Come lo dovresti essere tu.”
“Ma io lo sono, nonno, anche se non capisco.”
“Un giorno capirai.”
“Sì.”
“Adesso basta! Il nonno ha bisogno di riposare!” La donna, non vista, è entrata nella stanza. Una specie di irruzione. Il vecchio e il bambino sobbalzano, sorpresi. Il ragazzino abbassa lo sguardo, con aria colpevole, l’anziano assume un’espressione risentita e volta il capo in direzione della finestra.
“Nonno Adolf è stanco, lascialo dormire” aggiunge la donna. Il suo sembra un vero e proprio ordine.

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