La buona notizia: la disciplina dell’art. 18 è stata estesa
a tutti i lavoratori.
Quella cattiva: l’art. 18, in concreto, non esiste più. È
stato ridotto a un guscio vuoto.
Come si temeva, il succo della riforma del mercato del
lavoro è tutto contenuto in questo provvedimento. Una decisione, caduta
dall’alto, che ha provocato divisioni e che appare destinata a produrre
ulteriori lacerazioni. Nel sindacato, all’interno delle forze politiche e tra
gli stessi partiti, nella società. I lunghi mesi di consultazioni tra il
governo e le forze sociali non sono serviti a nulla. Alla fine è stato
applicato, senza ulteriori indugi, il protocollo-Monti: si ascoltano le parti,
non si concerta, l’esecutivo decide. E la patata bollente passa al Parlamento,
unico organo al quale il governo ritiene di dover rispondere. Da un punto di
vista rigidamente formale, tale processo democratico pare ineccepibile, anche
se trasuda freddezza. E calcolo. Eccessivo tecnicismo, si potrebbe dire.
La Confindustria, dopo qualche svogliata rimostranza di pura
facciata, si ritiene soddisfatta. Gli imprenditori, infatti, avranno mano più
libera riguardo alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Il sindacato, invece,
si è spaccato. Un fatto non nuovo, al quale negli ultimi anni abbiamo assistito
di continuo, ma non per questo meno lacerante e che, come sempre, rende più
deboli i lavoratori. La CGIL
non ci sta. Le altre organizzazioni, dopo aver dato via libera all’accordo,
sono in preda a tardivi ripensamenti. La posizione di contrarietà del maggiore
sindacato italiano rischia di scatenare un’aspra contesa all’interno del
Partito Democratico, dove convivono posizioni contrastanti. Una situazione
oggettivamente difficile e complessa, che rischia di avere ripercussioni sulla
tenuta della strana ed eterogenea maggioranza che sostiene il governo.
Il Presidente del Consiglio, tuttavia, sembra non temere particolari
conseguenze in merito. In caso contrario, il suo potrebbe apparire come un
pericoloso azzardo.
La condizione di difficoltà del nostro Paese è tutt’altro
che superata. In virtù dell’azione del governo (senza dubbio efficace ma, al di
là dei buoni propositi, decisamente iniqua) l’andamento dell’economia è
migliorato. Beneficiamo, attualmente, di rinnovato credito, e di ritrovata
considerazione a livello continentale e internazionale. Sarebbe opportuno che
tale processo virtuoso non subisse brusche interruzioni.
Torniamo alla riforma del mercato del lavoro che, come ha
ricordato il presidente Napolitano (seppure con scarsa convinzione), non è di
certo tutta racchiusa nelle modifiche all’art. 18.
Sono state infatti corrette le tipologie contrattuali.
Riguardo a ciò è però difficoltoso riuscire a non nascondere una certa
delusione. Ci si aspettava qualcosa di più drastico e lineare. L’esorbitante
numero di forme di contratto a tempo determinato ha causato, negli ultimi anni,
una giungla lavorativa che ha prodotto legioni di precari privi di tutela, un
risultato esattamente contrario ai propositi contenuti nella famigerata Legge
30, rimasta tra l’altro incompleta. I tipi di contratto rimangono comunque
troppi, mentre sarebbe stata auspicabile l’istituzione di una forma prevalente
di contratto a termine che ne comprendesse tutte le forme, da trasformare
attraverso precisi criteri in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Anche sul fronte degli ammortizzatori sociali
l’insoddisfazione è palpabile. Gli strumenti di protezione sembrerebbero
destinati a una platea più vasta di lavoratori, nondimeno saranno attuati
soltanto a partire dal 2017, e i periodi di copertura appaiono più brevi e, in
alcuni casi, non ben delineati. D’altra parte le risorse sono e saranno anche
in futuro minime…
Il governo, dunque, procede come un rullo compressore. Il
Parlamento si trova quasi costretto ad assecondare. Come ricordato, l’efficacia
dell’azione di governo è indiscutibile, ed è possibile che Mario Monti riesca
nella sua impresa, quella di salvare l’Italia. Alla politica, però, prima o
dopo toccherà il compito di salvare gli italiani. E ci sarà davvero bisogno di
una buona politica, che attualmente non si intravede affatto.
Una cosa è certa, Monti lavora per il capitalismo e le banche predatorie, solo che non ha avversari degni di questo nome. Saluti da Salvatore.
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