Stendersi nel grande
letto, occupandone l’intera diagonale, senza incontrare alcun ostacolo. E
svegliarsi all’alba, nel silenzio di una casa priva di presenze, dove soltanto
la tua voce crea rassicuranti echi. La colazione, abbondante e solitaria,
consumata tra profondi sospiri di intima e non celata soddisfazione. Tutto intorno
domina il silenzio, trionfa la pace.
Lo specchio, un sorriso.
Un riflesso muto e familiare. L’unico, quello di sempre.
Chiudere e sbarrare la tana,
quell’antro che è solo tuo. E nel quale regni incontrastato, dove disponi senza
intralcio, il rifugio sicuro da ogni intrusione del mondo.
Né mediazioni né
compromessi. L’unica parola: la tua.
Infine il tuffo nell’altro
universo, quello estraneo, invaso da esseri debordanti. Quello dei rumori e della
confusione. Del disordine e della promiscuità.
L’impagabile
compiacimento nell’andare a occupare quel posto singolo sul bus, dopo la sofferenza
dell’attesa alla fermata, dopo la concitazione e le voci dissonanti che hanno
turbato il tuo equilibrio.
E poi una giornata
intera, solo con i tuoi pensieri, felicemente immerso nel vuoto, nell’assenza
di scambi e di rapporti di qualsiasi tipo. Spoglio di conoscenze, di affetti e di
amicizie. Nell’attesa spasmodica della sospirata quiete. Tutto passa.
Ritornare finalmente
alla base e provare qualcosa di simile alla felicità.
Non c’è bisogno della
televisione, perché quell’orribile apparecchio tiene compagnia. Non ne hai
bisogno. Ti basti. Tu e te stesso, una forza.
Il tempo trascorre
lento, così la tua vita si prolunga a dismisura, leggera e diluita.
Non ti manca nulla. Né una
voce amica, neppure una compagna e tantomeno una presenza non umana. Nessuno
telefona, nessuno bussa alla tua porta. Tale pensiero ti rallegra.
Sonnecchiare sdraiato
sul divano, al buio, volteggiando tra il presente e l’incoscienza. In attesa
dell’oblio.
Gli ultimi pensieri. L’ora
dei ricordi e della nostalgia. Ma non della malinconia.
E allora niente rimpianti,
tranne uno, ogni volta lo stesso. Quella volta di tanti anni fa, quando hai
assistito a quella partita di calcio, circondato da quella massa di gente
urlante. È stato un caso, non è dipeso dalla tua volontà, ma purtroppo è
accaduto. Quando la tua squadra, la squadra di tutti, ha vinto e si è scatenato
il delirio, non sei riuscito ad esultare. Sei rimasto fermo, impassibile, di
pietra. Perché in quel momento avresti desiderato essere solo. Soltanto così
avresti potuto partecipare intensamente a quella immensa gioia.
Comunque hai fatto in modo che un evento così
infelice non si ripetesse più, sei corso ai ripari e ti sei ripromesso di farlo.
Ci sei riuscito. Da allora sei rimasto sempre solo.
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