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mercoledì 7 marzo 2012

CORTO CIRCUITO



Irrompe in ufficio e mi investe come una furia. Cerco di ripararmi dietro al video del computer ma è impossibile sottrarsi a quel fiume in piena. Le sue parole rabbiose mi investono e mi rendono del tutto incapace di ragionare, quella barriera sonora mi impedisce di reagire e di ribattere. Mi accusa di avere, nei suoi confronti, un atteggiamento ambiguo e sfuggente, di non nutrire per lei alcuna considerazione. Di trascurarla, di ignorare la sua presenza. Insinuazioni pesanti, che ritengo di non meritare. La guardo, implorante, ma lei insiste, inarrestabile.
Eppure ci siamo incontrati poco più di un’ora fa. Eravamo in corridoio, io stavo trasportando – dove? – due sacchi di rifiuti. Lei spingeva un carrello, vuoto. Ci siamo fermati e io mi sono avvicinato a lei. Ho scostato il carrello e l’ho abbracciata, proprio lì, di fronte ad altre persone. Lei ha gradito quel mio comportamento, ha risposto all’abbraccio e mi è sembrata soddisfatta. Che cosa avrei potuto fare di più? Poi sono tornato in ufficio. Non so dire dove abbia depositato i sacchi, semplicemente non li ho più visti, sono scomparsi. Ero sereno.
E adesso mi tocca assistere a questa tremenda scenata, che prosegue. Ancora critiche e rimproveri, a mio avviso del tutto immotivati. Lei da alcuni mesi ha un nuovo fidanzato, li vedo spesso insieme, dentro e fuori il luogo di lavoro. Quando li incontro li saluto e loro mi sorridono. Tutto normale. E allora, perché questo? Non so dare una spiegazione logica. Per quale motivo mi denigra in questo modo? A un tratto mi pare di vedere, in ufficio, suo figlio. Allora richiamo la sua attenzione su questo particolare che a me sembra importante. Le faccio notare che non è il caso di comportarsi in quel modo proprio davanti a suo figlio! Che, se proprio intende continuare a colpirmi con il suo biasimo, sarebbe opportuno trasferirci in un altro posto. Lei allora smette di inveire e mi osserva, stranita. Poi si avvicina alla mia postazione di lavoro. Nel frattempo ho concentrato il mio sguardo su quel giovane che – per quale ragione? – ho scambiato per suo figlio. Ormai mi sono accorto che non è lui, perché non può essere lui! Infatti si tratta del mio giovane collega Massimiliano. Perché non l’ho riconosciuto? Il ragazzo è molto imbarazzato. Finge di cercare qualcosa, apre e chiude alcuni cassetti. Poi, bisbigliando una scusa, esce dalla stanza. Mi rendo conto che ha assistito all’intera scena, ma non mi importa. C’è un altro aspetto che mi preoccupa ben di più. La mia mente è confusa, per un attimo ha vacillato. Ne sono consapevole.
“Che cosa stai guardando?” Di nuovo lei. La sua voce adesso è più calma.
Sullo schermo del mio computer sta scorrendo un video musicale. Lo riconosco subito, ma ciò non fa altro che aumentare la mia angoscia. È Stayin’ Alive, dei Bee Gees. Vedo John Travolta che balla! Che orrore! Possibile che io, proprio io, abbia cercato quel pezzo? In realtà, l’ho sempre odiato e disprezzato. Incrocio il suo sguardo interrogativo, e la mia inquietudine aumenta. Mi sento sempre più frastornato.
“È John Travolta” dico, con una voce che non riconosco.
Lei annuisce. Sul suo volto mi pare di scorgere un’espressione beffarda.
Disperato, cerco di difendermi.
“Stavo cercando canzoni degli Anni Settanta. Ieri ho assistito a un concerto. C’era una cantante portoghese, come spalla, si chiama Rizinha e ripropone successi di quel periodo. Sai, è brava…”
Lei scuote il capo. La mia ansia cresce. Non è vero che sono stato a un concerto. Rizinha non esiste, eppure quando l’ho detto ero convinto del contrario. Non sono più padrone dei miei pensieri. Il mio disordine mentale è assoluto. Sono spaventato. Terrorizzato.
Non so più chi sono, né dove mi trovo.
E poi, improvviso, il corto circuito. Tutto buio. Aiuto!

1 commento:

  1. Per paradosso, pure io che ho lavorato nel settore ascensoristico, spesso dico la stessa cosa. Saluti da Salvatore.

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