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martedì 12 aprile 2011

RICORDI



 
Arrivano all’improvviso, proprio quando non te l’aspetti. Ti sorprendono, ti acchiappano mentre sei sotto la doccia, ti stai vestendo o attendi il bus alla fermata. Mentre mangi o fai l’amore. Oppure quando lavori e credi che l’impegno e la concentrazione possano contribuire a tenerli lontano, a impedir loro di colpirti come una violenta frustata. Ma non è così, lo sai e la tua speranza è vana. O ancora quando sei nel letto, la sera tardi, e tenti inutilmente di prendere sonno, di sprofondare nell’oblio d’ovatta, nel nulla permeato di visioni oniriche che ti condurrà a vivere, forse, un’altra giornata. E ti scopri ancor più fragile, più esposto, vulnerabile e indifeso.
Quando capita, e capita spesso, sempre di più via via che si accumulano le albe e i tramonti dell’esistenza, provi a scacciarli, ma si tratta di uno sforzo immane, disperato. L’esito è sempre lo stesso: soccombi, sconfortato. E loro arrivano a frotte, insidiosi, insistenti; giovani, meno giovani, vecchi e antichi. Più sono datati, più sono pericolosi, perché si presentano precisi, nitidi, rivissuti e rielaborati innumerevoli volte, ormai scolpiti nella pietra.
Alla fine, quando proprio non ce la fai più, ti arrendi, rassegnato e stanco, addirittura esausto. E permetti loro di colpirti, non offri più alcuna resistenza, non lotti più. Crolli, schiantato da colpi poderosi che ti mozzano il respiro, ti fanno boccheggiare, alla disperata ricerca di un refolo d’aria, che non trovi mai.
Allora ammaccato, ferito e distrutto, aspetti.
Aspetti finché non se ne vanno.
Se ne vanno. Torneranno, prima o poi, gli stessi o altri ancora, ma per ora se ne vanno.
Ti guardi dentro, perché è dentro che ti hanno colpito, ti hanno frantumato, e ti accorgi che la tua essenza è comunque sopravvissuta, come tutte le altre volte, come sempre. Sei diverso, ma sei salvo. Perché i ricordi non uccidono, tormentano.




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