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martedì 8 marzo 2011

IL TRAMONTO



C’era una volta un popolo che chiedeva più autonomia, più attenzione al territorio, maggiore partecipazione e più libertà dai lacci della politica centralista. Sono trascorsi venticinque anni, che cosa è rimasto di quei nobili intenti?
All’inizio degli Anni Novanta, le inchieste giudiziarie di Mani Pulite hanno spazzato via, hanno demolito l’intero sistema dei partiti del nostro Paese. Movimenti politici che avevano contribuito, dal dopoguerra in poi, alla stupefacente ripresa economica e sociale dell’Italia sono scomparsi, sono stati annientati da un giorno all’altro, caduti sotto il peso della corruzione e del mal governo. Il nuovo movimento del nord, la Lega, è stato pronto ad andare a occupare uno spazio che, all’epoca, sembrava infinito. È cominciata la conquista e l’occupazione delle amministrazioni locali, nel nome di una rinnovata politica, fresca e portatrice di nuovi valori e di rinnovati ideali. Uomini finalmente nuovi, e nuove visioni, dopo una stagnazione e un immobilismo che si erano protratti per decenni.
Chi è rimasto, di quel periodo d’oro dell’autonomismo, di chi vedeva, nella riorganizzazione amministrativa dello Stato, la soluzione degli annosi problemi dell’Italia?
Chi si ricorda di Formentini, primo e unico sindaco leghista di Milano? Del politologo-ideologo Miglio? Di Pagliarini,  primo e unico Ministro delle Finanze leghista? Del precursore Leoni, di Tabladini e di tanti altri? Per non parlare della pasionaria Irene Pivetti ridotta, ai giorni nostri, ad animatrice di beceri salotti televisivi.
È rimasto lui, il condottiero, il guerriero ferito, Umberto Bossi, ed è rimasto Roberto Maroni, estroso politico di indubbie capacità e di gran senso pratico, ancora oggi il volto più presentabile della Lega, l’uomo incline al dialogo con la sinistra ma comunque sempre pronto, alla fine, ad adeguarsi alla linea del partito.
Con il passare del tempo la spinta di innovazione della Lega è rallentata sempre più, fino ad arrestarsi del tutto. La sempre più stretta contiguità con la politica “del Palazzo” ha decretato la fine di quello che, per molti elettori del nord, è stato un sogno. Eppure il peso politico del raggruppamento di Bossi è cresciuto fino a diventare determinante per gli equilibri politici del Paese, e ciò è avvenuto di pari passo con lo svuotamento e il progressivo annullamento dei principi e dei contenuti che ne avevano determinato l’impulso iniziale.
L’abbraccio con Berlusconi è stato fatale. Il patto con il diavolo ha privato la Lega della suo vero soffio vitale, della sua autentica essenza. Sono diventati prevalenti, all’interno del partito e tra gli elettori, le rappresentazioni legate alla destra più volgare e impresentabile, non ultimi bigottismo e razzismo.
Tutto ciò in cambio di cosa? In nome di cosa è stata scambiata, anzi svenduta, l’anima leghista? Lo sappiamo, perché è stato ripetuto innumerevoli volte, fino alla noia, fino allo sfinimento: il federalismo.
In cambio di ciò, per anni sono state votate, a testa bassa, leggi vergognose e obbrobriose, che hanno gradualmente minato l’architettura istituzionale dello Stato, che hanno alterato i valori comuni di riferimento, che hanno garantito a una persona sola privilegi e impunità.
Alla fine, la montagna ha partorito il topolino, vale a dire una forma spuria di federalismo che di certo non risolverà i problemi del Nord e che di sicuro aggraverà quelli del Sud, che metterà, tra l’altro, in discussione la compattezza e l’unità nazionale.
Un lungo cammino che, finora, ha portato al nulla e che in futuro potrebbe condurre al disfacimento.
C’era una volta un popolo che è stato ingannato.

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