Powered By Blogger

martedì 8 marzo 2011

CAMICIE VERDI



Il conte terminò di scrivere la lettera, posò la penna e asciugò l’inchiostro. La rilesse e annuì tra sé, soddisfatto. Poi udì bussare alla porta.
 “Avanti!”
“Signor conte, ci sono la marchesa Serpentini e un certo generale Giriboldi o qualcosa del genere. Faccio accomodare prima lui?” domandò il segretario.
“No, prima la signora marchesa. Con lei me la sbrigherò in fretta.”
Dopo non più di mezz’ora fu fatto entrare il generale. Il conte era seduto dietro la grande scrivania. Era tutto sudato e il suo viso era congestionato. La marchesa, con gli abiti ancora in disordine, era uscita da un accesso secondario.
“Ehilà Beppe!” esclamò il conte.
“I miei ossequi signor…” Il militare inciampò nello spesso tappeto, si aggrappò a un enorme vaso cinese e lo scaraventò a terra mandandolo in frantumi e riuscì a fermarsi solo afferrandosi al bordo del tavolo da lavoro del conte.
“Mi scusi, non sono molto abituato a muovermi in spazi ristretti, mi trovo più a mio agio sul campo di battaglia, stando a cavallo, s’intende.”
“E perché non sei venuto a cavallo allora?” lo canzonò il conte.
“In effetti ci avevo pensato, ma Camillo…”
“Camillo?”
“Sì, il mio destriero bianco, ho pensato che si sarebbe trovato a disagio sullo scalone del palazzo e quindi…”
“Lasciamo stare. Parliamo di faccende serie, piuttosto. Sei stato a Londra?”
“Sì, e ho incontrato il nostro amico.”
“Non è mio amico, l’ho spedito io in esilio, ricordi?”
“Certo, signor conte. Comunque l’ho trovato in buona salute, circondato di discepoli come sempre, e come sempre in gran vena di cospirare.”
“Già, il vecchio è il re delle congiure e delle macchinazioni. Come ben sai, io e lui non la pensiamo esattamente allo stesso modo, tuttavia le circostanze impongono di unire le nostre forze, e tu sarai il nostro strumento, il nostro grimaldello.”
“State pensando a qualche grossa rapina?” chiese il generale, titubante.
“Ma che dici? Il nostro progetto è un altro, ed è ben più nobile: unire l’Italia!”
“Tutta?”
Il conte sorrise, un sorriso perfido e beffardo.
“Questo è ciò che ha nella testa il vecchio. La mia idea è un po’ differente. Ma so che le strategie politiche non sono il tuo forte, tu sei un valoroso combattente, e ti dovrai occupare esclusivamente di operazioni militari e di nient’altro.”
Bussarono nuovamente alla porta. Il segretario infilò la testa nello studio.
“Signor conte, c’è la baronessa Fortini.”
“Dille di aspettare.”
“Sta scalpitando…”
“Dieci minuti di pazienza e ci penserò io a calmarla.”
“Come vuole, signor conte.”
“Uff! Quante scocciatrici. Finiranno con il prosciugarmi del tutto. Torniamo a noi, caro Beppe.”
“Se ho ben capito, niente Repubblica?”
“Che ti importa? Re o Repubblica per te è lo stesso, no? A te basta combattere e ricoprirti di gloria e incassare il compenso pattuito. Dico bene?”
“Certo signor conte. Però mi spieghi una cosa: se vincesse la Repubblica chi comanderebbe?”
“Vedi? Finalmente ci sei arrivato! Comanderebbero tutti e nessuno, quindi meglio il Re.”
“Mi ha convinto. Possiamo rivedere un attimo il suo piano?” domandò il generale.
“Sì, ma facciamo in fretta. Non vorrei che la baronessa Fortini diventasse troppo impaziente.”
“Lei è sempre il solito sciupafemmine, proprio come il Re!”
“Hai ragione, caro Beppe, tuttavia tra lui e me c’è una differenza fondamentale: io comando e fotto, lui fotte soltanto.”
Il viso del generale si fece paonazzo.
Dopo quell’incontro segreto tra il conte e il generale trascorse un po’ di tempo, un periodo che fu ricco di rilevanti avvenimenti. Finché un giorno…
“Signor conte!”
“Entri, segretario. La duchessa Lancillotti non è ancora arrivata?”
“Eh? Sì, ma l’ho mandata via.”
“Come?” sbraitò il conte.
“Mi ascolti, signor conte. Sono arrivate notizie da giù, e non sono affatto buone notizie!”
Il conte assunse un’espressione grave.
“Chiuda la porta e si accomodi. E mi dica tutto, senza nascondere nulla, mi raccomando.”
“D’accordo, come vuole lei. Il suo generale ha avuto grossi problemi già alla partenza.”
“Quali?”
“Le divise. C’è stato un deplorevole errore. Il fabbricante reale si è sbagliato: ha prodotto camicie di colore rosso invece che verde. Ormai era tardi per rimediare, e i mille soldati sono partiti indossando quelle.”
“Maledizione! E la bandiera? La mia bella bandiera verde con l’effigie del Sole delle Alpi?”
“Quella c’era, ma il generale ha ritenuto di non doverla portare con sé e ha preso un drappo qualunque.”
“Perché?”
“Ha detto che non era intonata con le camicie. Come dargli torto?”
“Pautasso, ma che sta dicendo?” Il conte era furibondo.
“Mi scusi, signor conte, ma mia madre aveva un laboratorio di sartoria e…”
“Non mi interessa! Vada avanti! Si sbrighi!”
“Subito dopo la partenza le imbarcazioni sono incappate in una tempesta, che si è protratta per diversi giorni. Non è stato assolutamente possibile sbarcare a Livorno, come previsto dal piano originario.”
“Come? Non sono sbarcati a Livorno? Dalla Toscana dovevano risalire e conquistare tutto il nord dell’Italia, regno di Savoia a parte naturalmente, e dar vita così al mio sogno, la grande Padania! Roma ladrona e tutto il resto del sud, quell’ammasso inutile di ciottoli e sabbia se li poteva tenere quel cornuto di Mazzini!””
“Purtroppo non è andata così. Si calmi però, signor conte, o si dovrà ricorrere a un salasso. Lo sa che ha il sangue grasso…”
“Continua!”
“Alla fine di tutte le peripezìe, sono sbarcati a Marsala.”
“Marsala? E dov’è? In Africa?”
“No, è in Sicilia. Il generale e i ragazzi erano terrorizzati, hanno iniziato una fuga precipitosa, sparando all’impazzata.”
“E poi?”
“Sono riusciti ad arrivare a Reggio di Calabria, ma lì è andata ancora peggio.”
“Per quale motivo?”
“Sembra che gli abitanti del luogo siano molto strani e il nostro esercito ha avuto ancora più paura.”
“Si tratta di esseri umani?” domandò il conte, ormai in preda alla frenesia.
“Pare di sì, ma non c’è certezza assoluta. Comunque il generale ha continuato la sua corsa lungo tutto lo stivale, sempre più in preda al panico, ma a quel punto è accaduta una cosa incredibile.”
“Parla!”
“Tutte le popolazioni, vedendo apparire quei mille forsennati, si sono impaurite ancor più di loro, e si sono arrese.”
“Si sono arresi tutti?”
“Tutti, compreso il Papa.”
“E adesso?”
“Il generale e il suo esercito stanno tornando qui. L’Italia è libera e una sola.”
“L’Italia è libera? Unita? E che ce ne facciamo, Pautasso?”
“Boh!”




Nessun commento:

Posta un commento