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domenica 20 marzo 2011

SENSI DI COLPA



Ti affretti verso lo studio televisivo. Sei in ritardo. Quando entri, trafelato, ti accorgi che tutti gli altri concorrenti sono già presenti.
“Potevi risparmiarti la corsa” dice un ragazzo. Avrà pressappoco la tua età. Gli altri annuiscono.
“Perché?” domandi, incuriosito.
“Il primo è già entrato, e vincerà lui. Noi rappresentiamo solo il contorno.” Scuote la testa. Appare molto contrariato. Gli altri tacciono.
“Se l’avessi saputo non mi sarei neppure presentato. Ci hanno preso in giro” aggiunge.
“Spiegati. Chi è questo concorrente?” chiedi.
Interviene un uomo di mezza età. Il suo aspetto è molto trasandato.
“Il suo nome non me lo ricordo. Ciò che importa è che si tratta di un assassino.”
“Un assassino?”
“Certo. Tu sei giovane e di sicuro non conosci la sua storia. Molto tempo fa ha ucciso due persone. Durante una rapina, mi pare. È stato in carcere per quasi trent’anni, ed è uscito qualche mese fa. Non è giusto, non dovevano farlo partecipare, noi non abbiamo speranze.”
Rifletti un attimo. In realtà, non sei spiaciuto più di tanto. Sai bene che non avevi alcuna possibilità di vincere. Hai deciso comunque di partecipare, hai aspettato a lungo prima di essere chiamato, che importa come andrà a finire? Il premio ti faceva gola, avrebbe risolto tutti i tuoi problemi, ma eri comunque consapevole del fatto di essere poco competitivo. Pazienza, ci hai provato.
“Speravo proprio di farcela.” Ancora quell’uomo mal rasato e con gli abiti spiegazzati.
“Come?” Quasi trasali.
“Pensate, ho maltrattato mia moglie per anni, e lei invece è sempre stata molto buona con me. Ho abbandonato i miei figli. Chi più di me poteva aspirare alla vittoria?”
“Io” dice a bassa voce un vecchio, seduto proprio accanto a te. Non l’avevi notato, prima.
“Che dici, vecchio?”
“Il chiodo” risponde lui, e poi tace.
“Eh? Quale chiodo?” domanda una donna.
Il vecchio si schiarisce la voce. Si alza in piedi.
“Tra un po’ toccherà a me” dice.
“No, non ancora. Parlaci del chiodo” dici tu.
Lui ti guarda, come se la spiegazione fosse diretta soltanto a te.
“Era incastrato nell’asfalto, però in parte sporgeva.” Silenzio.
“E quindi?” lo esorti.
“Quel giorno un’auto è uscita di strada. Si è schiantata contro un muro e un bambino è morto. Di sicuro quell’auto è passata su quel chiodo, avrà bucato una gomma, il conducente ne avrà perso il controllo per quel motivo. Lo dovevo togliere, quel dannato chiodo. È stata tutta colpa mia.”
Scuoti la testa, incredulo.
“Ma come puoi esserne così sicuro?” domandi.
“Sento che è andata così. Scusatemi, adesso tocca davvero a me.” Esce.
L’ex galeotto rientra nella saletta d’attesa. Sorride soddisfatto.
“Allora, com’è andata?” gli chiedi, prima di tutti gli altri.
“Cinquantadue! Un buon punteggio, vero?”
Cogli la perplessità sui volti dei tuoi avversari. Soltanto uno acconsente. Non è un gran risultato, e lo sai. Ti domandi il perché, ma non sai rispondere.
“Non sempre il pentimento si accompagna al senso di colpa” ti sussurra il ragazzo, sedendosi accanto a te.
“Tu perché sei qui?” ti chiede all’improvviso.
“Ho fatto tutto e niente” rispondi, evasivo.
“Eh? Ho capito, preferisci non parlarne.”
“Mi fa star male” aggiungi.
“Certo, certo.”
Dopo un po’ di tempo il vecchio ritorna. Ha ottenuto, tra la sorpresa generale, un punteggio molto alto. Un risultato che non viene superato da nessuno dei concorrenti che lo seguono.
E adesso finalmente tocca a te. Sei l’ultimo.
Entri, emozionato, nel grande studio ovale. Le luci sono molto forti, il pubblico rumoreggia. Qualcuno applaude, altri fischiano. Cerchi di non pensare a nulla, fatichi a percepire la voce querula del presentatore.
Si avvicinano i due tecnici. Ti fanno accomodare su una grossa poltrona. Ti collegano a una gran quantità di elettrodi e, subito dopo, cominciano a premere una serie di pulsanti. Uno di loro ha gli occhi incollati a uno schermo. Nello studio adesso il silenzio è assoluto. A un certo punto i due uomini in camicie bianco scambiano uno sguardo. Sembrano sorpresi, sbalorditi. Il grande display luminoso posto alle tue spalle si illumina. Senti un boato.
“Record del mondo! È record del mondo! Incredibile! Il primato è stato letteralmente frantumato! Pazzesco!” Il presentatore grida, si agita, invoca gli applausi.
“Novantotto! Novantotto! Un risultato stupefacente! Un’emozione straordinaria!”
Solo adesso ti rendi conto di aver vinto. E sei incredulo. E solo adesso pensi veramente al tuo immenso senso di colpa, che quegli strumenti hanno misurato con tanta accuratezza, anche se per gioco. Tu sai bene qual è la tua vera colpa. Quella di essere nato. Quella di esistere. E sai bene che tu quella colpa l’hai sempre avvertita. Gli altri no.


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