Per cosa si vive? Per accumulare beni materiali e denaro,
pur consapevoli che ciò genera l’ansia di conservare e di trattenere? Per
sfoggiare la nostra vanità, a costo di affrontarne la faccia oscura, la
frustrazione? Oppure, per altri
innumerevoli futili scopi?
No, l’ambizione deve essere invece un’altra, e il traguardo
non può essere che quello di migliorarsi, quello di aspirare a raggiungere un
livello etico superiore. Un traguardo ideale che ci permetta di affermare, una volta giunti sul ciglio, di non avere sprecato tutto, di non aver vissuto inutilmente.
Si può fare, si deve almeno tentare. Per farlo, bisogna
iniziare. Partendo da un principio qualsiasi, per poi proseguire.
Io ho cominciato dalla verità.
Non è per niente semplice essere sinceri. Esserlo sempre. La
menzogna è nell’aria, in attesa di insinuarsi dentro noi, di impadronirsi dei
nostri pensieri e dei nostri comportamenti. Trasformando in falsità tutti gli
atti dell’esistenza, costringendoci nostro malgrado a una vita di finzione e di
inganno.
La verità, in realtà, non migliora la qualità della nostra
vita. La menzogna può sostituirla in maniera egregia, a volte addirittura può
rendere l’esistenza più piacevole, ne può smussare le asperità. La verità,
tuttavia, migliora la vita degli altri, di chi ci circonda, di chi ci ama, di
chi ci frequenta, di chiunque abbia con noi una qualsiasi relazione interpersonale.
Dobbiamo vivere nella verità, e lo dobbiamo fare non per noi stessi, ma per il
nostro prossimo. Che cosa ci può essere di più altruistico? Di più appagante?
In cambio avremo più serenità. O forse no, perché a volte la verità può essere
molto dolorosa, può scatenare drammi, può essere crudele. Sta a noi il renderla più morbida, senza però mai
rinnegarla, sta a noi modellarla sulla sensibilità delle altre persone, ma
sempre senza ometterne la sostanza.
Ho proseguito con il perdono.
È stato sconvolgente scoprire il potere del perdono. È immenso
e indescrivibile.
A differenza della verità, il perdono è attuato e messo in
pratica soltanto per noi stessi. Non per altri, non per chi ne trae beneficio.
No, solo per noi. Naturalmente, il vero perdono implica assoluta sincerità,
estrema convinzione. In presenza di questi elementi il giovamento per chi
concede l’indulgenza è massimo. Subentra uno stato di vera e propria
beatitudine (per niente mistica), diretta conseguenza di una condizione di amorevole
superiorità che si prova sia nei confronti del perdonato che del resto dell’intera
umanità. Presunzione? Alterigia? No, perché tale atto non produce sofferenza
ma, al contrario, unicamente consolazione, e quindi si tratta di un’azione sempre
positiva.
Perché perdonare? A questo punto la risposta è scontata:
perché è bellissimo. Tutti lo dovrebbero fare e a quel punto non riuscirebbero
più a smettere.
E poi, continuando il mio percorso virtuoso, ho scoperto di
possedere una qualità di cui vado orgoglioso, ossia il talento di saper sempre
rispettare le differenti sensibilità, di non ferire mai, né con azioni né con
parole. In ogni caso, mai con l’intenzione di farlo.
La vita, inoltre, deve essere vissuta anche in maniera un po’
scanzonata, impiegando la giusta dose di ironia. Nulla è sacro in assoluto,
tutto può essere dissacrato, nella giusta misura. Tutto tranne una cosa: la
sofferenza umana. Sul dolore non è consentito scherzare. Mai.
Nessun commento:
Posta un commento