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venerdì 1 giugno 2012

IL RITORNO



L’uomo con la barba apparve di fronte a lui all’improvviso. Cioè, un attimo prima non c’era e subito dopo sì. Il ragazzo notò la sua aria smarrita ma soprattutto il suo strano abbigliamento. Osservò la lunga tunica marrone, un po’ lisa, e i sandali di cuoio dalla foggia singolare. Si avvicinò di più a lui.
“Hai bisogno di aiuto?” domandò all’uomo, che trasalì.
“Eh? Scusa?”
“Non volevo spaventarti. Mi chiedevo se tu avessi… necessità di assistenza.”
“Non lo so. Sono tornato qui dopo tanto tempo e mi sento un po’ spaesato. Forse ho addirittura sbagliato luogo.”
“Dove pensi di essere?”
“Nel posto dove tutto ha avuto fine e dove tutto ha avuto un nuovo inizio.”
“Ah, capisco…”
Quell’uomo sembrava un po’ strambo, ma del tutto innocuo, così il ragazzo decise di insistere.
“Ascolta, l’associazione a cui appartengo fornisce aiuto a chi si trova in situazione di disagio. Come te in questo momento, vero?”
“Che cos’è un’associazione?”
“Uff! Mi stai prendendo in giro? Come ti chiami?”
“Probabilmente il mio nome non ti direbbe nulla…”
“Ho capito, non intendi sbottonarti. Hai avuto guai con la legge?”
“Un tempo sì, ma ti assicuro che ero innocente.”
“Già, dite tutti così. Comunque a me non importa ciò che hai fatto in passato. Ho detto che voglio aiutarti e lo farò. A proposito, io sono Paul.”
Il ragazzo porse la mano all’uomo con la barba. L’altro ignorò il gesto ma fece un lieve inchino, tenendo le mani giunte.
“Seguimi” aggiunse il giovane.
“Dove mi porti?” chiese l’uomo.
“In sede. Cercheremo di trovare qualche vestito più adatto. Ci stanno guardando tutti.”
“Mi piace che la gente mi guardi.”
“A me non tanto. Ti dispiace se camminiamo un po’?”
“No, assolutamente. Non usate più i muli?”
“Eh? I muli? Abbiamo la metropolitana più moderna al mondo e dovremmo usare i muli?”
“Che cos’è la metropolitana?”
“Sei un po’ troppo spiritoso per i miei gusti, amico, ma non riuscirai a farmi desistere dal mio proposito. Su, acceleriamo il passo. Ehi! Fai attenzione alle macchine!”
“Ho capito, sai?”
“Che cosa?”
“Quali sono le macchine.”
“Uff! Sbrigati o faremo notte.”
I due camminarono a lungo per le vie trafficate della grande città.
“Subito ti ho scambiato per un arabo” disse a un tratto il ragazzo, voltandosi per assicurarsi che l’uomo con la barba lo seguisse.
“Arabo?”
“Sì, per via della carnagione scura, e i capelli neri.”
“No, non credo di essere un arabo, se non sbaglio sono un palestinese.”
“Se non sbagli? Smettila di farti beffe di me! In fondo sto cercando di aiutarti…”
“Non volevo farti arrabbiare…”
“Scusa, sono un po’ stanco. Senti, immagino che tu sia appena arrivato e che non abbia un lavoro, vero?”
“È così” confermò l’uomo con la barba, che camminava con il naso all’insù, scrutando quelle strane case molto alte e ricoperte di vetro.
“Che cosa sai fare? Che lavoro facevi al tuo Paese?”
“È da tanto tempo che non lavoro. Da ragazzo aiutavo mio padre. Era un falegname, però in realtà lui non era il mio vero padre.”
“Capisco. Problemi familiari fin da piccolo…”
“Ti assicuro che era una brava persona.”
“Certo, certo…”
“È la verità!”
“Falla finita, palestinese. Ti credo. Toglimi invece una curiosità: come fai a conoscere così bene la mia lingua?”
“Uh? Io ho il dono delle lingue, le parlo tutte.”
“Tutte! Adesso non esageriamo. Sei vestito di miseri stracci ma non sai proprio che cosa sia la modestia, eh? Va be’, scusa…”
“La modestia è una qualità importante.”
“Già, a te del tutto sconosciuta. Senti, hai mai pensato di fare l’interprete? O il traduttore? Tu di sicuro hai studiato e…”
“Interprete? Traduttore? Che cosa sono?”
“Palestinese, sai che ti dico? Vaffanculo!”
“No, questa parola proprio non la conosco…”
“Ma chi me l’ha fatto fare?” sbottò il ragazzo, che poi aumentò ancora di più l’andatura.
La strana coppia arrivò in un quartiere meno elegante di tutti gli altri che avevano attraversato. Il giovane si arrestò di fronte a un portone grigio.
“Vieni, entriamo” disse.
Si ritrovarono in una specie di grande capannone. Addossati alle pareti c’erano degli alti scaffali, sui quali erano riposti, ben ordinati, indumenti di tutti i tipi.
“Paul, sei tu?” disse una vecchia signora, che indossava un lungo grembiule blu. Il suo respiro era affannoso, le sue caviglie gonfie.
“Ciao Mary. Riusciamo a trovare qualcosa di decente da mettere addosso a questo signore?”
La donna sorrise e annuì. L’uomo con la barba si inchinò di fronte a lei.
“Mary? Anche mia madre si chiamava così…”
“Ah!” esclamò la donna, che subito dopo si voltò e diresse verso una vicina pila di vestiti. Tornò, camminando a fatica, con un mucchio di indumenti.
“Qui troveremo di sicuro qualcosa che fa per lui. Lo trasformeremo in un giovanotto non soltanto bello ma anche elegante!” disse. Poi fu assalita da un accesso di tosse.
“Lascia stare, Mary, me ne occupo io, tu riposati” intervenne il ragazzo.
Dopo averlo condotto in un rudimentale camerino fece indossare all’uomo con la barba un paio di jeans neri a tubo e una felpa. Poi gli porse degli scarponcini gialli che sembravano come nuovi.
“Potrei anche camminare scalzo…” disse lui.
“Infila quelle dannate scarpe!” disse il ragazzo, che cominciava a spazientirsi. L’altro ubbidì, docile.
“Non lasciarti mai vincere dall’ira” aggiunse subito dopo l’uomo.
Il ragazzo lo guardò fisso negli occhi.
“Scusa…” disse, con un filo di voce.
L’altro sorrise e gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Tu sei una persona buona” sussurrò l’uomo con la barba. “Non hai certamente bisogno del mio perdono.”
Il giovane avvertì una sensazione di pace e di assoluta beatitudine, come non aveva mai provato in tutta la sua vita. Né la provò mai più.
A turbare quell’attimo magico ci fu l’irruzione di un uomo corpulento.
“Paul! Accidenti! Un altro! La devi smettere di raccattare tutti i vagabondi che trovi! Non possiamo fare tutto noi! E poi non abbiamo più posto! Perché non ti preoccupi di trovare qualche soldo in più? Mi riferisco alle offerte, naturalmente… Mi manderete in rovina!”
“Ma…”
“Che sia l’ultima volta! E tu, Mary, non potevi dare a questo stracc… a questo signore qualcosa di più… vissuto? Sono circondato da incapaci! Oh Signore, aiutami tu!”
Poi l’uomo si allontanò, ancora brontolando tra sé.
Il ragazzo era mortificato.
“Chi è?” domandò l’uomo con la barba.
“È Padre Joseph.”
“È un mercante?”
“Un mercante? Ma che cosa dici! È un prete.”
“Che cos’è un prete? Una specie di sacerdote?”
“Una specie? È un sacerdote! È il parroco di St. George, la chiesa che hai visto qui accanto.”
“Lui abita lì dentro? Da solo?”
“Ehi! Ma sai che cos’è una chiesa? Conosci la sua funzione?”
“Pensavo che la parola chiesa avesse un altro significato. Almeno, una volta era così. Comunque, se quello è una specie di tempio… be’… i mercanti dovrebbero stare fuori.”
“Ancora con la storia dei mercanti!”
“Sono triste” disse all’improvviso l’uomo con la barba.
“Come dici?”
“No, niente…”
“Ascolta, adesso vedo se riesco a trovarti una sistemazione nel dormitorio, anche se Padre Joseph…”
“No, non voglio rimanere qui” disse l’uomo con la barba.
“Perché no? Ehi! Che stai facendo?”
L’uomo con la barba si tolse i vestiti e riprese la sua tunica.
“Dateli a chi ne ha più bisogno di me” disse.
“Ma tu ne hai bisogno!” disse il ragazzo, affranto.
“I miei bisogni non sono materiali. E temo che non riuscirò a soddisfarli. Addio, ragazzo. E ricorda ciò che ti ho detto: tu sei una persona buona. Rimani sempre così e ti salverai.”
“Mi salverò da cosa?”
“Addio, giovane Paul.”
L’uomo con la barba uscì dal capannone, sotto lo sguardo attonito del ragazzo, e ricominciò a vagare per la città, tra la gente. Tra la gente che lo ignorava, che lo derideva o che lo insultava. La sua gente.
“Susan! Non fare la tirchia! Tira fuori qualche spicciolo per quel povero cristo!” disse un giovane uomo che camminava sottobraccio a una anziana signora truccata e abbigliata in maniera vistosa.
Sì, alla fine qualcuno lo aveva pure riconosciuto, considerò tra sé l’uomo con la barba. Decise comunque di andarsene lo stesso, forse per non tornare mai più.

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