Lo vidi per la prima volta di persona quando era già tra noi
da più di un anno. Fu durante una celebrazione che si tenne nella mia città, in
onore del suo fondatore. Lui, per quanto possibile, ambiva a partecipare a
qualsiasi tipo di cerimonia, perché era grande il suo desiderio di osservare,
di imparare e di capire. Cercai di avvicinarlo e ci riuscii piuttosto
facilmente, perché lui amava il contatto con la gente e non aveva alcun timore.
Era certo che nessuno avrebbe mai osato fargli del male. Quando gli giunsi accanto,
non fui particolarmente stupito dalle sue singolari sembianze. Ormai lo avevo
visto tante volte, nei filmati in televisione e sulle fotografie dei giornali,
ripreso e immortalato mentre era a colloquio con uomini importanti e potenti,
ma anche quando visitava, sempre curioso, sempre partecipe, i luoghi più
miseri, quando incontrava i poveri e i derelitti e li rincuorava, recapitando
il suo messaggio di pace.
No, quello che mi colpì fu soprattutto il suo sguardo. Mi
immersi nei suoi occhi, due pozze enormi e brillanti, attraverso i quali si
percepiva quella qualità che da tutti gli era riconosciuta, che lo
caratterizzava e lo rendeva peculiare: l’immensa bontà. Un insieme di dolcezza,
di mitezza e di mansuetudine, una soavità e una serenità che lui riusciva a
trasmettere a chi lo guardava, rendendolo partecipe, immediatamente, della sua immensa
serenità.
Un’esperienza unica, in grado di cambiare la vita di un
individuo e di renderla migliore.
Dapprima, nei suoi confronti, c’era stata molta diffidenza.
Forse anche un certo timore. In parte per le modalità della sua venuta,
difficili da comprendere e da accettare. Quell’apprensione iniziale, tuttavia,
era subito svanita. Era stato sufficiente sentirlo parlare, rilevare con
attenzione il suo atteggiamento umile e remissivo, del tutto insolito in un
individuo così dotato, e tutte le residue preoccupazioni scomparvero. Sì, perché lui è superiore a tutti noi, ormai
lo abbiamo capito, e abbiamo imparato a riconoscere e a rispettare questa sua
indubitabile preminenza etica.
In principio il sospetto fu alimentato, senza una precisa
ragione, dal fatto che ci avesse portato dei doni. Oggetti che non avevamo mai
visto prima e che nessuno di noi sarebbe mai stato in grado di concepire, e
conoscenze che avrebbero potuto, in un immediato futuro, alleviare le nostre
sofferenze. Adesso per quei regali gli siamo immensamente riconoscenti.
Qualcuno, sebbene inconsapevolmente, ha tentato di
strumentalizzare la sua visita. Penso, ad esempio, a quella comunità di ebrei
ultra-ordodossi che vive nel deserto del Negev, e di cui si è tanto parlato nei
mesi scorsi. Naturalmente mi riferisco agli accoliti del rabbino Isaac
Rabinowitz, ormai conosciuti da tutti. Quegli uomini che hanno riconosciuto nel
nostro amico il Messia, quel Messia atteso da tempo immemorabile e che
finalmente si era manifestato ai figli d’Israele. Naturalmente si tratta, da
parte loro, di un enorme abbaglio. Nondimeno, come non comprendere quella gente,
che crede di aver visto realizzato un sogno, un desiderio, una speranza, un
qualcosa in cui hanno da sempre creduto?
Lui, inoltre, nel periodo di tempo trascorso tra noi, è
stato protagonista di tanti episodi, allegri e stravaganti, a volte toccanti,
ma tutti in gran parte gioiosi. Ci siamo resi conto sempre più, con amarezza,
che non potremo mai essere al suo pari, anche se il suo esempio potrà essere
utile, e ci servirà di sicuro per essere migliori. Di sicuro, più buoni e
generosi.
Adesso è quasi inutile ricordare tutto ciò, perché lui non c’è
più, ormai se n’è andato. Prima di fare ritorno da dove era venuto, però, ci
fece due importanti rivelazioni, e lo fece proprio quel giorno in cui ebbi la
fortuna di vederlo. La prima, in fondo, non ci stupì più di tanto. Disse che
tutti i suoi simili erano uguali a lui, esattamente uguali. Non ci
meravigliammo perché ormai eravamo convinti che fosse così, per di più sapevamo
che diceva sempre e soltanto la verità, e quindi non avevamo nessun motivo per
dubitare di lui.
La seconda affermazione invece ci sconvolse. Nessuno lo
aveva chiesto, anche se molti avrebbero voluto farlo, ma lui aveva sentito lo
stesso il dovere di dirlo. D’altra parte, non ci aveva mai nascosto nulla. Per questo
lo apprezzavamo così tanto.
Disse che il suo Creatore, il suo e quello dei suoi simili,
non era il nostro, ma un altro. Come non credergli?
Poi, con la voce incrinata dal dispiacere, aggiunse che eravamo stati sfortunati, molto sfortunati.
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