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domenica 24 giugno 2012

L'ALTRO



Lo vidi per la prima volta di persona quando era già tra noi da più di un anno. Fu durante una celebrazione che si tenne nella mia città, in onore del suo fondatore. Lui, per quanto possibile, ambiva a partecipare a qualsiasi tipo di cerimonia, perché era grande il suo desiderio di osservare, di imparare e di capire. Cercai di avvicinarlo e ci riuscii piuttosto facilmente, perché lui amava il contatto con la gente e non aveva alcun timore. Era certo che nessuno avrebbe mai osato fargli del male. Quando gli giunsi accanto, non fui particolarmente stupito dalle sue singolari sembianze. Ormai lo avevo visto tante volte, nei filmati in televisione e sulle fotografie dei giornali, ripreso e immortalato mentre era a colloquio con uomini importanti e potenti, ma anche quando visitava, sempre curioso, sempre partecipe, i luoghi più miseri, quando incontrava i poveri e i derelitti e li rincuorava, recapitando il suo messaggio di pace.
No, quello che mi colpì fu soprattutto il suo sguardo. Mi immersi nei suoi occhi, due pozze enormi e brillanti, attraverso i quali si percepiva quella qualità che da tutti gli era riconosciuta, che lo caratterizzava e lo rendeva peculiare: l’immensa bontà. Un insieme di dolcezza, di mitezza e di mansuetudine, una soavità e una serenità che lui riusciva a trasmettere a chi lo guardava, rendendolo partecipe, immediatamente, della sua immensa serenità.
Un’esperienza unica, in grado di cambiare la vita di un individuo e di renderla migliore.
Dapprima, nei suoi confronti, c’era stata molta diffidenza. Forse anche un certo timore. In parte per le modalità della sua venuta, difficili da comprendere e da accettare. Quell’apprensione iniziale, tuttavia, era subito svanita. Era stato sufficiente sentirlo parlare, rilevare con attenzione il suo atteggiamento umile e remissivo, del tutto insolito in un individuo così dotato, e tutte le residue preoccupazioni scomparvero.  Sì, perché lui è superiore a tutti noi, ormai lo abbiamo capito, e abbiamo imparato a riconoscere e a rispettare questa sua indubitabile preminenza etica.
In principio il sospetto fu alimentato, senza una precisa ragione, dal fatto che ci avesse portato dei doni. Oggetti che non avevamo mai visto prima e che nessuno di noi sarebbe mai stato in grado di concepire, e conoscenze che avrebbero potuto, in un immediato futuro, alleviare le nostre sofferenze. Adesso per quei regali gli siamo immensamente riconoscenti.
Qualcuno, sebbene inconsapevolmente, ha tentato di strumentalizzare la sua visita. Penso, ad esempio, a quella comunità di ebrei ultra-ordodossi che vive nel deserto del Negev, e di cui si è tanto parlato nei mesi scorsi. Naturalmente mi riferisco agli accoliti del rabbino Isaac Rabinowitz, ormai conosciuti da tutti. Quegli uomini che hanno riconosciuto nel nostro amico il Messia, quel Messia atteso da tempo immemorabile e che finalmente si era manifestato ai figli d’Israele. Naturalmente si tratta, da parte loro, di un enorme abbaglio. Nondimeno, come non comprendere quella gente, che crede di aver visto realizzato un sogno, un desiderio, una speranza, un qualcosa in cui hanno da sempre creduto?
Lui, inoltre, nel periodo di tempo trascorso tra noi, è stato protagonista di tanti episodi, allegri e stravaganti, a volte toccanti, ma tutti in gran parte gioiosi. Ci siamo resi conto sempre più, con amarezza, che non potremo mai essere al suo pari, anche se il suo esempio potrà essere utile, e ci servirà di sicuro per essere migliori. Di sicuro, più buoni e generosi.
Adesso è quasi inutile ricordare tutto ciò, perché lui non c’è più, ormai se n’è andato. Prima di fare ritorno da dove era venuto, però, ci fece due importanti rivelazioni, e lo fece proprio quel giorno in cui ebbi la fortuna di vederlo. La prima, in fondo, non ci stupì più di tanto. Disse che tutti i suoi simili erano uguali a lui, esattamente uguali. Non ci meravigliammo perché ormai eravamo convinti che fosse così, per di più sapevamo che diceva sempre e soltanto la verità, e quindi non avevamo nessun motivo per dubitare di lui.
La seconda affermazione invece ci sconvolse. Nessuno lo aveva chiesto, anche se molti avrebbero voluto farlo, ma lui aveva sentito lo stesso il dovere di dirlo. D’altra parte, non ci aveva mai nascosto nulla. Per questo lo apprezzavamo così tanto.
Disse che il suo Creatore, il suo e quello dei suoi simili, non era il nostro, ma un altro. Come non credergli?
Poi, con la voce incrinata dal dispiacere, aggiunse che eravamo stati sfortunati, molto sfortunati.     

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