Parlammo di calcio, com’era inevitabile che fosse. Battute
beffarde sulle squadre del cuore, le solite, poi le scommesse, tema del giorno,
e infine la compravendita dei calciatori. Tutti questi corposi argomenti furono
sviscerati e quindi esauriti in meno di un quarto d’ora.
Finalmente ordinammo e bevemmo i caffè, ma seguitammo a
rimanere seduti. Non avevamo alcuna fretta. Avevamo tempo, tutto il tempo del
mondo. Almeno, tale era la nostra impressione.
Tuttavia due uomini di mezz’età, al bar, se non parlano di
pallone di cosa discutono?
Di lavoro? Neanche per sogno! Per quella materia non esiste
il minimo interesse. È tabù.
Dei figli? Assolutamente no! A quello ci pensano già le
mogli, e non è proprio il caso di emularle. E poi, i figli sono soltanto degli
scioperati che chiedono sempre soldi, e questo non si può dire. No, proprio non
si può, nemmeno tra amici.
In realtà dalla notte dei tempi c’è un unico argomento, sempre
valido, sempre stimolante, di cui si può e si deve discutere, soprattutto
quando si è al bar: le donne.
Allora buttai lì una frase, senza grande convinzione, tanto
per provocare, sufficiente però a provocare in Armando grande impressione.
“Davvero non ti interessano più le donne?” replicò il mio
amico.
“Non ho detto proprio così…”
“L’ho appena sentito!”
Portai alle labbra il bicchiere d’acqua e mi sistemai meglio
sulla sedia.
“Ho semplicemente detto che, alla nostra età, l’approccio con
le donne dovrebbe cambiare, dovrebbe essere diverso.”
“In che senso?”
Finsi di riflettere un attimo.
“Il nostro immaginario…”
“Cioè?”
“Sto dicendo che non dovrebbe essere legato ai soliti triti
stereotipi…”
“Non ti capisco…”
Armando si sporse verso di me e corrugò la fronte. Proprio non
capiva. D’altra parte c’era ben poco da capire, dal momento che neppure io
avevo le idee ben chiare e stavo improvvisando.
“Ma sì… le immagini forti… come ad esempio i film…”
“I film? Intendi dire i film porno? Anche quelli non ti
piacciono più?”
Cercai di assumere un’espressione annoiata, con discreto
successo.
“Mi hanno stufato. Tutti uguali, tediosi, mai nulla di
nuovo, nulla di eccitante.”
“Dici?”
“Certo!”
In verità la mia virtuosa conversione era assai recente, per
la precisione risaliva al giorno prima. Anzi, alla sera prima, ma questo al mio
amico non lo dissi.
Rimasto solo in casa, moglie fuori, figlio pure, ero corso a
noleggiare un film. Il genere? Provate ad immaginare…
Seduto sul divano, luce spenta, avevo azionato il
telecomando del mio vecchio lettore pregustando una serata con i fiocchi.
Niente. Sbuffando mi ero alzato e avevo cercato di espellere il cd per poi
farlo ripartire. Niente. Ero stato assalito dal panico. Che fare? La prima idea
era stata quella di prendere il lettore e di buttarlo nel cassonetto dei
rifiuti. Tuttavia, come avrei potuto spiegare a mia moglie un gesto simile? Se
per caso si rompe il frigorifero non è che, un minuto dopo avere constatato il
guasto, lo si butta nell’immondizia. Fradicio di sudore, assalito da violente
palpitazioni, avevo continuato a premere e ripremere il tasto del telecomando
fino a indolenzirmi il dito. Poi era accaduto il miracolo: lo sportello si era aperto.
Per un attimo avevo pensato di riprovare, ci tenevo a guardare quel film scelto
con tanta cura, ma poi mi ero rassegnato. Il rischio sarebbe stato troppo
grande. Allora avevo riportato indietro il cd. Poi ero tornato a casa, mi ero
ubriacato ed ero andato a dormire. Non ricordo bene ma forse devo avere anche
pianto.
“E allora? Che cosa dobbiamo fare?” incalzò Armando,
facendomi trasalire.
“Dobbiamo tornare indietro, e ripercorrere una strada che
abbiamo già percorso, ma che quasi non ricordiamo più.”
“Non capisco!”
Il mio amico, quando non riusciva a comprendere qualcosa, e
gli accadeva spesso, diventava impaziente, quasi aggressivo.
“Ci dobbiamo affidare e dedicare alle cose minime…”
“Cioè?”
“Non so… uno sguardo… una spalla nuda… un vestito scollato…”
“Una caviglia?”
“Caviglia? Nuda? E perché no?”
“Ho capito, finalmente, anche se non so quanto ciò mi piaccia. Io
sono abituato a…”
Lo interruppi. Sapevo dove sarebbe andato a parare. Non
avevo nessuna intenzione di ascoltare le sue colorite descrizioni delle grazie
femminili.
“Non ho finito” dissi.
“Eh?”
“Volevo aggiungere che quella che ho descritto è soltanto
una delle alternative possibili. Ce n’è pure un’altra.”
“Sarebbe?”
“Bè…”
“Allora?”
“Le pratiche estreme!”
Le pupille di Armando si strinsero a fessura.
“Vale a dire?”
“Partecipare a un’orgia, per esempio.”
“Un’orgia?”
“Certo!”
“Tu l’hai già fatto?”
“No.”
“Ah!”
“Non l’ho fatto per motivi organizzativi.”
“Vuoi dire che non hai trovato nessuno disposto a
partecipare?”
“Più o meno. Non oso rivolgermi a sconosciuti e, in quanto
alle persone che conosco…”
“A me lo chiederesti?”
“No.”
“Per quale ragione?”
“Immagina.”
“Ho capito.”
“In ogni caso non credo sia una cosa impossibile da
progettare… Sai, con un po’ di impegno…”
“Credi? Ma perché proprio un’orgia?”
“È semplice. Vedi, noi non siamo più tanto giovani, e quindi
potrebbe capitare che…”
“Ansia da prestazione?”
“Se vuoi la possiamo definire così, pur sapendo che si
tratta di un eufemismo.”
“Già. Ma tu ti aiuti?”
“Che intendi dire?”
“Hai capito benissimo.”
“No, nessun aiuto. Non oso andare dal medico per la
prescrizione…”
“Neppure io…”
Per un istante i nostri sguardi si incrociarono. In quello
di Armando lessi pena nei miei confronti. La stessa cosa lui vide nei miei
occhi.
Tentai di ricompormi.
“Vedi, proprio per questo motivo una pratica come l’orgia è
adatta per persone come noi.”
“Non capisco.”
“Di nuovo?”
Armando alzò le spalle, impotente.
“Spiegami il perché” disse.
“In un’orgia non si è da soli, si è in tanti.”
“Fin qui c’ero arrivato…”
“Bene. Nel caso in cui ci sia qualche problema, momentaneo s’intende,
è sufficiente limitarsi a guardare, tanto ci sono gli altri che…”
“Ho capito.”
Questa volta era stato il mio amico a interrompermi.
“Mentre quando sei da solo, cioè non proprio da solo ma con
una donna, non puoi limitarti a guardare, dal momento che si pretenderebbe da
te…”
“Ho capito! Ho capito!”
“Armando, calma!”
“Sono calmo…” sussurrò il mio amico. Mi sembrava piuttosto
turbato.
“Bevi qualcosa?” domandai.
Lui annuì e cercò di sorridere. Ma era pallido, tanto
pallido in volto.
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