Nel caso in cui occorra costruire una squadra nazionale
valida e competitiva occorre, innanzitutto, disporre di un selezionatore all’altezza
di tale impegnativo compito. Un direttore tecnico che, in nessun modo, possa
subire condizionamenti riguardo alle scelte da operare.
Così ha agito, sul fronte della politica, il presidente
Giorgio Napolitano, allenatore saggio, capace e dotato di grande esperienza.
Dopo la crisi di governo dello scorso novembre, quando la palla è passata a
lui, non ha avuto esitazioni e ha fatto la scelta migliore. L’unico dubbio
poteva riguardare quale Mario preferire, tra i due disponibili. Il primo,
tuttavia - e mi riferisco a Draghi - aveva appena ricevuto un’offerta di
ingaggio prestigiosa e perciò irrinunciabile. Da alcuni mesi ormai gioca in Germania,
in una squadra di Francoforte, la famosa BCE, e sta ottenendo ottimi risultati.
A quel punto - dovendo inseguire l’eccellenza - la convocazione di Mario Monti
è stata inevitabile.
Nel campionato nazionale Mario Monti ha avuto qualche
problema, difficoltà in gran parte derivanti dall’assurda maggioranza che lo
sostiene. Le sue riforme sono arrivate con insolita puntualità, anche se alcune
di esse - forse per l’eccesiva premura - sono apparse un po’ imprecise e carenti in
equità. Pure alcuni suoi compagni di squadra si sono dimostrati un po’ incerti,
probabilmente per la mancanza di esperienza in competizioni di così grande
importanza. Monti si è invece distinto a livello internazionale, dove ha potuto
far valere tutto il suo talento, il suo prestigio e l’indiscussa autorevolezza.
Nel torneo continentale ha riportato rilevanti vittorie, quasi tutte contro la
Germania, il nostro avversario più agguerrito. L’ultima risale a pochi giorni
fa quando, con estrema freddezza e grande perseveranza, doti che tutti gli
riconoscono, è riuscito a ottenere per il nostro Paese l’agognato scudi
anti-spread, vale a dire proprio l’obiettivo che si era prefissato. Per fare
ciò ha dovuto ricorrere a tutte le sue qualità, non ultime la competenza e la
capacità di persuasione, unite ai fondamentali tecnici che di sicuro non gli
difettano. Finalmente siamo tutti di nuovo orgogliosi della nostra nazionale
politica, e non siamo più costretti ad assistere alle penose esibizioni di
giocatori come quel tale Berlusconi che, al più, potrebbe gareggiare in qualche
campionato di dilettanti.
Anche in campo calcistico disponiamo di un ottimo
commissario tecnico. Cesare Prandelli, nel guidare la nazionale di calcio
impegnata nei Campionati Europei, ha dimostrato tutto il suo valore. Oltre all’indiscutibile
bravura, ha messo in mostra doti di grande equilibrio, buonsenso (che spesso
manca agli italiani), simpatia e, soprattutto, spessore umano. Il responsabile
azzurro ha saputo affidarsi alle persone giuste, a calciatori di grande bravura
ed esperienza come il ruvido Buffon, ottimo motivatore per i compagni, all’indomito
De Rossi, all’incredibile Pirlo (il miglior centrocampista al mondo, insieme
allo spagnolo Xavi Hernandez, e i due si ritroveranno di fronte proprio nella
sfida finale del torneo) amalgamandoli con altri giocatori più giovani e meno
talentuosi ma ugualmente determinati. Inoltre ha azzeccato tutte le altre scelte,
sia quella di puntare sull’estro ribelle di Mario (un altro!) Balotelli, sia
quelle tattiche e strategiche. La vittima di maggior prestigio - quasi inutile
ricordarlo - anche in questo caso è stata la Germania.
Questi ultimi giorni ricchi di riscontri positivi - sia pure
in ambiti completamente diversi per rilevanza - hanno dimostrato che l’Italia
può ripartire, a condizione che lo facciano gli italiani, e in particolare i
migliori tra essi. In tutti campi, naturalmente.
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