La Sicilia è in rivolta, e sono spuntati i forconi. Per
adesso metaforici, quali simbolo delle rivendicazioni della gente comune, degli
umili. L’intero territorio isolano è paralizzato dai blocchi stradali. Iniziano
a scarseggiare le merci sugli scaffali dei supermercati, le scorte di benzina
sono praticamente esaurite. Hanno cominciato i camionisti, seguiti subito dopo
dagli agricoltori, dai commercianti e da altre categorie di lavoratori, operai
compresi. Alla fine si sono uniti alla protesta anche gli studenti. La
Confindustria locale paventa strumentalizzazioni da parte della malavita,
nonché infiltrazioni mafiose. C’è grande preoccupazione, c’è allarme. Si teme
il caos, e la progressiva destabilizzazione del già fragile tessuto sociale. Il
fenomeno in essere appare sottovalutato dalle forze politiche, del tutto
incapaci di alcuna reazione, con un considerevole aumento del rischio
di deriva democratica. E tutto ciò avviene in un momento assai difficile per il Paese, guidato
da un governo non legittimato dal voto popolare, impegnato nel tentativo quasi
disperato di evitare il fallimento dell’intero sistema economico, alla ricerca
di una credibilità internazionale che era andata completamente smarrita.
Tutto lineare, dunque. Assistiamo alla ribellione di gente esasperata, impoverita e, in
apparenza, priva di una prospettiva futura. Tutto limpido e conseguente, se non
che è inevitabile il sorgere di alcuni interrogativi, questioni allo stesso
tempo curiose e inquietanti.
Qual era la condizione della Sicilia – e dell’intero
Mezzogiorno - non più di due mesi fa? Era migliore? Quali erano, allora, le
opportunità di ripresa – di speranza - che in così poco tempo sembrano siano
invece venute meno adesso?
È senz’altro utile ricordare che l’attuale esecutivo si è
insediato a metà novembre, dopo la tardiva e infamante fuga del governo che l’aveva
preceduto, mascherata da ridicola assunzione di responsabilità.
Perché la protesta non è iniziata lo scorso autunno? I
presupposti erano ben presenti, e mai come allora il Paese ha rischiato di
precipitare nel baratro, una caduta che avrebbe trascinato nella polvere in
primo luogo proprio le categorie che attualmente animano la rivolta sicula. In
quel drammatico momento, invece, non accadde nulla.
Aggiungiamo ulteriori elementi di riflessione.
Forza Italia prima e il PDL dopo hanno costruito i trionfi
elettorali nazionali in gran parte grazie all’incondizionato sostegno degli
elettori di regioni come quella siciliana. Per non parlare delle ultime
elezioni regionali, che hanno visto la netta affermazione di un personaggio
discusso come il governatore Lombardo. Inutile poi rammentare figure della
fauna politica locale quali Dell’Utri, Micciché, Schifani, tutti appartenenti
alla stessa area politica e tutti coinvolti (insieme a molti altri) in
inchieste per mafia.
Alla luce di quanto esposto ci si chiede per quale motivo i
cittadini isolani non abbiano colto le occasioni elettorali per invertire un
indirizzo che purtroppo è apparso ben chiaro.
È del tutto sbagliato, di conseguenza, attribuire almeno un
po’ di credito a chi denuncia possibili coinvolgimenti nella protesta da parte
delle cosche di Cosa Nostra? Riteniamo di no.
D’altra parte è anche opportuno e doveroso distinguere, tra
i cittadini siciliani, quelli che agiscono in assoluta buona fede (la
maggioranza) da chi invece opera per realizzare i disegni delle organizzazioni
criminali.
In ultimo, le rivendicazioni dei contestatori non appaiono
chiare e sufficientemente delineate. Si tratta, finora, di una generica
richiesta di ascolto rivolta direttamente al governo. I partiti sono stati del tutto scavalcati, il
loro ruolo desolatamente sminuito, il loro potere di rappresentanza annullato.
In tale situazione si evidenzia ancora di più una colpevole assenza dello Stato.
Condizione che, non dimentichiamolo, produce ovunque, non soltanto al Sud,
terreno fertile per chi su questo distacco ha da sempre costruito le proprie
delittuose fortune.
Concordo abbastanza con la disamina. Occorrerebbe aggiungere che la politica è unita col governo in carica, facendo venir meno la dialettica tra maggioranze/a ed opposizioni/e. Saluti da Salvatore.
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