Powered By Blogger

lunedì 30 gennaio 2012

LA STREGA



Hai atteso, con trepidazione, per l’intera giornata. Non vedi l’ora di incontrarla. Finalmente sei fuori, in un tiepido pomeriggio di primavera. Percorri la strada che ti separa da lei immerso in pensieri che non riesci a definire. Non noti nulla attorno a te, né la gente frettolosa che incroci, né i luoghi che pure ti sono ben noti. Procedi in linea retta, come un automa, sprofondato nell’ottusità, nella tua nitida follia. La scorgi, da lontano, mentre percorri il viale del parco. È seduta su una panchina di pietra e sta leggendo un libro. Così sembra. Non te ne curi, non ti importa. Se anche stesse fingendo, se il suo fosse un soltanto un inviso atteggiamento, ciò non avrebbe comunque alcuna rilevanza. Ti avvicini e il respiro si mozza. Combatti contro quell’improvvisa apnea del corpo e dello spirito. La superi. Lei ti vede e si alza. Un corpo sodo ed esuberante. Sorride. Un abbraccio, poi un rapido scambio di fiati caldi. Mano nella mano violate le profondità di quel verde polmone. Sempre più in fondo, camminando finché non siete i soli, gli unici. Il tempo trascorre in fretta, parlando di tutto, discorrendo di nulla. Un saluto frettoloso, carico di colpa, e ciò che è stato unito fino a pochi attimi prima si separa. Su entrambi cala un sentimento di angoscia, un’afflizione che durerà lo spazio di un giorno. Perché gli incontri quotidiani si susseguono, durante tutta la calda estate, nel periodo in cui si uniscono i sudori; in autunno, quando i brividi climatici si legano ai fremiti di un animo sempre più in subbuglio. L’inverno, invece, quell’anno non arriva. Tutto finisce, all’improvviso, così come era iniziato. Il vuoto ti travolge, ti annulla i sensi. Comincia il tempo della riflessione. Amara e dolorosa. Tutto è cambiato, nulla è più come prima. Né lo sarà mai più. Te ne rendi conto e questa nuova condizione ti provoca angoscia, ti precipita in un abisso. Hai imparato a conoscerti, e ciò che hai scoperto ti sconcerta. Sei stato smascherato. Sono affiorati i tuoi limiti e le tue debolezze, la tua impensabile doppiezza. Vivi, ma in un altro modo. Lasci che il tempo scorra. In apparenza, tutto sembra immutato. Viceversa tutto è crollato, dentro di te percepisci solo macerie, infiniti frammenti che non è possibile ricomporre.
E poi la vedi, dopo tanto tempo. Le tue cicatrici si sono ormai indurite. Sei seduto su una panchina e stai leggendo un libro. Sul serio. Un altro parco, un altro viale. Lei si avvicina ma non si siede accanto a te. Tu non l’hai invitata a farlo. L’imbarazzo è fuggevole, subito spunta un sorriso. Quel sorriso che non mi ammalia più. I suoi capelli sono sempre lunghi e crespi, ma con qualche filo bianco. Quei capelli che amavo intrecciare tra le dita. Distolgo lo sguardo da quelle pupille verdi.
“Come va?” dice, arrotando la erre. Che voce sgraziata, penso. Non lo avevo mai notato.
Annuisco ma non rispondo.
“Non è ancora arrivato il tempo per parlare?” insiste lei.
Scuoto il capo e rituffo gli occhi sulle pagine del libro.
Lei sorride. Sorride sempre, lei. Come se tutto fosse divertente, come se tutto fosse soltanto un gioco. Forse ha ragione, forse la vita è davvero un gioco, e nulla di più. Ma io ho perso. Lei, all’opposto, vince sempre.
Ormai rassegnata, incapace di schiodarmi  dal mio ostinato mutismo, dal mio atteggiamento indifferente e ostile, si allontana. Se ne va, la mia strega cattiva se ne va.

Nessun commento:

Posta un commento