Come spesso accadeva, i due si ritrovarono alla fermata
dell’autobus. Uno era il rettore dell’Università, il professor Venturi, storico
di grande fama nonché sociologo, l’altro il giovane titolare della cattedra di
matematica, il dottor Cogniti.
“Si ricomincia!” esclamò il matematico. “Ci attende un altro
anno di duro lavoro.”
Il rettore lo salutò con un cenno, poi lo guardò fisso.
“L’ultimo” disse.
Cogniti strabuzzò gli occhi.
“Dici sul serio? Hai finalmente deciso di andare in pensione?”
domandò, sorpreso per quella inaspettata decisione.
Il rettore scosse energicamente il capo.
“Non mi riferivo al mio collocamento a riposo. Intendevo
dire che sarà l’ultimo anno per entrambi, e per molti altri. Naturalmente non
sto parlando della scuola…”
“Che cosa?”
“Non hai sentito parlare della profezia dei Maya?”
Il giovane scoppiò a ridere.
“Mi stai prendendo in giro?” disse appena si fu ripreso. “Vuoi
dirmi che credi a quella bufala? Proprio tu, lo studioso di storia antica?”
“Che cosa c’entra la storia, scusa?” disse Venturi.
L’altro rimase interdetto.
“So che tu hai approfondito molto lo studio delle civiltà
precolombiane, quindi pensavo che…”
“No, sei sulla cattiva strada. La storia non c’entra per
nulla, e tantomeno i poveri Maya. Loro non hanno predetto un bel nulla, te lo
posso assicurare.”
“Ma allora…”
“In ogni caso, sono certo che il mondo finirà.”
“Non capisco…”
Sul volto del professor Cogniti si era dipinta una certa
preoccupazione. Il giovane sapeva, per esperienza personale, che Venturi non
parlava mai a sproposito.
“Devi sapere che ho analizzato questa faccenda, quella della
profezia. Sai, queste cose mi incuriosiscono, e alla fine sono giunto a una
conclusione. Chi prevede la fine del mondo ha ragione. Tuttavia per arrivare a
ciò ho dovuto far ricorso alla mia esperienza di sociologo.”
Cogniti era sempre più pallido. Ormai aveva capito che il
rettore non scherzava affatto.
“Spiegati, per favore…” sussurrò.
“D’accordo, ci proverò. Hai mai sentito parlare della
profezia che si autoadempie?”
“Non credo riguardi il mio campo…”
Venturi sbuffò. Non tollerava la scarsa preparazione, in
nulla, e soprattutto quella di un suo docente.
“Si tratta di una predizione, di un annuncio che, nel venire
fatto, finisce con l’avverarsi.”
“Vale a dire?”
Cogniti era ormai privo di salivazione. La sua voce
raschiava, simile a un rantolo.
“Semplice” proseguì Venturi. “ Perché ci si convince che un
certo accadimento sarà inevitabile. E sarà questa stessa convinzione, diffusa,
a far sì che tale fatto diventi realtà. Credimi, è inevitabile. Robert Merton
aveva ragione.”
“Chi… chi è Merton?” sibilò il giovane professore.
“Oh! Un nostro collega, un sociologo. Ma non preoccuparti, è
già morto, beato lui!”
“Non capisco…” piagnucolò Cogniti.
“Vedi, a un certo punto, per chissà quale motivo, qualcuno ha
tirato fuori questa bizzarra teoria della profezia Maya. Una stupidaggine, una
specie gioco, tuttavia una moltitudine di persone ci ha creduto. Non alla
previsione in sé, bensì all’effetto finale: la fine del mondo. Con il passare
del tempo queste persone sono aumentate sempre più di numero, fino a diventare
milioni e milioni. Tutte loro, individui comuni ma anche capi di Stato e di
Governo e grandi finanzieri stanno operando, seppure a livello inconsapevole,
affinché la predizione si avveri. Credo proprio che alla fine ce la faranno. La
fine del mondo dunque sarà inevitabile.”
“Anche… tu?” chiese Cogniti, costernato.
“Certo! Ho sempre creduto nella teoria del buon Merton. E
pure tu, se mi permetti…”
“Io? No!” gridò il giovane. Alcune persone si voltarono a
guardarlo.
“E invece sì!” disse Venturi. “Guardati! Sei distrutto! Ciò
vuol dire che credi a ciò che sto dicendo. Benvenuto nel club degli involontari
distruttori del pianeta! Ehi, sta arrivando il bus!”
Con un balzo il professor Venturi fu sul mezzo.
Il giovane collega rimase impietrito alla fermata.
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