Stai lì, fermo, in quell’angolo della piazza, proprio vicino
alla fermata del tram, e aspetti. E ti domandi perché lo stai facendo.
Sei uscito da casa poco prima – non abiti lontano – e hai
sfidato la calura di quella serata di luglio. Ti sei diretto in quel posto e
ora aspetti, visto che gli appuntamenti
funzionano in quel modo. A uno dei due tocca sempre attendere. Ma non è l’attesa
che ti disturba. Anzi, in quel momento sospeso ti senti quasi bene. Nulla è
ancora accaduto. Da un attimo all’altro potresti addirittura decidere di
ripensarci, di tornare indietro. Sai che non lo farai, e allora continui ad
aspettare. Prima o poi l’altra persona arriverà, e subirai l’ineluttabile
corrente degli eventi. Invece di stare lì, immobile in quell’angolo, a
osservare la gente accaldata che sale e scende dal tram, potresti essere a
casa. Certo, non saresti solo, ma che importa? È meglio l’abitudine che il
nulla. Potresti comunque guardare la televisione, anche se non lo fai mai,
oppure, con più soddisfazione, ascoltare un po’ di musica o leggere un libro.
Al contrario, hai stabilito di uscire, di fare qualcosa di inconsueto forzando
la tua natura, altrimenti comune. In fondo, hai risolto di metterti alla prova.
Adesso però ne sei pentito. Ti chiedi che bisogno c’era di farlo, e ti convinci
che non era assolutamente necessario. Ma ormai è troppo tardi, concludi, non
esiste più la possibilità di operare una scelta differente, all’opposto è il
momento di subire le conseguenze. Più si avvicina il tempo dell’incontro, più
aumenta la tua apprensione. Sposti leggermente un piede, da quasi mezz’ora
inchiodato al suolo, ti accorgi che duole per la prolungata immobilità, e ti
rendi conto del tuo stato di tensione. Tenti di rilassarti guardandoti attorno,
lisciando più volte i pantaloni, verificando l’estensione delle chiazze di
sudore sotto le ascelle. Ti gratti il naso, constati con stupore che la barba,
rasata accuratamente nel corso del pomeriggio, sta già ricrescendo. E poi…
Nascosta dal tram che sta ripartendo, la vedi. La sua
macchina. Sì, proprio la sua, quella della persona che stavi aspettando. Sarà
appena arrivata, pensi, oppure lei ti stava osservando già da un po’ di tempo e
tu non te ne sei accorto? Avrà notato i tuoi gesti nervosi? La tua
inquietudine? Non importa, non importa più, dal momento che il ballo ha avuto
inizio. Lei tuttavia non scende, ma ti fa segno di avvicinarti, vuole che tu
salga in macchina. Sobbalzi, il cuore in gola. Questo non l’avevi previsto. Ti
eri immaginato una semplice passeggiata lungo il fiume, nulla di più, niente di
diverso. Rammenti, con dolore e con impaccio, l’unica altra volta che hai fatto
quel gesto, quello di salire con lei in auto. Eravate fermi in un parcheggio,
in pieno giorno. A un certo punto, dopo tante parole leggere, lei si era avvicinata,
aveva accostato le sue labbra screpolate alle tue. Le aveva appoggiate sulle
tue. In un primo momento non avevi reagito. Subito dopo avevi aperto la
portiera ed eri sceso, dopo aver farfugliato qualcosa di indecifrabile anche
per te. Ti eri allontanato, stordito e imbarazzato. Eri convinto di averla
umiliata. Invece il giorno dopo lei ti aveva salutato come sempre, con un sorriso,
e ciò ti aveva sconvolto. Poi tutto era ripreso come prima.
Ora non hai scelta e sali. Lei riparte e tu non parli,
perché non sai che cosa dire. La osservi, ti soffermi sul profilo del suo viso,
ti stupisci per il suo naso lungo che, in tanti anni, non avevi mai notato. Lei
guida con grande attenzione, concentrata. Percepisci, nel minuscolo abitacolo,
un odore dolciastro, un miscuglio di profumo e traspirazione. Il suo. Il tuo.
Non osi domandare dove siete diretti. In realtà, non lo fai perché non ti
interessa. All’improvviso, sei consapevole del fatto che quella donna non ti
piace. Non ti piace più. Allora, di fronte a quell’evidenza, ti irrigidisci,
non vuoi che quella fredda e sconvolgente sensazione trapeli in alcun modo.
Vorresti essere da un’altra parte, vorresti non essere. L’auto si arresta. Tu
sorridi, ebete individuo, e continui a non parlare. Lei ricambia allo stessa
maniera. Scendete e attraversate la strada. Lei appoggia una mano sulla tua
spalla. Quel gesto potrebbe causarti fastidio, ma non è così. Suscita in te
soltanto indifferenza. Piuttosto noti, osservando con attenzione la nuca, che i
suoi capelli non sono perfettamente puliti. I pantaloni che indossa appaiono
stropicciati e la rendono goffa. Ti fai coraggio e cerchi di incrociare il suo
sguardo, perché non l’hai ancora fatto. Ma nei suoi occhi non scorgi nulla. O
forse sì: un placido distacco.
“Ti va un gelato?” ti domanda all’improvviso, con la sua
voce acuta. O stridula…
Scorgi l’insegna della gelateria, sempre più grande,
colorata di rosso, che incombe su di te. Tu detesti il gelato, naturalmente.
“Sì” rispondi. E nello stesso istante comprendi che qualcosa
che non è mai iniziato è già finito.
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