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giovedì 5 gennaio 2012

IL GELATO


Stai lì, fermo, in quell’angolo della piazza, proprio vicino alla fermata del tram, e aspetti. E ti domandi perché lo stai facendo.
Sei uscito da casa poco prima – non abiti lontano – e hai sfidato la calura di quella serata di luglio. Ti sei diretto in quel posto e ora  aspetti, visto che gli appuntamenti funzionano in quel modo. A uno dei due tocca sempre attendere. Ma non è l’attesa che ti disturba. Anzi, in quel momento sospeso ti senti quasi bene. Nulla è ancora accaduto. Da un attimo all’altro potresti addirittura decidere di ripensarci, di tornare indietro. Sai che non lo farai, e allora continui ad aspettare. Prima o poi l’altra persona arriverà, e subirai l’ineluttabile corrente degli eventi. Invece di stare lì, immobile in quell’angolo, a osservare la gente accaldata che sale e scende dal tram, potresti essere a casa. Certo, non saresti solo, ma che importa? È meglio l’abitudine che il nulla. Potresti comunque guardare la televisione, anche se non lo fai mai, oppure, con più soddisfazione, ascoltare un po’ di musica o leggere un libro. Al contrario, hai stabilito di uscire, di fare qualcosa di inconsueto forzando la tua natura, altrimenti comune. In fondo, hai risolto di metterti alla prova. Adesso però ne sei pentito. Ti chiedi che bisogno c’era di farlo, e ti convinci che non era assolutamente necessario. Ma ormai è troppo tardi, concludi, non esiste più la possibilità di operare una scelta differente, all’opposto è il momento di subire le conseguenze. Più si avvicina il tempo dell’incontro, più aumenta la tua apprensione. Sposti leggermente un piede, da quasi mezz’ora inchiodato al suolo, ti accorgi che duole per la prolungata immobilità, e ti rendi conto del tuo stato di tensione. Tenti di rilassarti guardandoti attorno, lisciando più volte i pantaloni, verificando l’estensione delle chiazze di sudore sotto le ascelle. Ti gratti il naso, constati con stupore che la barba, rasata accuratamente nel corso del pomeriggio, sta già ricrescendo. E poi…
Nascosta dal tram che sta ripartendo, la vedi. La sua macchina. Sì, proprio la sua, quella della persona che stavi aspettando. Sarà appena arrivata, pensi, oppure lei ti stava osservando già da un po’ di tempo e tu non te ne sei accorto? Avrà notato i tuoi gesti nervosi? La tua inquietudine? Non importa, non importa più, dal momento che il ballo ha avuto inizio. Lei tuttavia non scende, ma ti fa segno di avvicinarti, vuole che tu salga in macchina. Sobbalzi, il cuore in gola. Questo non l’avevi previsto. Ti eri immaginato una semplice passeggiata lungo il fiume, nulla di più, niente di diverso. Rammenti, con dolore e con impaccio, l’unica altra volta che hai fatto quel gesto, quello di salire con lei in auto. Eravate fermi in un parcheggio, in pieno giorno. A un certo punto, dopo tante parole leggere, lei si era avvicinata, aveva accostato le sue labbra screpolate alle tue. Le aveva appoggiate sulle tue. In un primo momento non avevi reagito. Subito dopo avevi aperto la portiera ed eri sceso, dopo aver farfugliato qualcosa di indecifrabile anche per te. Ti eri allontanato, stordito e imbarazzato. Eri convinto di averla umiliata. Invece il giorno dopo lei ti aveva salutato come sempre, con un sorriso, e ciò ti aveva sconvolto. Poi tutto era ripreso come prima.
Ora non hai scelta e sali. Lei riparte e tu non parli, perché non sai che cosa dire. La osservi, ti soffermi sul profilo del suo viso, ti stupisci per il suo naso lungo che, in tanti anni, non avevi mai notato. Lei guida con grande attenzione, concentrata. Percepisci, nel minuscolo abitacolo, un odore dolciastro, un miscuglio di profumo e traspirazione. Il suo. Il tuo. Non osi domandare dove siete diretti. In realtà, non lo fai perché non ti interessa. All’improvviso, sei consapevole del fatto che quella donna non ti piace. Non ti piace più. Allora, di fronte a quell’evidenza, ti irrigidisci, non vuoi che quella fredda e sconvolgente sensazione trapeli in alcun modo. Vorresti essere da un’altra parte, vorresti non essere. L’auto si arresta. Tu sorridi, ebete individuo, e continui a non parlare. Lei ricambia allo stessa maniera. Scendete e attraversate la strada. Lei appoggia una mano sulla tua spalla. Quel gesto potrebbe causarti fastidio, ma non è così. Suscita in te soltanto indifferenza. Piuttosto noti, osservando con attenzione la nuca, che i suoi capelli non sono perfettamente puliti. I pantaloni che indossa appaiono stropicciati e la rendono goffa. Ti fai coraggio e cerchi di incrociare il suo sguardo, perché non l’hai ancora fatto. Ma nei suoi occhi non scorgi nulla. O forse sì: un placido distacco.
“Ti va un gelato?” ti domanda all’improvviso, con la sua voce acuta. O stridula…
Scorgi l’insegna della gelateria, sempre più grande, colorata di rosso, che incombe su di te. Tu detesti il gelato, naturalmente.
“Sì” rispondi. E nello stesso istante comprendi che qualcosa che non è mai iniziato è già finito.

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