Si sta svolgendo a
Londra, proprio in questi giorni, la XVI edizione dei Giochi Paralimpici
estivi. Come per le Olimpiadi concluse da poco, si tratta anche in questo caso
di un grande evento sportivo, al quale hanno aderito oltre centosessanta
federazioni nazionali e alcune migliaia di atleti. Le gare stanno riscuotendo
un grande successo, la partecipazione del pubblico londinese è entusiasta e
appassionata, in tutti i siti sedi delle prove si registra il tutto esaurito. I
risultati ottenuti fino a questo momento dagli atleti, come accade quasi sempre
in tutte le competizioni di vertice, sono all’altezza delle aspettative.
Ricordiamo, per quanto ci riguarda, le due splendide vittorie della nuotatrice
Camellini che hanno fruttato due medaglie d’oro nonché un primato mondiale.
Oppure l’ennesima ottima prova del corridore sudafricano Oscar Pistorius (che
già aveva preso parte alle Olimpiadi), trionfatore nella gara dei 2oo metri con
il nuovo record del mondo.
Alcune sere fa abbiamo
potuto assistere, con grande partecipazione, alla bellissima cerimonia di
inaugurazione dei Giochi. Una celebrazione elegante e raffinata, addirittura
superiore, per intensità, a quella analoga delle Olimpiadi e alla quale ha partecipato
anche il fisico Stephen Hawking, che ha dato il via ai Giochi. Come sempre in queste occasioni, il momento di
maggiore impatto emotivo è stato quello della sfilata dei partecipanti, contraddistinto
dalla percezione della gioia e dal sincero entusiasmo che era possibile
scorgere sui volti felici degli atleti.
Per chi ancora non lo
sapesse i Giochi Paralimpici sono l’equivalente delle Olimpiadi, e i
partecipanti sono atleti con differenti disabilità. La prima edizione di questa
competizione fu organizzata nel 1948, a Stoke Mendeville nel Buckinghamshire,
ad opera del medico britannico Ludwig Guttmann, ed era rivolta in particolare
ai veterani della Seconda Guerra Mondiale che, durante il conflitto, avevano
subito danni alla colonna vertebrale.
Nel 1960 i Giochi
furono disputati, per la prima volta, in concomitanza con le Olimpiadi, che
quell’anno si svolgevano a Roma. Da allora i Giochi hanno avuto luogo con
regolare frequenza quadriennale, e a partire dal 2002 (Barcellona) il paese
organizzatore delle Olimpiadi, sia estive che invernali, deve assumere l’obbligo
di allestire l’equivalente manifestazione per atleti disabili.
Tornando per un momento
alle miserie di casa nostra, a proposito dei Giochi Paralimpici hanno destato
profondo sconcerto le affermazioni fatte da Paolo Villaggio nel corso di una
trasmissione radiofonica. L’attore e scrittore genovese ha detto che tali
Giochi suscitano molta tristezza, perché sono tutt’altro che entusiasmanti, ma
soltanto la malinconica rappresentazione di alcune disgrazie. Pertanto, sempre a
suo parere, non dovrebbero aver luogo perché appaiono come una specie di sublimazione
della sventura stessa e l’esaltazione di una finta pietà. Anche se si fosse
trattato di una semplice provocazione (aspetto non insolito nel personaggio)
tali parole sono comunque odiose e detestabili, da rigettare allo stolto
mittente.
Gli atleti paralimpici
sono atleti veri, impegnati quotidianamente in severi e faticosi allenamenti, e
per i quali i Giochi non rappresentano di certo un’occasione di rivalsa nei
confronti delle persone normodotate, ma un palcoscenico importante nel quale
poter metter in mostra di fronte a un grande pubblico (per una volta) tutto il
loro valore sportivo. É infatti assurdo parlare di eccessiva
spettacolarizzazione dell’evento e di esorbitante esposizione mediatica trattandosi
di atleti che, come tutti gli altri sportivi, per anni si sono preparati in vista
del rilevante avvenimento con grande spirito di sacrificio e che si sono
regolarmente esibiti in competizioni internazionali invece sempre trascurate
dai mezzi di informazione. Qual è il problema - e quale disturbo possono mai
arrecare - se almeno una volta ogni quattro anni ci si occupa anche di loro, e
del loro indiscusso valore agonistico?
Apprezziamo quindi, in
assoluta serenità, da veri sportivi, da effettivi appassionati, le prestazioni
di questi atleti. Partecipiamo alle loro vittorie, rattristiamoci alle loro
sconfitte, applaudiamo il loro impegno e lo spirito competitivo che li anima,
condividiamo la loro gioia o il loro momentaneo sconforto. Soltanto una cosa
non dobbiamo fare: stupirci.
Perché l’autentico sportivo,
quello davvero genuino, privo di qualsiasi preconcetto, è da sempre abituato a
stupirsi.
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