Ne avevamo parlato il
giorno prima, durante la cena. Quella sera non eravamo soli. Avevamo invitato i
nostri amici Leo e Sandra. Lo facevamo all’incirca una volta al mese, con
sorprendente regolarità. Mio marito e Leo si conoscevano da tanto tempo. Si erano
incontrati sui banchi di scuola, ne avevano compiuto insieme tutto il percorso,
poi si erano persi un po’ di vista. Si erano rivisti per caso qualche anno
dopo, quando noi eravamo già sposati e Leo aveva appena iniziato a frequentare
Sandra. Per loro niente matrimonio, così avevano deciso, anche se avevano
iniziato a convivere quasi subito.
Leo non mi è affatto
simpatico. Lo tollero, niente di più. Non riesco proprio a capire che cosa mio
marito trovi di interessante in lui. Si tratta di due persone molto diverse. Il
mio compagno è un tipo serio e riflessivo, di poche parole, mentre il suo amico
è completamente all’opposto. Borioso, a tratti arrogante, molto vanitoso. Ama
essere sempre al centro dell’attenzione e la sua logorrea è proverbiale. Un
diluvio di parole, spesso vuote, in grado però di stordire chiunque dopo pochi
minuti. In quanto a Sandra, la sua compagna, mi spiace dover dire che si tratta
di una ragazza insignificante, del tutto priva di personalità. Molto insicura
di sé, ogni volta che apre bocca rivolge lo sguardo in direzione di Leo, ne
cerca l’approvazione e quasi mai la ottiene.
Come sempre la serata
si prospettava tutt’altro che stimolante. Tuttavia, come le altre volte, mi
sarei sforzata di fare il possibile affinché non risultasse disastrosa. Lo
facevo soltanto per mio marito, per assecondare in qualche maniera quella sua
voglia di farsi del male. Perché ci teneva così tanto a incontrare Leo? Tra l’altro
avrebbero potuto benissimo vedersi da soli, evitando così di coinvolgere me e
Sandra, che non avevamo mai nulla da dirci, dal momento che tra noi non c’era
davvero alcuna affinità. Invece non lo facevano, e insistevano per perpetuare
quei tristi ritrovi dai quali mai nessuno usciva appagato. Neppure loro due,
immagino.
Durante il pasto
avevamo iniziato a parlare di lavoro, come d’altronde accadeva tutte le volte,
poiché tra noi non c’era altro argomento possibile su cui intavolare una
conversazione. Leo, con snervante ripetitività, aveva esaltato la sua attività.
Dicendo che gli affari stavano andando sempre meglio, che i clienti erano in
costante aumento, che stava addirittura pensando di assumere un dipendente. Che
lavoro fa? Il rappresentante di piccoli elettrodomestici, mi pare. Mio marito,
da parte sua, seppellito dal profluvio di parole dell’amico, aveva di sfuggita
accennato a delle difficoltà che stava incontrando in ufficio in quel periodo.
In ogni caso, che mai avrebbe potuto dire? Lui é un semplice impiegato, in una
anonima azienda che produce imballaggi. Sandra, come suo solito, non si era
pronunciata su nulla, anche perché un lavoro non ce l’aveva. Aveva detto
soltanto che lo stava cercando, senza però precisare quale tipo di occupazione.
Leo l’aveva interrotta, affermando che, se le cose fossero andate come lui
sperava, lei non avrebbe mai avuto bisogno di lavorare. Sandra si era
ammutolita, mortificata. Probabilmente per lei il lavoro possedeva altri
significati, oltre all’aspetto esclusivamente economico, ma non aveva osato
dirlo. Povera ragazza. Alla fine della sua esibizione Leo aveva iniziato a
interrogare me che, a differenza sua, non amo molto parlare, o addirittura
esaltare, la mia professione. Lui invece è interessato in maniera quasi morbosa
a ciò che faccio, e non manca mai di informarsi sui dettagli anche minimi che
riguardano la mia attività di tutti i giorni. In realtà non riesco proprio a
comprendere questo suo malsano interesse, forse quell’uomo è malato. Mi
riferisco alla sua testa, naturalmente, ma probabilmente si tratta soltanto di una
deformazione professionale. Inoltre io non sto a contatto con chi ha disturbi
mentali, ma contribuisco a curare le malattie del corpo e quindi la mia
valutazione potrebbe essere sbagliata. Sì, sono un’infermiera. Non una
qualunque, bensì un’infermiera specializzata, e svolgo questo lavoro, che mi
appaga completamente, ormai da molti anni.
Stavamo già sorseggiando
il caffè quando ho raccontato un episodio che mi era accaduto il giorno prima
in ospedale. Così, tanto per dire qualcosa.
“Davvero quel paziente
ti ha fatto una tale richiesta?” era sbottato Leo, affibbiandosi nel contempo
una gran manata sulla coscia. Era eccitato e rosso in viso, per la gran
quantità di vino bevuto. Non pago, si stava servendo una abbondante dose di
cognac.
Mio marito non aveva
detto nulla, perché già conosceva quel fatto. Sandra aveva lo sguardo assente,
la sua espressione più frequente. Io mi ero limitata ad annuire.
“Incredibile! Proprio come
nei film!” aveva aggiunto Leo.
“I film, spesso, non
fanno altro che rappresentare la realtà” avevo ribadito. Ma lui non si era
arreso.
“Aspetta, fammi capire
bene. Quello avrebbe chiesto a te di fare quella cosa? E l’avresti dovuta fare
con le tue graziose manine?”
A quelle parole mio
marito aveva rivolto all’amico uno sguardo torvo. Forse non aveva apprezzato il
riferimento alle mie mani, ma era rimasto in silenzio. Da parte mia non sapevo
più che cosa dire, e allora avevo confermato con un cenno del capo. Finalmente
Sandra si era decisa a intervenire. A sproposito.
“Guarda che Clara è una
bella donna” aveva detto. “Forse l’ha chiesto a lei proprio per questo motivo.”
Leo, invece di rimproverare
la sua compagna, era scoppiato a ridere.
“Che cosa c’entra la
bellezza?” Mio marito, da ultimo.
Il suo amico si era drizzato
sulla sedia e aveva cercato di assumere, invano, un atteggiamento più
rispettoso. Ma non aveva rinunciato a ingollare una robusta sorsata di liquore.
“Ehi! Mi stupisci!”
aveva detto Leo. “Una cosa del genere è meglio farsela fare da una persona
carina. E tua moglie, con tutto il rispetto, lo è. Sai, si prova di certo più
soddisfazione!”
Sandra aveva distolto
lo sguardo, avvilita.
“Leo, non si scherza su
queste cose!” lo avevo biasimato io.
“Non sto affatto
scherzando. Stavo semplicemente immaginando la situazione. Lui - perché era un
uomo no? – che ti domanda quella cosa assurda e tu che di sicuro rimani
strabiliata. Credo non ti fosse mai capitato in precedenza, no?”
Non avevo risposto
nulla. Forse avevo scosso il capo. Non in segno di diniego, ma di compatimento.
“Perché non l’ha
chiesto a qualcun altro?” aveva chiesto Sandra, che per un attimo si era
riscossa dal torpore in cui era precipitata dopo la precedente infelice
battuta.
“Vale a dire?” Di nuovo
mio marito, sempre più serio.
E di nuovo Leo si era
abbandonato all’euforia. Un entusiasmo del tutto fuori posto.
“Scusa, a chi lo
avrebbe dovuto domandare? A sua madre, forse? Ve lo immaginate?”
Mio marito aveva sospirato.
“Ragazzi!” aveva
ripreso Leo, sempre più infervorato “Anch’io al posto di quel tale avrei
preferito farmi fare il servizio da una bella donna piuttosto che da qualcun
altro!”
“Leo, smettila! Stai
diventando pesante e volgare!” era esplosa Sandra. Il suo viso era pallido e la
sua voce stridula.
“Falla finita…” aveva
aggiunto mio marito con tono stanco all’indirizzo dell’amico.
Leo a quel punto aveva
ubbidito ma non aveva rinunciato a riempire di nuovo il bicchiere.
Per fortuna la serata
poi si era conclusa. Leo, barcollante, era stato sostenuto e accompagnato da
Sandra fino alla loro macchina. Alla guida si era sistemata lei. Mio marito,
almeno questa volta, appariva a disagio. Rimasti soli, non avevamo fatto
ulteriori commenti ed eravamo andati subito a letto.
E adesso mi trovo qui,
in questa asettica stanza di ospedale. È già trascorso un giorno dalla
sciagurata serata. Ci sono due letti, ma uno soltanto è occupato. Il mio
paziente sta dormendo. Negli ultimi giorni lo fa quasi sempre. Lo osservo con
attenzione. È una persona ancora giovane, un bell’uomo. Anzi, era un bell’uomo.
So che potrebbe svegliarsi da un momento all’altro, e io temo quel momento.
Perché so che potrebbe rinnovare la sua richiesta, e non saprei che cosa
rispondere. Non penso più alle risate di Leo quando mi avvicino alle complesse
apparecchiature che circondano il suo giaciglio, strumenti che io conosco bene,
alla perfezione. Lancio un’ultima occhiata al malato, mi abbasso e cerco il
tubo dell’ossigeno. Lo stacco.
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