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venerdì 21 settembre 2012

LA RICHIESTA



Ne avevamo parlato il giorno prima, durante la cena. Quella sera non eravamo soli. Avevamo invitato i nostri amici Leo e Sandra. Lo facevamo all’incirca una volta al mese, con sorprendente regolarità. Mio marito e Leo si conoscevano da tanto tempo. Si erano incontrati sui banchi di scuola, ne avevano compiuto insieme tutto il percorso, poi si erano persi un po’ di vista. Si erano rivisti per caso qualche anno dopo, quando noi eravamo già sposati e Leo aveva appena iniziato a frequentare Sandra. Per loro niente matrimonio, così avevano deciso, anche se avevano iniziato a convivere quasi subito.
Leo non mi è affatto simpatico. Lo tollero, niente di più. Non riesco proprio a capire che cosa mio marito trovi di interessante in lui. Si tratta di due persone molto diverse. Il mio compagno è un tipo serio e riflessivo, di poche parole, mentre il suo amico è completamente all’opposto. Borioso, a tratti arrogante, molto vanitoso. Ama essere sempre al centro dell’attenzione e la sua logorrea è proverbiale. Un diluvio di parole, spesso vuote, in grado però di stordire chiunque dopo pochi minuti. In quanto a Sandra, la sua compagna, mi spiace dover dire che si tratta di una ragazza insignificante, del tutto priva di personalità. Molto insicura di sé, ogni volta che apre bocca rivolge lo sguardo in direzione di Leo, ne cerca l’approvazione e quasi mai la ottiene.
Come sempre la serata si prospettava tutt’altro che stimolante. Tuttavia, come le altre volte, mi sarei sforzata di fare il possibile affinché non risultasse disastrosa. Lo facevo soltanto per mio marito, per assecondare in qualche maniera quella sua voglia di farsi del male. Perché ci teneva così tanto a incontrare Leo? Tra l’altro avrebbero potuto benissimo vedersi da soli, evitando così di coinvolgere me e Sandra, che non avevamo mai nulla da dirci, dal momento che tra noi non c’era davvero alcuna affinità. Invece non lo facevano, e insistevano per perpetuare quei tristi ritrovi dai quali mai nessuno usciva appagato. Neppure loro due, immagino.
Durante il pasto avevamo iniziato a parlare di lavoro, come d’altronde accadeva tutte le volte, poiché tra noi non c’era altro argomento possibile su cui intavolare una conversazione. Leo, con snervante ripetitività, aveva esaltato la sua attività. Dicendo che gli affari stavano andando sempre meglio, che i clienti erano in costante aumento, che stava addirittura pensando di assumere un dipendente. Che lavoro fa? Il rappresentante di piccoli elettrodomestici, mi pare. Mio marito, da parte sua, seppellito dal profluvio di parole dell’amico, aveva di sfuggita accennato a delle difficoltà che stava incontrando in ufficio in quel periodo. In ogni caso, che mai avrebbe potuto dire? Lui é un semplice impiegato, in una anonima azienda che produce imballaggi. Sandra, come suo solito, non si era pronunciata su nulla, anche perché un lavoro non ce l’aveva. Aveva detto soltanto che lo stava cercando, senza però precisare quale tipo di occupazione. Leo l’aveva interrotta, affermando che, se le cose fossero andate come lui sperava, lei non avrebbe mai avuto bisogno di lavorare. Sandra si era ammutolita, mortificata. Probabilmente per lei il lavoro possedeva altri significati, oltre all’aspetto esclusivamente economico, ma non aveva osato dirlo. Povera ragazza. Alla fine della sua esibizione Leo aveva iniziato a interrogare me che, a differenza sua, non amo molto parlare, o addirittura esaltare, la mia professione. Lui invece è interessato in maniera quasi morbosa a ciò che faccio, e non manca mai di informarsi sui dettagli anche minimi che riguardano la mia attività di tutti i giorni. In realtà non riesco proprio a comprendere questo suo malsano interesse, forse quell’uomo è malato. Mi riferisco alla sua testa, naturalmente, ma probabilmente si tratta soltanto di una deformazione professionale. Inoltre io non sto a contatto con chi ha disturbi mentali, ma contribuisco a curare le malattie del corpo e quindi la mia valutazione potrebbe essere sbagliata. Sì, sono un’infermiera. Non una qualunque, bensì un’infermiera specializzata, e svolgo questo lavoro, che mi appaga completamente, ormai da molti anni.
Stavamo già sorseggiando il caffè quando ho raccontato un episodio che mi era accaduto il giorno prima in ospedale. Così, tanto per dire qualcosa.
“Davvero quel paziente ti ha fatto una tale richiesta?” era sbottato Leo, affibbiandosi nel contempo una gran manata sulla coscia. Era eccitato e rosso in viso, per la gran quantità di vino bevuto. Non pago, si stava servendo una abbondante dose di cognac.    
Mio marito non aveva detto nulla, perché già conosceva quel fatto. Sandra aveva lo sguardo assente, la sua espressione più frequente. Io mi ero limitata ad annuire.
“Incredibile! Proprio come nei film!” aveva aggiunto Leo.
“I film, spesso, non fanno altro che rappresentare la realtà” avevo ribadito. Ma lui non si era arreso.
“Aspetta, fammi capire bene. Quello avrebbe chiesto a te di fare quella cosa? E l’avresti dovuta fare con le tue graziose manine?”
A quelle parole mio marito aveva rivolto all’amico uno sguardo torvo. Forse non aveva apprezzato il riferimento alle mie mani, ma era rimasto in silenzio. Da parte mia non sapevo più che cosa dire, e allora avevo confermato con un cenno del capo. Finalmente Sandra si era decisa a intervenire. A sproposito.
“Guarda che Clara è una bella donna” aveva detto. “Forse l’ha chiesto a lei proprio per questo motivo.”
Leo, invece di rimproverare la sua compagna, era scoppiato a ridere.
“Che cosa c’entra la bellezza?” Mio marito, da ultimo.
Il suo amico si era drizzato sulla sedia e aveva cercato di assumere, invano, un atteggiamento più rispettoso. Ma non aveva rinunciato a ingollare una robusta sorsata di liquore.
“Ehi! Mi stupisci!” aveva detto Leo. “Una cosa del genere è meglio farsela fare da una persona carina. E tua moglie, con tutto il rispetto, lo è. Sai, si prova di certo più soddisfazione!”
Sandra aveva distolto lo sguardo, avvilita.
“Leo, non si scherza su queste cose!” lo avevo biasimato io.
“Non sto affatto scherzando. Stavo semplicemente immaginando la situazione. Lui - perché era un uomo no? – che ti domanda quella cosa assurda e tu che di sicuro rimani strabiliata. Credo non ti fosse mai capitato in precedenza, no?”
Non avevo risposto nulla. Forse avevo scosso il capo. Non in segno di diniego, ma di compatimento.
“Perché non l’ha chiesto a qualcun altro?” aveva chiesto Sandra, che per un attimo si era riscossa dal torpore in cui era precipitata dopo la precedente infelice battuta.
“Vale a dire?” Di nuovo mio marito, sempre più serio.
E di nuovo Leo si era abbandonato all’euforia. Un entusiasmo del tutto fuori posto.
“Scusa, a chi lo avrebbe dovuto domandare? A sua madre, forse? Ve lo immaginate?”
 Mio marito aveva sospirato.
“Ragazzi!” aveva ripreso Leo, sempre più infervorato “Anch’io al posto di quel tale avrei preferito farmi fare il servizio da una bella donna piuttosto che da qualcun altro!”
“Leo, smettila! Stai diventando pesante e volgare!” era esplosa Sandra. Il suo viso era pallido e la sua voce stridula.
“Falla finita…” aveva aggiunto mio marito con tono stanco all’indirizzo dell’amico.
Leo a quel punto aveva ubbidito ma non aveva rinunciato a riempire di nuovo il bicchiere.
Per fortuna la serata poi si era conclusa. Leo, barcollante, era stato sostenuto e accompagnato da Sandra fino alla loro macchina. Alla guida si era sistemata lei. Mio marito, almeno questa volta, appariva a disagio. Rimasti soli, non avevamo fatto ulteriori commenti ed eravamo andati subito a letto.
E adesso mi trovo qui, in questa asettica stanza di ospedale. È già trascorso un giorno dalla sciagurata serata. Ci sono due letti, ma uno soltanto è occupato. Il mio paziente sta dormendo. Negli ultimi giorni lo fa quasi sempre. Lo osservo con attenzione. È una persona ancora giovane, un bell’uomo. Anzi, era un bell’uomo. So che potrebbe svegliarsi da un momento all’altro, e io temo quel momento. Perché so che potrebbe rinnovare la sua richiesta, e non saprei che cosa rispondere. Non penso più alle risate di Leo quando mi avvicino alle complesse apparecchiature che circondano il suo giaciglio, strumenti che io conosco bene, alla perfezione. Lancio un’ultima occhiata al malato, mi abbasso e cerco il tubo dell’ossigeno. Lo stacco.   

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