“Tra un’ora vi voglio
tutti quanti qui” aggiunge il seducente attore. “Dovremo prendere delle
decisioni importanti. Ormai tutto il mondo sarà venuto a conoscenza della
nostra azione.”
“Ci sarà anche il
Maestro?”
“No, lui preferisce
trascorrere queste ore in meditazione. Era da tanto tempo che attendeva di
tornare a casa.”
“Credo proprio che
dovremo anticipare la riunione” bofonchia Leonard Cohen, che si é appena
affacciato a una finestra. Mentre parla il cantautore canadese strimpella
alcuni accordi di Suzanne.
“Che cosa hai visto?”
domanda Baggio, nel suo stentato inglese. L’ex-calciatore dal viso infantile ha
il sopracciglio sinistro perennemente corrucciato, quasi fosse sempre intento a
prendere la mira.
“Cristo! Ci sono carri
armati ovunque!” esclama Seagal. “La piazza ne è piena!”
“E guardate quanti
militari!”
“Mi piacerebbe proprio prendere
a mazzate quelle stupide teste gialle!” rinforza Tiger Woods, apparso
all’improvviso, e che impugna una mazza di ferro numero tre.
“Tiger! Stai calmo.
Anzi, cerchiamo di stare tutti tranquilli. Bene, dal momento che siamo al
completo, possiamo iniziare a parlare. Se siete d’accordo, potremmo tentare di
comunicare all’esterno le nostre richieste. Uno: il Tibet dovrà riavere la
propria indipendenza. Due: dovrà essere permesso al Dalai Lama di rioccupare il
palazzo di Potala, che sarà utilizzato per gestire gli affari di Stato e, come
un tempo, per la preghiera. L’attuale museo dovrà quindi essere smantellato.
Tre: a noi dovrà essere concesso un lasciapassare per consentirci di
abbandonare incolumi il Tibet. Avete qualcosa da aggiungere? Qualche altra
proposta?”
Nessuno commenta le
affermazioni di Gere. Tutti acconsentono, con aria grave.
“Come pensi abbiano
reagito le altre nazioni?” domanda infine Hancock.
Richard Gere riflette a
lungo, prima di rispondere.
“Non lo so, Herbie.
Proprio non lo so. A noi interessa che siano soprattutto i popoli di quelle
nazioni a solidarizzare con noi e con i tibetani. Per troppo tempo questa
delicata e tragica questione è stata dimenticata. Il resto verrà di
conseguenza.”
“Mmm… e come faremo a
comunicare le nostre istanze?” chiede Orlando Bloom.
“Semplice. Attraverso
il telefono” dice Gere.
“Mi spiace deluderti,
Richard, ma i telefoni non funzionano. Né quelli fissi e tantomeno i nostri
cellulari” annuncia Tina Turner, che tiene tra le mani un microscopico
telefonino.
“È vero, non funziona
nulla, neppure i fax” conferma un giovane monaco, appena entrato nel salone.
Tutti lo guardano. Lui
sorride.
“Tu! Calciatore!”
ringhia all’improvviso Steven Seagal. “Tieni il dito lontano dal grilletto!”
Roberto Baggio risponde con un grugnito.
Si è appena rimesso nella sua posizione preferita, con la canna del lungo
fucile che sporge dalla finestra.
“Come ti chiami?”
domanda Richard Gere al ragazzino dal cranio rasato, al quale tutti rivolgono
di nuovo l’attenzione.
“Wen-zi.”
“Avresti il coraggio di
uscire dal palazzo per consegnare ai militari un foglio con le nostre
richieste?”
“Certo, io non ho paura
dei soldati.”
Tina Turner emette un
fischio di ammirazione per il giovane e impavido monaco il quale, dopo meno di
mezz’ora, esce dal Potala stringendo tra le mani un rotolo di carta.
“Sono preoccupato per
lui…” si lascia sfuggire Steven Seagal che, invano, si é offerto volontario per
la rischiosa missione al posto del ragazzo. I suoi amici, con fatica, lo hanno
dissuaso. Troppo pericoloso per un occidentale.
“State tranquilli”
rassicura tutti Gere. “Sono sicuro che lo lasceranno tornare indietro, magari
con una prima risposta delle autorità.”
E così è. Dopo
un’attesa piuttosto breve ma che appare invece interminabile, Wen-zi è di
ritorno. Reca con sé una grossa busta marrone.
“Da parte del generale
Ling” dice. Herbie Hancock si impossessa del plico e lo apre. Estrae un unico
foglio e lo scorre rapidamente con gli occhi coperti dalle lenti scure. Il
messaggio, conciso, è scritto sia in inglese che in cinese.
“Allora? Che cosa
dicono?” domanda Gere, impaziente. Tutti gli altri sono in spasmodica attesa,
tranne Baggio che, immobile come una statua, continua a tenere sotto tiro i
carri armati.
Hancock scuote il capo.
“Brutte notizie” dice
il jazzista, e porge il foglio a Gere. “Leggi tu stesso.”
“Mmm… in pratica si
tratta di una specie di ultimatum. Ci concedono due ore di tempo per uscire dal
palazzo. In caso contrario lo prenderanno a cannonate, dicono. Inoltre ci
comunicano che siamo completamente isolati. Hanno provveduto anche a oscurare
internet. Nessuno, nel mondo, sa che siamo qui e che cosa stiamo cercando di
fare.”
“Se sparano sono pronto
a rispondere colpo su colpo” dichiara Baggio, senza neppure voltarsi. Nessuno
gli bada.
“E il Maestro?”
“Lo dovremo consegnare.
E naturalmente sarà arrestato. Per quanto riguarda noi, saremo immediatamente
espulsi e non potremo mai più tornare in Cina. Be’… in fondo è un trattamento
di favore, nei nostri confronti, considerando ciò che abbiamo fatto” conclude
l’attore, con amarezza.
“È un bluff! Non
oseranno mai fare una cosa del genere!” esclama Tiger Woods, roteando a
velocità vertiginosa la mazza luccicante.
“Leonard, tu che dici?”
La potente voce di Tina Turner è ridotta a un semplice sussurro.
Il canadese appoggia
con delicatezza la chitarra al muro, si toglie la coppola e si gratta a lungo
la nuca.
“Lo faranno, invece.
Conosco molto bene i cinesi. Raderanno al suolo il Potala. Tanto, a loro che
cosa gliene importa? Noi e il Maestro rimarremo sotto le macerie, insieme a
tutti i monaci. Dopo qualche giorno manderanno un milione di operai e nel giro
di due mesi ricostruiranno tutto come prima. O quasi.”
Poi Cohen si siede,
afflitto.
“Richard, che cosa
dobbiamo fare?” domanda Orlando Bloom. L’attore inglese non riesce a nascondere
una certa apprensione.
“A questo punto credo
che la decisione non spetti a noi ma al Maestro. Wen-zi, sei in grado di
riferirgli quanto abbiamo detto? Tieni, portagli anche questo minaccioso
messaggio.”
Il giovane monaco
annuisce e subito si dirige verso il Palazzo Bianco, l’ala del Potala dove è
raccolto in meditazione il Dalai Lama.
“Ora non ci resta che
attendere” dice Gere, prima di accasciarsi su una scomoda sedia di legno
intarsiato.
“Tina, perché non ci
canti qualcosa? Sai, siamo tutti un po’ nervosi…” propone Bloom.
“Già, e tu in
particolare” risponde la cantante nera, scuotendo l’immensa criniera di capelli
biondi. E inizia a intonare, dolcemente, We
Don’t Need Another Hero, accompagnata alla chitarra da Leonard Cohen e da
Herbie Hancock, che ha tirato fuori da chissà dove una minuscola tastiera
portatile a pile.
Quando La Turner ha
appena ultimato la terza canzone, Wen-zi fa la sua ricomparsa.
“Hai già parlato con il
Maestro?” gli domanda Gere, sorpreso.
Il giovane annuisce.
Tutti gli si stringono intorno.
“Che cosa ha detto?”
“Dice che dovete fare
come ordinano i cinesi.”
“Che cosa? Lui sarà
imprigionato!”
“Dice che ciò sarà
utile alla causa del popolo tibetano.”
“Non ci posso credere!”
esclama Seagal, che appare sconvolto. Wen-zi prosegue, imperterrito, con tono
di voce monocorde.
“Dice che Nelson
Mandela dopo essere stato in carcere ha avuto fortuna. Sia lui che la propria
gente. E inoltre è diventato Capo di Stato e gli è stato assegnato il Premio
Nobel per la pace.”
“Ehi! Un attimo!” lo
interrompe Tiger Woods urlando. “Il Maestro è Capo di Stato da quando aveva
cinque anni e il Nobel gli è stato già assegnato qualche anno fa! Perché vuole
andare in prigione?”
Ma il giovane Wen-zi ha
una risposta per ogni domanda.
“Dice che è una
esperienza che ancora gli manca, e che potrebbe essere la più significativa di
tutta la sua ormai lunga vita.”
“Pazzesco!”
“Incredibile!”
Tutti discutono in
maniera animata. Solo con un certo sforzo Richard Gere riesce a calmare gli
animi accesi dei propri amici.
“Ragazzi! Calma!
Dobbiamo accettare la decisione del Dalai Lama. In fondo è il maestro di tutti
noi, e se così ha stabilito avrà le sue buone ragioni, che noi non siamo in
grado di comprendere. È lui il vero e unico Oceano
di Saggezza.”
Adesso tutti stanno
zitti e chinano il capo. Dopo un lungo silenzio è Steven Seagal il primo a
parlare.
“Dunque è tutto
finito?” dice, rivolto a Richard Gere.
“Sì, Steve. È davvero
tutto finito. Ci dobbiamo rassegnare. E dobbiamo pregare per Lui.”
E mentre pronuncia
queste ultime parole all’attore viene in mente il film. Sì, il film! Sarà il
mezzo attraverso il quale tutti saranno informati di quegli avvenimenti, anche
se a quel furfante di Bobby Malone non piacerà un finale così malinconico. Di
sicuro lo vorrà cambiare. E, per una volta, questa volta soltanto, anche
Richard Gere alla fine si troverà d’accordo con lui.