Citius! Altius! Fortius! è uno tra i motti olimpici più
conosciuti (formulato dal predicatore domenicano Henry Didon), insieme all’altrettanto
famoso l’importante non è vincere, ma
partecipare attribuito al barone Pierre de Coubertin, il fondatore dei
moderni Giochi Olimpici.
Più veloce, più in alto, più forte, a rappresentare l’ambizione
degli atleti – e del genere umano – al superamento agonistico dei propri limiti
personali. Un motto che, con il passare del tempo, è diventato una autentica
filosofia di vita.
Ebbene sì, sono iniziate le Olimpiadi londinesi, un grande evento
che, comunque la si pensi, riguarda l’intera comunità mondiale. Innanzitutto
perché si tratta di un avvenimento che coinvolge praticamente tutte le nazioni
del globo, che per qualche giorno le riunisce, le costringe a confrontarsi (non
soltanto sul piano sportivo), le obbliga a convivere in pace e armonia. E,
soprattutto, con rispetto. Culture e modi di vivere e pensare diversi,
rappresentanti di stati piccoli e grandi, ricchi e poveri, con più o meno
problemi, con sistemi di governo alquanto differenti, democrazie e regimi più autoritari,
addirittura rigide teocrazie.
Ecco, questo è il vero spirito olimpico che, nonostante
tutto, è riuscito a conservarsi integro, nei suoi fondamenti, da oltre un
secolo. Che ha attraversato le profonde crisi dell’umanità dell’era moderna,
passando attraverso guerre mondiali e crisi politiche e militari e sociali di
ogni genere, ed è miracolosamente sopravvissuto. Tante cose sono cambiate dall’anno
1896, quello dei primi Giochi di Atene, tutto è mutato e si è trasformato,
nulla è più come allora, tuttavia quella spinta visionaria, quella che pareva
soltanto l’illusione di un gruppo di romantici sognatori, di riproporre ciò che
nell’antichità era una sorta di tregua
rispetto ai conflitti che già allora affliggevano e martoriavano l’umanità, ha
funzionato.
L’altra sera, attraverso gli schermi televisivi, miliardi di
persone hanno assistito alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi Londra. E non
importa quanto tale mostruoso spettacolo (per l’impiego di mezzi) sia stato o
meno apprezzato, anche perché, ancora una volta, la parte migliore della rappresentazione
è stata la parata delle delegazioni nazionali. Divise severe, tenute più
sfarzose e sgargianti, ma anche stravaganti (ai nostri occhi), costumi
tradizionali. Ma soprattutto, a colpire di più, lo sguardo degli atleti, in
particolare di chi deteneva il prestigioso incarico di portabandiera. Sguardi
felici, gioiosi, orgogliosi, fieri, preoccupati, tesi o compunti. Insomma, l’intero
campionario dei sentimenti e degli stati d’animo umani racchiusi tra le fila di
quell’emozionante sfilata.
Significative espressioni di tanti giovani, di ragazze e
ragazze accomunati da un ideale comune, quello sportivo e, proprio in nome di
tale fede, uniti al di là di tutte le differenze, di colore della pelle, di
religione e di condizione di vita.
Esaltando lo spirito olimpico è facile – e piuttosto piacevole
– abbandonarsi alla retorica, alla celebrazione dei sentimenti più puri. Ma,
per una volta ogni quattro anni, è lecito farlo senza vergogna e senza infingimenti.
I soliti detrattori, con la loro consueta e insopportabile aria
di superiorità, potrebbero facilmente obiettare che i Giochi Olimpici non sono
altro che una specie di oppio per i popoli, un perverso e ingannevole strumento
per far sì che per un periodo di tempo tutto sia rimosso e sia dimenticato: i
conflitti di tutti i generi, le sofferenze e il crescente disagio delle persone,
la crisi economica planetaria, la povertà.
No, nessuno ha intenzione di distrarsi da questi enormi e
forse irrisolvibili problemi dell’umanità. Nulla può essere dimenticato, poiché
si tratta di questioni con le quali dobbiamo e dovremo fare i conti tutti
giorni, e che richiederanno l’impegno di tutti proprio per cercare di attenuare,
se non eliminare, le pene, i patimenti e i tormenti dei nostri simili, in tutto
il mondo.
Però nei prossimi giorni nessuno potrà impedirci di
trepidare e di esaltarci per le imprese degli atleti impegnati nei Giochi
Olimpici – di tutti gli atleti, connazionali e non.
Anche chi è in difficoltà, anche chi è preda dell’angoscia
quotidiana ha il diritto di vivere
attimi, se non di felicità, di spensieratezza e di contentezza. Per qualcosa di
puro e sano.
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