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domenica 22 luglio 2012

LA CHIAVE



Gli ambienti della piccola gendarmeria si animarono all’improvviso.
Il piantone fece irruzione, trafelato, nell’ufficio del comandante, il colonnello Max Frisch.
“Ehi! Che succede?” disse l’ufficiale, sollevando il volto da un’alta pila di carte.
La guardia deglutì, poi si sistemò sull’attenti di fronte all’enorme scrivania.
“Chiedo scusa, comandante. C’è un uomo che desidera incontrarla, subito.”
“Chi è?”
L’altro alzò le spalle, desolato, e solo un istante dopo si rese conto che quel suo gesto poteva apparire poco marziale. Chiese di nuovo scusa.
“Non ha voluto presentarsi” aggiunse. “Comunque si tratta di uno di loro.”
Max Frisch, un uomo non più giovane, con la pelle del viso di color rosso acceso che contrastava con i capelli grigi, irti e corti, sospirò. Poi, con un gesto di stizza inconsueto per lui, sempre dotato di grande autocontrollo, scagliò la penna con violenza sul piano del tavolo.
“Va bene, lo faccia entrare. Lo riceverò.”
La guardia salutò, con enfasi eccessiva, e uscì.
Subito dopo fu introdotto nell’ufficio del comandante un uomo molto grasso, vestito con un semplice abito scuro. Sul bavero della sua giacca spiccava, per la sua brillantezza, un minuscolo crocifisso d’argento. L’espressione del viso di quel singolare individuo era piuttosto giovale. Strinse la mano al colonnello e poi si accomodò di fronte a lui, sempre sorridendo. Si presentò.
“Un vescovo!” esclamò il colonnello. “Non avevo mai avuto il privilegio di incontrarla, prima d’ora. Presumo che lei non abbia mai prestato la sua opera in sede. Finora, almeno.”
“Esatto. Di solito i miei incarichi mi portano in giro per il mondo. Pochi giorni fa sono stato richiamato qui, e lei può ben immaginare da chi” disse l’altro, senza nascondere un certo compiacimento.
Frisch assentì, anche se in realtà non aveva ben compreso.
“In che cosa posso esserle utile?” domandò.
Il vescovo scoppiò in una fragorosa risata.
“Mi scusi, colonnello, forse mi sono espresso in maniera non sufficientemente chiara. Lei da questo momento sarà ai miei ordini, fino al termine del procedimento giudiziario.”
Il vescovo porse al comandante un plico, estratto a fatica dalla tasca interna della giacca. L’altro esaminò a lungo il carteggio, annuì, poi impallidì.
“Si tratta dell’uomo del Santo Padre? Il maggiordomo?”
Il vescovo acconsentì, esibendosi in un ennesimo sorriso.
“Vede, Eccellenza” proseguì Frisch. “La fase istruttoria è praticamente terminata. L’indagato, nel corso di tutti gli interrogatori ai quali è stato sottoposto, ha sempre negato ogni addebito. Inoltre, non siamo riusciti a raccogliere prove sufficienti a suffragare le accuse formulate nei suoi confronti. Al processo sarà inevitabile un verdetto di assoluzione. Sa, dopo tutto questo tempo mi sto convincendo anch’io che quell’uomo possa essere davvero innocente. Una vittima, probabilmente, alla mercé di qualcuno che lo ha utilizzato a sua completa insaputa. E che sta molto in alto.”
Il vescovo scosse con violenza il capo, senza però perdere la sua espressione bonaria.
“Ho l’impressione che lei si sbagli, colonnello.”
Il suo interlocutore scrollò le spalle, in segno di impotenza.
“Desidero interrogare il prigioniero di persona” disse l’alto prelato. “Immediatamente.”
“Il prigioniero?” domandò Frisch, incredulo.
Pedro Guerrero, perché era questo il nome con il quale il corpulento vescovo si era presentato, eluse la domanda.
“Faccia portare subito quell’uomo nella stanza” disse invece. Il suo era un ordine.
“Intende dire qui?”
“Colonnello, forse non ci siamo intesi. Mi riferisco a quella stanza.”
“Impossibile!” sbottò l’ufficiale. “Non è più utilizzata da… da…”
“Tale particolare non ha nessuna importanza. Esegua ciò che le ho detto, comandante.”
“Ma… noi non possediamo neppure la chiave. Quella stanza è…”
Il vescovo frugò in una tasca dei larghi pantaloni.
“Si riferisce a questa?” domandò, sorridente. Poi posò sul piano della scrivania una grossa chiave di bronzo.
Il colonnello Frisch era impietrito.
“Come se l’è procurata?” mormorò.
“L’ho avuta da lui, naturalmente. E lei sa bene a chi mi riferisco.”
“Mi scusi, Eccellenza” disse allora il comandante, prima di uscire dall’ufficio. Dopo aver impartito le necessarie istruzioni ritornò e pregò il vescovo Guerrero di seguirlo.
“I miei uomini, con l’accusato, ci aspettano di sotto.”
I due uomini scesero una lunga serie di scale che, a mano a mano che si procedeva, si facevano sempre più strette e buie. Sembrava quasi che mancasse l’aria. Il vescovo sudava e sbuffava, affaticato. Giunsero infine di fronte a una piccola porta di legno, rinforzata da sbarre di metallo, arrugginite. Ad attenderli trovarono tre uomini: due giovani guardie, che non riuscivano a celare il loro sbalordimento, e un individuo dall’aria stanca e rassegnata, l’indagato.
Pedro Guerrero infilò la chiave nella toppa. Con un grande sforzo riuscì a farla ruotare, più volte. Aiutandosi con la possente spalla, scostò la porta che si aprì cigolando. Il primo ad entrare fu il comandante Frisch. Si trovò di fronte a un buio impenetrabile. Tastando il muro con la mano, prima a destra e poi a sinistra, cercò inutilmente l’interruttore, che non c’era. Sorpreso, si voltò e incrociò lo sguardo sorridente e gioviale di Pedro Guerrero.
“Comandante, a quei tempi l’elettricità non esisteva” disse il vescovo, che poi si rivolse a una delle guardie.
“Presto, vai a prendere dei ceri, molti ceri. Mi raccomando, che alcuni siano grossi, perché mi serviranno per…” Quindi si interruppe, mentre già il ragazzo scattava per eseguire l’ordine, e iniziò a rovistare nell’ampio vestito finché non recuperò una torcia elettrica. La accese.
Immersi nel cono di luce, i due uomini penetrarono nella stanza. C’era molta polvere, e odore di muffa.
“Portate dentro anche il prigioniero” disse il vescovo. Questi non oppose la minima resistenza. Aveva la bocca spalancata, ma non emetteva alcun suono. I suoi occhi sembravano dover schizzare fuori dalle orbite da un momento all’altro. Era terrorizzato.
“Eccellenza, le ricordo che si tratta del maggiordomo del Santo Padre” riuscì a dire Frisch. L’altro non rispose. Illuminò con la torcia alcuni attrezzi che si trovavano all’interno della stanza. Prima una garrotta, poi un rullo, quindi delle zampe di gatto, una culla di Giuda e uno schiacciatesta. Ne provò il funzionamento e annuì tra sé, soddisfatto. Appoggiate su un bancone corroso dai tarli c’erano pinze e tenaglie ricoperte di ruggine e rivestite da soffici ragnatele.
Il comandante delle guardie fissò quegli strumenti, agghiacciato.
“Non si preoccupi, comandate. Prima di utilizzarle le sterilizzerò. Con il fuoco” disse il vescovo. Il suo sorriso si era trasformato in un orribile sogghigno. Il colonnello Frisch rabbrividì ancora di più.
Tornò la giovane guardia e furono accesi innumerevoli ceri. La stanza assunse un aspetto inquietante. Il vescovo congedò i due militari e rimase solo con il comandante e l’accusato, che fu fatto stendere su un tavolaccio e fissato ad esso per mezzo di rigide cinghie di cuoio. Il malcapitato iniziò a piangere, in silenzio.
“Colonnello Frisch, avrei bisogno di un testimone per l’interrogatorio e quindi le chiederei di rimanere. Tuttavia se proprio non se la sente…”
Il comandante uscì quasi di corsa dalla stanza e si catapultò su per le scale. Il vescovo sorrise e iniziò la sua inchiesta.
Dopo circa un’ora il piantone irruppe di nuovo nell’ufficio del capo della gendarmeria.
Frisch alzò stancamente il capo.
“Che succede ancora?” domandò.
“C’è… c’è… lui!”
“Chi? Che cosa stai dicendo?”
Proprio in quel momento comparve una figura che indossava una candida veste bianca, accompagnata da un ometto dall’aspetto dimesso, il suo segretario particolare.
Il colonnello Frisch balzò in piedi, aggirò la scrivania, si inginocchiò e baciò il grosso anello.
“Santo Padre!” disse, ancora meravigliato.
L’altro gli sorrise e gli toccò il capo con una mano. Una benedizione?
“Come procede interrogatorio?” domandò l’uomo in bianco, con il suo forte accento straniero.
Il comandante trasalì.
“Eh?”
“Mio incaricato stare lavorando?” domandò ancora il Pontefice.
In quell’attimo si udirono delle urla disumane, che provenivano dai sotterranei.
“Sì, sta lavorando, sta lavorando bene” disse il comandante, sbiancando.
Il Papa annuì, beato.
“Non sia così turbato, colonnello. Verità è spesso accompagnata da dolore” pronunciò, solenne. 

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