Gli ambienti della piccola gendarmeria si animarono
all’improvviso.
Il piantone fece irruzione, trafelato, nell’ufficio del
comandante, il colonnello Max Frisch.
“Ehi! Che succede?” disse l’ufficiale, sollevando il volto
da un’alta pila di carte.
La guardia deglutì, poi si sistemò sull’attenti di fronte
all’enorme scrivania.
“Chiedo scusa, comandante. C’è un uomo che desidera
incontrarla, subito.”
“Chi è?”
L’altro alzò le spalle, desolato, e solo un istante dopo si
rese conto che quel suo gesto poteva apparire poco marziale. Chiese di nuovo
scusa.
“Non ha voluto presentarsi” aggiunse. “Comunque si tratta di
uno di loro.”
Max Frisch, un uomo non più giovane, con la pelle del viso
di color rosso acceso che contrastava con i capelli grigi, irti e corti,
sospirò. Poi, con un gesto di stizza inconsueto per lui, sempre dotato di
grande autocontrollo, scagliò la penna con violenza sul piano del tavolo.
“Va bene, lo faccia entrare. Lo riceverò.”
La guardia salutò, con enfasi eccessiva, e uscì.
Subito dopo fu introdotto nell’ufficio del comandante un
uomo molto grasso, vestito con un semplice abito scuro. Sul bavero della sua
giacca spiccava, per la sua brillantezza, un minuscolo crocifisso d’argento.
L’espressione del viso di quel singolare individuo era piuttosto giovale.
Strinse la mano al colonnello e poi si accomodò di fronte a lui, sempre
sorridendo. Si presentò.
“Un vescovo!” esclamò il colonnello. “Non avevo mai avuto il
privilegio di incontrarla, prima d’ora. Presumo che lei non abbia mai prestato
la sua opera in sede. Finora, almeno.”
“Esatto. Di solito i miei incarichi mi portano in giro per
il mondo. Pochi giorni fa sono stato richiamato qui, e lei può ben immaginare
da chi” disse l’altro, senza nascondere un certo compiacimento.
Frisch assentì, anche se in realtà non aveva ben compreso.
“In che cosa posso esserle utile?” domandò.
Il vescovo scoppiò in una fragorosa risata.
“Mi scusi, colonnello, forse mi sono espresso in maniera non
sufficientemente chiara. Lei da questo momento sarà ai miei ordini, fino al
termine del procedimento giudiziario.”
Il vescovo porse al comandante un plico, estratto a fatica
dalla tasca interna della giacca. L’altro esaminò a lungo il carteggio, annuì,
poi impallidì.
“Si tratta dell’uomo del Santo Padre? Il maggiordomo?”
Il vescovo acconsentì, esibendosi in un ennesimo sorriso.
“Vede, Eccellenza” proseguì Frisch. “La fase istruttoria è
praticamente terminata. L’indagato, nel corso di tutti gli interrogatori ai
quali è stato sottoposto, ha sempre negato ogni addebito. Inoltre, non siamo
riusciti a raccogliere prove sufficienti a suffragare le accuse formulate nei
suoi confronti. Al processo sarà inevitabile un verdetto di assoluzione. Sa,
dopo tutto questo tempo mi sto convincendo anch’io che quell’uomo possa essere
davvero innocente. Una vittima, probabilmente, alla mercé di qualcuno che lo ha
utilizzato a sua completa insaputa. E che sta molto in alto.”
Il vescovo scosse con violenza il capo, senza però perdere
la sua espressione bonaria.
“Ho l’impressione che lei si sbagli, colonnello.”
Il suo interlocutore scrollò le spalle, in segno di
impotenza.
“Desidero interrogare il prigioniero di persona” disse
l’alto prelato. “Immediatamente.”
“Il prigioniero?” domandò Frisch, incredulo.
Pedro Guerrero, perché era questo il nome con il quale il
corpulento vescovo si era presentato, eluse la domanda.
“Faccia portare subito quell’uomo nella stanza” disse
invece. Il suo era un ordine.
“Intende dire qui?”
“Colonnello, forse non ci siamo intesi. Mi riferisco a quella stanza.”
“Impossibile!” sbottò l’ufficiale. “Non è più utilizzata da…
da…”
“Tale particolare non ha nessuna importanza. Esegua ciò che
le ho detto, comandante.”
“Ma… noi non possediamo neppure la chiave. Quella stanza è…”
Il vescovo frugò in una tasca dei larghi pantaloni.
“Si riferisce a questa?” domandò, sorridente. Poi posò sul
piano della scrivania una grossa chiave di bronzo.
Il colonnello Frisch era impietrito.
“Come se l’è procurata?” mormorò.
“L’ho avuta da lui, naturalmente. E lei sa bene a chi mi
riferisco.”
“Mi scusi, Eccellenza” disse allora il comandante, prima di
uscire dall’ufficio. Dopo aver impartito le necessarie istruzioni ritornò e
pregò il vescovo Guerrero di seguirlo.
“I miei uomini, con l’accusato, ci aspettano di sotto.”
I due uomini scesero una lunga serie di scale che, a mano a
mano che si procedeva, si facevano sempre più strette e buie. Sembrava quasi
che mancasse l’aria. Il vescovo sudava e sbuffava, affaticato. Giunsero infine
di fronte a una piccola porta di legno, rinforzata da sbarre di metallo,
arrugginite. Ad attenderli trovarono tre uomini: due giovani guardie, che non
riuscivano a celare il loro sbalordimento, e un individuo dall’aria stanca e
rassegnata, l’indagato.
Pedro Guerrero infilò la chiave nella toppa. Con un grande
sforzo riuscì a farla ruotare, più volte. Aiutandosi con la possente spalla,
scostò la porta che si aprì cigolando. Il primo ad entrare fu il comandante
Frisch. Si trovò di fronte a un buio impenetrabile. Tastando il muro con la
mano, prima a destra e poi a sinistra, cercò inutilmente l’interruttore, che
non c’era. Sorpreso, si voltò e incrociò lo sguardo sorridente e gioviale di
Pedro Guerrero.
“Comandante, a quei tempi l’elettricità non esisteva” disse
il vescovo, che poi si rivolse a una delle guardie.
“Presto, vai a prendere dei ceri, molti ceri. Mi raccomando,
che alcuni siano grossi, perché mi serviranno per…” Quindi si interruppe,
mentre già il ragazzo scattava per eseguire l’ordine, e iniziò a rovistare nell’ampio
vestito finché non recuperò una torcia elettrica. La accese.
Immersi nel cono di luce, i due uomini penetrarono nella
stanza. C’era molta polvere, e odore di muffa.
“Portate dentro anche il prigioniero” disse il vescovo.
Questi non oppose la minima resistenza. Aveva la bocca spalancata, ma non
emetteva alcun suono. I suoi occhi sembravano dover schizzare fuori dalle
orbite da un momento all’altro. Era terrorizzato.
“Eccellenza, le ricordo che si tratta del maggiordomo del
Santo Padre” riuscì a dire Frisch. L’altro non rispose. Illuminò con la torcia alcuni
attrezzi che si trovavano all’interno della stanza. Prima una garrotta, poi un
rullo, quindi delle zampe di gatto, una culla di Giuda e uno schiacciatesta. Ne
provò il funzionamento e annuì tra sé, soddisfatto. Appoggiate su un bancone
corroso dai tarli c’erano pinze e tenaglie ricoperte di ruggine e rivestite da
soffici ragnatele.
Il comandante delle guardie fissò quegli strumenti,
agghiacciato.
“Non si preoccupi, comandate. Prima di utilizzarle le
sterilizzerò. Con il fuoco” disse il vescovo. Il suo sorriso si era trasformato
in un orribile sogghigno. Il colonnello Frisch rabbrividì ancora di più.
Tornò la giovane guardia e furono accesi innumerevoli ceri.
La stanza assunse un aspetto inquietante. Il vescovo congedò i due militari e
rimase solo con il comandante e l’accusato, che fu fatto stendere su un
tavolaccio e fissato ad esso per mezzo di rigide cinghie di cuoio. Il
malcapitato iniziò a piangere, in silenzio.
“Colonnello Frisch, avrei bisogno di un testimone per l’interrogatorio
e quindi le chiederei di rimanere. Tuttavia se proprio non se la sente…”
Il comandante uscì quasi di corsa dalla stanza e si
catapultò su per le scale. Il vescovo sorrise e iniziò la sua inchiesta.
Dopo circa un’ora il piantone irruppe di nuovo nell’ufficio
del capo della gendarmeria.
Frisch alzò stancamente il capo.
“Che succede ancora?” domandò.
“C’è… c’è… lui!”
“Chi? Che cosa stai dicendo?”
Proprio in quel momento comparve una figura che indossava
una candida veste bianca, accompagnata da un ometto dall’aspetto dimesso, il
suo segretario particolare.
Il colonnello Frisch balzò in piedi, aggirò la scrivania, si
inginocchiò e baciò il grosso anello.
“Santo Padre!” disse, ancora meravigliato.
L’altro gli sorrise e gli toccò il capo con una mano. Una
benedizione?
“Come procede interrogatorio?” domandò l’uomo in bianco, con
il suo forte accento straniero.
Il comandante trasalì.
“Eh?”
“Mio incaricato stare lavorando?” domandò ancora il
Pontefice.
In quell’attimo si udirono delle urla disumane, che
provenivano dai sotterranei.
“Sì, sta lavorando, sta lavorando bene” disse il comandante,
sbiancando.
Il Papa annuì, beato.
“Non sia così turbato, colonnello. Verità è spesso
accompagnata da dolore” pronunciò, solenne.
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