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giovedì 19 luglio 2012

UNIVERSI DIVERSI



“Perché al telefono sei stato così sfuggente?” domandò Marta.
“Preferivo dirtelo di persona. Sai, è una cosa talmente assurda!” rispose Mario, il suo ragazzo.
“Non potevi aspettare domani? Ci saremmo visti a scuola e…”
“No, si tratta di qualcosa che va al di là di ogni immaginazione. Sono ancora sconvolto.”
“Addirittura!” disse la ragazza, sorridendo.
“Marta, ti prego… Guarda che non è uno scherzo…”
Mario parlava a bassa voce, quasi sussurrando, ed era livido in volto. Si agitò sulla sedia, mentre Marta si stese sul letto.
“Allora, ti decidi a raccontare?” lo incoraggiò. Lui si strinse il capo tra le mani e iniziò a parlare.
“Ero là, vicino alla parete, in piedi. A un certo punto ho appoggiato i palmi delle mani e la fronte sul muro, proprio in corrispondenza dell’angolo.”
“Per quale motivo?” lo interruppe Marte.
“Be’… a volte si fanno delle cose strane. Così, senza una ragione particolare…” rispose Mario, imbarazzato. La ragazza si sollevò, inclinò il capo e lo fissò a lungo.
“Prosegui” disse infine. Lui annuì, deglutì e riprese il suo racconto.
“All’improvviso mi sono ritrovato da un’altra parte.”
“Spiegati meglio.”
“Cioè, ero sempre qui, nella mia camera, ma ho percepito qualcosa di diverso, capisci?”
“No.”
“Aspetta. Mi sono guardato attorno, a lungo, ho osservato con attenzione tutto ciò che mi circondava, i miei libri, le mie cose, e alla fine ho capito…”
“Cosa hai capito?” domandò Marta, un po’ spazientita.
“Che ero passato attraverso un varco, e mi trovavo in una dimensione parallela, alternativa, chiamala come ti pare…”
Marta gli lanciò un’occhiata strana, che durò un attimo. Poi si ricompose. Che cosa stava accadendo al suo ragazzo? Perché faceva quei bizzarri discorsi? Lui, che di solito era una persona molto seria ed equilibrata?
La ragazza sospirò.
“Cosa c’era di particolare, di diverso, in quell’… universo?”
“La penna!” esclamò Marco.  
“La penna?”
“Vedi, io la appoggio sempre alla destra del computer. Invece in quel momento si trovava alla sua sinistra. Quindi si trattava senza dubbio di un universo parallelo, nel quale però la distorsione era minima. Infatti, tutto il resto era perfettamente uguale…”
“Mario!”
“Eh?”
“Ti rendi conto di ciò che stai dicendo? Per una volta, e per puro caso, avrai posato la penna dall’altra parte del computer! Che c’è di strano? Perché tutte queste baggianate su altre dimensioni e via dicendo?” Marta era decisamente irritata.
“E mi hai fatto correre fin qua, a quest’ora, per farmi ascoltare queste tue fantasie? Sei impazzito?” aggiunse ancora la ragazza, che poi si alzò e di diresse verso la porta. Mario la fermò.
“Non ti ho detto una cosa. Quando ho passato il varco ho sentito in tutto il corpo un formicolio, e la stessa sensazione l’ho provata quando ho riattraversato la breccia temporale.”
“Breccia temporale?” Marta era incredula. Mario la costrinse a sedere sul letto.
“Sono stato di là, in quell’altra dimensione, per dieci minuti esatti. Poi, spaventato, ho riappoggiato mani e fronte al muro e sono ritornato” disse il ragazzo.
“Marco, adesso devo proprio andare. Se vuoi ne riparleremo domani, quando sarai un po’ più sereno. Non so proprio che cosa ti sia preso…”
Lui la bloccò di nuovo.
“Aspetta, ti prego. Ti ho chiesto di venire qui per un motivo preciso” disse Marco.
“E quale sarebbe?” chiese Marta.
“Ci voglio riprovare. Ma non da solo, con te.”
“Ma…”
“Per favore!”
“Marco! Non ti riconosco più!”
“Non puoi abbandonarmi…” disse il ragazzo, in un soffio. Il suo sguardo era implorante. Marta ne fu impietosita.
“Va bene” disse. “Ma sappi che dopo me ne andrò subito.”
Lui annuì, poi la prese per mano e l’accompagnò verso la parete, nell’angolo. Premette le mani sul muro, e dopo anche la fronte. Marta fece lo stesso. Non accadde nulla.
“Adesso basta!” esclamò la ragazza.
Lui non si scompose.
“Proviamo in un altro modo” disse. Fece appoggiare a Marta le mani sulle sue, e la fronte alla sua nuca. Dopo alcuni istanti entrambi percepirono una lieve scossa attraversare i loro corpi. E passarono.
Un po’ storditi, si ritrovarono nella stessa camera, quella di Mario. La ragazza si guardò attorno, smarrita.
“Non è successo nulla” disse. Lui non rispose.
“Guarda!” strepitò dopo un po’.
“Che cosa? La penna? È sempre allo stesso posto, sulla destra.”
“No, il computer!”
“Non vedo niente di strano…”
“Non è il mio!”
“Eh?”
“La marca! È un’altra!”
Lei si avvicinò e constatò con i suoi occhi quella sorta di prodigio. Poi iniziò a tremare.
“Hai ragione…” sussurrò.
“Una marca del tutto sconosciuta, tra l’altro…” aggiunse il ragazzo, che poi proseguì nell’ispezione della camera. Su uno scaffale vide una fotografia incorniciata. La sollevò e fissò quel viso sconosciuto. Una ragazza bionda, con gli occhi verdi, che sorrideva. La voltò e poté leggere una scritta: da Luana con immenso amore. Mario trasalì e subito rimise la cornice al suo posto. Marta, nel frattempo, si era avvicinata a lui.
“Chi è?” domandò con voce tremante.
“Uh?”
“Quella ragazza, chi è?”
“Si tratta di… mia cugina.”
“Tua cugina? Non me ne hai mai parlato. Perché hai questa fotografia?”
“Non lo so” disse lui, a disagio. “In realtà non la vedo da anni. Forse in questa vita… parallela siamo rimasti in contatto e…”
Lei scosse il capo.
“Scusa, scusa per la domanda sciocca” disse, prima di voltarsi verso il letto.
“Marco!”
“Eh? Che c’è?”
“Guarda, il poster!”
Lui osservò il manifesto, che da tanti anni era appesa sopra la spalliera del letto. Non raffigurava i Twins, il suo gruppo musicale preferito, bensì un altro gruppo, che non conosceva.
“Hai visto la forma delle chitarre?” domandò Marta.
Mario annuì, con aria grave, poi diede un’occhiata all’orologio. Si agitò.
“Dobbiamo andare” disse alla sua ragazza, con voce piena d’apprensione.
Lei lo guardò, inebetita, e non comprese.
“Sono trascorsi più di otto minuti. La prima volta sono stato via quasi dieci minuti. Non possiamo rischiare oltre. Vieni, presto!”
La trascinò verso il muro, e si sistemarono nella stessa posizione di prima. Rifecero il viaggio, all’indietro. Per ritrovarsi di nuovo allo stesso posto. O quasi.
Ancora scossi, i due ragazzi si guardarono a lungo negli occhi, prima di parlare.
“Ora mi credi?” disse infine Mario. Lei assentì.
“Scusa” disse poi.
“È qualcosa di incredibile” aggiunse lui.
“Che cosa intendi fare?” domandò lei, ancora pallida in volto.
“Cioè?”
“A chi intendi dirlo?” aggiunse Marta.
“Ah! La mia intenzione sarebbe quella di provare ancora una volta. Sai, per essere del tutto sicuro di…”
“No!”
“Perché? Non può accaderci nulla. Non è pericoloso, l’importante è non superare la soglia dei dieci minuti. Abbiamo constatato che in tal modo non c’è alcun rischio.”
“Quale potrebbe essere l’eventuale rischio?” chiese Marta, pur conoscendo la risposta.
“Quello di non tornare?” disse Mario.
“Sì.”
“Non è possibile!” affermò lui con decisione.
“Per quale motivo?”
“Noi continueremmo in ogni caso a esistere. Da una parte e… dall’altra.”
“Sono troppo turbata, e credo di non capire…” mormorò la ragazza.
“Marta, ti fidi di me?” domandò lui all’improvviso.
Lei lo guardò intensamente.
“Sì… adesso sì” rispose.
“Vieni, allora. Soltanto una volta ancora, te lo prometto.”
 Marta, come un automa, si lasciò guidare di nuovo in direzione della parete, nell’angolo. I due giovani riassunsero la posizione che consentiva loro di penetrare il varco temporale, se di ciò veramente si trattava. Subito, la quasi impercettibile scarica elettrica trapassò i loro corpi.
Mario si riprese subito, si voltò e si rese conto di essere solo. Fu assalito dal panico.
“Marta!” La sua voce era rauca, disperata. Non badò più di tanto all’ambiente in cui si trovava. Dopotutto, era pur sempre la sua camera, anche se il letto era completamente diverso, le pareti erano dipinte di un altro colore, non c’era nessun computer sulla singolare scrivania, e i libri sugli scaffali recavano sui dorsi titoli sconosciuti. Non notò nulla di tutto ciò, perché in quel momento pensò soltanto alla sua ragazza. Dov’era finita?
Mario si sforzò di riacquistare un poco di lucidità. Udì dei rumori provenire da un’altra parte della casa. Chi poteva essere se non sua madre? Senza pensare uscì dalla stanza e si diresse verso la cucina. Vi fece irruzione, trafelato.
“Mario! Che succede?” disse la donna, spaventata da quell’improvvisa incursione.
“Mamma! Marta! Dov’è Marta?”
Sua madre scosse la testa, assunse un’aria pensierosa, afflitta.
“Siediti, Mario. E cerca di calmarti.” Il ragazzo ubbidì, e lei gli porse un bicchiere d’acqua. Poi gli si rivolse con un tono dolce.
“Mario, purtroppo devi rassegnarti. Marta non c’è più, e non tornerà. Non ricordi? Quel brutto incidente stradale…”
“No!”
“Lo so, è terribile. È qualcosa difficile da accettare, anche se speravo che ormai tu stessi un po’ meglio. Sai, negli ultimi tempi non avevi più avuto queste… crisi. Adesso ti darò un calmante e domani, se sei d’accordo, torneremo dal dottor Borghi. Lui ha fatto tanto per te e…
“No! No!”
“Mario, calmati. Mario!”
Il ragazzo, di scatto, si alzò dalla sedia e tornò, correndo e urlando, in camera sua. La madre, colta di sorpresa, lo seguì dopo un attimo. Quando si affacciò nella sua stanza, lo vide appoggiato al muro, nell’angolo, con i palmi delle mani e con la fronte. E non smetteva di gridare, di invocare Marta, la sua ragazza morta.
La donna tornò nell’ingresso e si precipitò sul telefono.

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