Quali sono, in realtà, le vere differenze tra noi esseri umani
e gli amici animali? Amici per modo di dire, dal momento che non esitiamo a
maltrattarli, torturarli, vivisezionarli e divorarli. Possiamo anche escludere
dal confronto quegli animali che, per ovvie e grandi diversità biologiche,
possano apparire ai nostri occhi troppo dissimili dall’uomo, vale a dire pesci,
uccelli, rettili e anfibi. Rimangono comunque, da impiegare per il nostro
confronto, tutti i mammiferi, di piccole o grandi dimensioni che siano.
Ebbene, la nostra specie possiede, da sempre, la convinzione
che la manifesta ed evidente (?) superiorità rispetto a tutti gli altri esseri
viventi sia dovuta al possesso della consapevolezza di esistere. Una
cognizione, seppure discutibile, che ci porta sempre, inevitabilmente, a
rivendicare tale egemonia. Insomma, noi ci rendiamo conto di nascere, di
vivere, di dover morire, abbiamo un io piuttosto sviluppato, mentre gli
animali, i mammiferi nel nostro esempio, attendono inconsapevoli il termine
della loro esistenza, e pertanto non sono in grado di progettare le loro vite,
di attribuire loro uno scopo. Su ciò, pur con qualche riserva, possiamo anche
essere d’accordo, perlomeno in base alle attuali conoscenze. Tuttavia ciò che
veramente importa non è tanto la presenza di questa qualità unica (che comunque
non comporta un’automatica attestazione di predominio), quanto l’uso che di
essa ne facciamo. E il quadro, conseguenza di questa pur condivisibile considerazione,
appare desolante. La maggior parte delle esistenze degli esseri umani appaiono
vuote e inconcludenti, sono un perenne e affannato rincorrere qualcosa che non
riusciamo bene a definire, e rivolto al nulla se non alla ricerca del
conseguimento di ricchezza, potere, successo in tutti i campi, esibizione di
vanità e di altre pessime qualità possedute soltanto dal genere umano. Invece
il vero e unico fine dell’esistenza dell’uomo dovrebbe essere quello di
migliorarsi e di raggiungere (o almeno di provare a raggiungere) un livello
etico superiore, un piano morale non necessariamente uguale per tutti gli
individui, dal momento che le condizioni di partenza sono diverse da persona a
persona, ma in ogni caso più alto rispetto a quello iniziale, a quello di
partenza posseduto al principio della vita. Un obiettivo nobile ed elevato che,
se perseguito con successo, potrebbe forse elevare gli esseri umani nei
riguardi degli animali, non verso un’affermazione di supremazia, bensì in
direzione di un’illuminata diversità.
Ecco, questo è l’autentico vantaggio goduto dagli uomini. Un
privilegio - o, se si vuole, una prerogativa forse dettata semplicemente dal caso - che non è mai
stato sfruttato, e che non è mai stato, se non in minima parte, utilizzato. Uno
spreco che si perpetua, e che contrassegna senza appello la nostra come specie una imperfetta e con evidenti limiti. Una specie, tra altro, capace di esprimere i
sentimenti più bassi e orrendi, quali l’odio, la cattiveria, la malignità, il
risentimento, la meschinità, la pura malvagità. Bestie a due zampe in grado di
ricorrere, senza ragione apparente, alle più inenarrabili e spaventose violenze.
Al contrario gli altri animali non umani non odiano, non uccidono con colpa,
non sono mai perfidi e crudeli. Queste rilevanti diversità, è innegabile, sono
decisamente a loro favore.
Non c'è cattiveria in natura (:
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