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giovedì 26 luglio 2012

DIFFERENZE



Quali sono, in realtà, le vere differenze tra noi esseri umani e gli amici animali? Amici per modo di dire, dal momento che non esitiamo a maltrattarli, torturarli, vivisezionarli e divorarli. Possiamo anche escludere dal confronto quegli animali che, per ovvie e grandi diversità biologiche, possano apparire ai nostri occhi troppo dissimili dall’uomo, vale a dire pesci, uccelli, rettili e anfibi. Rimangono comunque, da impiegare per il nostro confronto, tutti i mammiferi, di piccole o grandi dimensioni che siano.
Ebbene, la nostra specie possiede, da sempre, la convinzione che la manifesta ed evidente (?) superiorità rispetto a tutti gli altri esseri viventi sia dovuta al possesso della consapevolezza di esistere. Una cognizione, seppure discutibile, che ci porta sempre, inevitabilmente, a rivendicare tale egemonia. Insomma, noi ci rendiamo conto di nascere, di vivere, di dover morire, abbiamo un io piuttosto sviluppato, mentre gli animali, i mammiferi nel nostro esempio, attendono inconsapevoli il termine della loro esistenza, e pertanto non sono in grado di progettare le loro vite, di attribuire loro uno scopo. Su ciò, pur con qualche riserva, possiamo anche essere d’accordo, perlomeno in base alle attuali conoscenze. Tuttavia ciò che veramente importa non è tanto la presenza di questa qualità unica (che comunque non comporta un’automatica attestazione di predominio), quanto l’uso che di essa ne facciamo. E il quadro, conseguenza di questa pur condivisibile considerazione, appare desolante. La maggior parte delle esistenze degli esseri umani appaiono vuote e inconcludenti, sono un perenne e affannato rincorrere qualcosa che non riusciamo bene a definire, e rivolto al nulla se non alla ricerca del conseguimento di ricchezza, potere, successo in tutti i campi, esibizione di vanità e di altre pessime qualità possedute soltanto dal genere umano. Invece il vero e unico fine dell’esistenza dell’uomo dovrebbe essere quello di migliorarsi e di raggiungere (o almeno di provare a raggiungere) un livello etico superiore, un piano morale non necessariamente uguale per tutti gli individui, dal momento che le condizioni di partenza sono diverse da persona a persona, ma in ogni caso più alto rispetto a quello iniziale, a quello di partenza posseduto al principio della vita. Un obiettivo nobile ed elevato che, se perseguito con successo, potrebbe forse elevare gli esseri umani nei riguardi degli animali, non verso un’affermazione di supremazia, bensì in direzione di un’illuminata diversità.
Ecco, questo è l’autentico vantaggio goduto dagli uomini. Un privilegio - o, se si vuole, una prerogativa forse dettata semplicemente dal caso - che non è mai stato sfruttato, e che non è mai stato, se non in minima parte, utilizzato. Uno spreco che si perpetua, e che contrassegna senza appello la nostra come specie una imperfetta e con evidenti limiti. Una specie, tra altro, capace di esprimere i sentimenti più bassi e orrendi, quali l’odio, la cattiveria, la malignità, il risentimento, la meschinità, la pura malvagità. Bestie a due zampe in grado di ricorrere, senza ragione apparente, alle più inenarrabili e spaventose violenze. Al contrario gli altri animali non umani non odiano, non uccidono con colpa, non sono mai perfidi e crudeli. Queste rilevanti diversità, è innegabile, sono decisamente a loro favore.  

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